Bagagli Leggeri di Marco Carta è la noia in musica (recensione)

Il cantante di Cagliari ritorna con 10 tracce che non funzionano


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Dopo aver ascoltato Bagagli Leggeri di Marco Carta ci si sente un po’ come quel giornalista eversivo che si ritrova per la prima volta di fronte a quel politico che da anni è al centro delle sue inchieste. In tanti anni abbiamo conosciuto il “cucciolo sardo” di cui chi scrive è conterraneo, quello che piangeva dopo esser stato redarguito nell’aula magna di Amici di Maria De Filippi e che aveva regalato alla sua Cagliari una popstar mediocre ma, tuttavia, oggetto di panegirici esasperanti da parte di una certa critica e di una certa fetta di pubblico.

Oggi, 21 giugno, ascoltiamo il suo settimo disco in studio e tanta è la voglia di una dieta detox sonora a suon di Pink Floyd per ripristinare la mente, Cat Power per ripristinare i sensi e Diamanda Galas per sfogare la rabbia, ma può andare bene anche l’ultimo disco di Fiorella Mannoia o l’ultima opera di Enrico Ruggeri, pur di ritornare a una realtà violata da 34 minuti di riproduzione.

L’ultima anticipazione di Bagagli Leggeri di Marco Carta è stata I Giorni Migliori, pubblicata nelle ore successive al fatto di cronaca che lo ha visto coinvolto e con questo disco il cantante suggella il suo ingresso nella nuova famiglia discografica, la Saifam Music che lo ha accolto dopo l’abbandono della Warner, una scelta non dovuta a conflitti ma maturata in seguito a esigenze creative. Nel nuovo album, inoltre, Marco Carta ha scritto tre canzoni lievitate in due anni, visto che i lavori su Bagagli Leggeri iniziarono già dopo l’uscita di Tieniti Forte (2017) , il penultimo disco.

La tragedia della perdita dei propri cari ritorna dalla prima traccia, Una Foto Di Te E Di Me e riprende il discorso di Ti Rincontrerò. La ballata, niente che sia nuovo dal repertorio di Marco Carta, dovrebbe toccare il cuore con parole come: “Avrei voluto renderti fiero di me, invece hai un figlio diverso, l’ho imparato col tempo anche senza un esempio“, e proprio su quel “diverso” troviamo il coming out di un ragazzo che confessa di amare un uomo: “Non è vero che sono sbagliato se quella volta ho scelto di amare, ho chiuso gli occhi e dopo l’ho baciato“.

Ciò che dispiace di questo artista indubbiamente sensibile è che riesce a rendere banale anche la profondità di un discorso: l’elaborazione di un lutto e la dichiarazione dell’omosessualità, in questo brano, vengono liquidate con un linguaggio consumato e povero, su un arrangiamento che non fa presa se non quando il canto sale di un’ottava nel ritornello. No, Marco, partiamo male. Io Ti Riconosco, altro singolo che a febbraio aveva anticipato l’album, ci parla della semplicità dei gesti, e anche in questo caso non troviamo un decollo: il testo si appoggia su un arrangiamento fatto di sviolinate chitarristiche e percussioni da stadio, ma siamo tutti fermi al gate. L’aereo non parte, anche se Marco grida: “Prima di andare via!” e tenta di colorare la sua libertà con un graffiato e un sospiro, ma ciò che arriva al nostro petto è una recita maldestra.

Il 6/8 dell’intro de La Prima Cosa Da Fare, abbellito da un riff di pianoforte ben studiato e articolato e da effetti reverse che per un attimo ci danno speranza, potrebbe durare per sempre e sarebbe perfetto. Il testo riprende il titolo del disco, e il bagaglio leggero si configura come il supporto da stivare dal momento in cui decidiamo di essere umani e fratelli. Siamo tutti uguali, secondo le parole de La Prima Cosa Da Fare che raccontano anche la volontà di ricominciare, ma nel farlo si scomodano vocaboli come “multinazionali” e il senso si perde per strada in un tentativo di spronare l’umanità a fare il bene di tutti. Marco Carta ci prova, ma la sua partecipazione non nasconde l’importanza di un vecchio adagio: il suo timbro non è poetico, ma finge di esserlo.

Lontani Dal Sole è uno dei picchi della sinusoide emozionale di Bagagli Leggeri di Marco Carta in termini di arrangiamento: lo stile è vicino alla dance e quel synth nasce per restare in testa, grazie alle sonorità tipiche del pop anni ’80 del panorama italiano – una scelta piuttosto ricorrente in questo disco – ma che si presentano come un tentativo di bilanciare l’audacia della base contro l’inadeguatezza del cantato. Marco Carta racconta l’evasione spirituale di cui l’amore è veicolo, ma anche in questo caso riesce a non riuscire.

I Giorni Migliori è sempre sul filone dello stile evocativo degli anni ’80 – bello il basso sintetico e ottime le percussioni elettroniche – ma anche in questo caso dobbiamo parlare di banalità. Dai tempi di Giorni di Simone Tomassini speravamo di non incontrare più riflessioni infantili così deliberate, eppure Marco Carta le rilancia per un motivo che preferiamo non conoscere: “I giorni migliori ci cambiano, vanno avanti ma quando ritornano anche le piccole cose hanno un peso, e non trovi più scuse“. No, Marco, non ci interessa.

Un Cuore Basterà è il primo testo scritto dal cantante di Cagliari: “Un cuore basterà per volare leggeri come gli aquiloni, amore, non dimentico“. Probabilmente noi sì, noi dimenticheremo, anche se questo brano cerca un senso con un arrangiamento del tutto simile a Io Ti Riconosco, mascherandosi da coro da stadio ma senza l’impatto emotivo che scatena le folle. La paura di ciò che ascolteremo nelle tracce successive, ormai, divide e comanda: Il Meglio Di Noi è un brano spinto e veloce, ma atterra dolorosamente sull’asfalto: Marco, abbiamo capito che sei innamorato, perché lo ripeti in continuazione?

Me L’Hai Detto Tu è il secondo testo scritto da Marco Carta, un tentativo reggaeton di replicare le tematiche seduttive di Dentro Ad Ogni Brivido e con una velata citazione dei Negrita: “Me l’hai detto tu che la felicità non fa mai rumore“. Tutto il resto è noia, e il supplizio continua con L’Inizio E La Fine, terzo ed ultimo brano scritto di pugno dal cantante sardo, un’altra canzone d’amore che non si distingue e che ci fa pensare che Alberto Ferrari dei Verdena, nonostante tutto, scriva testi più sensati. Un pop leggero fatto di beat elettronici, cori e pad, in un’atmosfera quasi notturna, accompagna il brano e il sonno fino all’ultima traccia.

Levami Il Trucco chiude il disco e spalanca le finestre: possiamo riprendere a respirare. Le tre parole contenute nel titolo ritornano cacofoniche al termine del ritornello, inserite in un testo che ci racconta quanto sia importante prendere lezioni dagli errori, anche quando questi ultimi sono persone in carne e ossa che, in qualche modo, ci appartengono.

No, non è questione di gusti e tanto meno un indegno commento di chi elogia il disco dei Rammstein, critica aspramente Dolceamaro di Malgioglio e D’Urso e trova conforto tuffandosi tra la folla del Firenze Rocks per ascoltare i Tool. Chi scrive sa riconoscere la grande validità di una Romina Falconi che non è certo un’artista da pogo e headbanging, e soprattutto disprezza – e non poco – l’ultimo disco degli Smashing Pumpkins, la band di cui ha divorato tutti i dischi in adolescenza.

Bagagli Leggeri di Marco Carta, invece, è un disco che potrebbe non esistere, di cui potremmo fare a meno: l’album è oggettivamente scadente, e il grande plauso che il cantante di Cagliari ottiene ancora da un certo pubblico non è necessariamente una conseguenza di un suo talento, perché la storia del mondo dello spettacolo è piena di personaggi discutibili che durante i loro anni d’oro hanno attirato folle. Alla parola “talento”, poi, abbiamo smesso di crederci da un po’, e il cantante di cui parliamo è uno dei motivi.