Ci troviamo in un appartamento con stanze ampie e vuote, e in ognuna di esse troviamo solamente uno specchio: “Personale” di Fiorella Mannoia è la voce che ci guida per aiutarci a capire ciò che vediamo. Lo fa con il suo stile, quella musica italiana che sa parlare al mondo grazie al suo scandire con precisione ogni vocabolo, per non lasciare spazio a equivoci. Vediamo i suoi occhi profondi alle nostre spalle, mentre osserviamo il nostro riflesso ora distorto, ora opaco e ora fin troppo chiaro. Stanze apparentemente spoglie ci circondano e ogni nostro movimento viene masticato dal riverbero.
Dalla sua Roma Fiorella Mannoia sa vedere oltre il Colosseo e oltre le Terme di Caracalla, perché la sua sensibilità le dona ali robuste che le consentono di volare sul globo terrestre con una macchina fotografica come taccuino, per poi atterrare nuovamente tra noi e mostrarci i negativi delle sue istantanee. “Personale” è il suo nuovo disco, ma anche il suo primo portfolio fotografico nato dalla scoperta di una passione per la fotografia. Tredici brani in tredici immagini, e viceversa. Fiorella ha voluto condividere con il suo pubblico la sua novità, una passione nata dalla curiosità di acquistare una macchina fotografica mentre si trovava a New York e che l’ha portata, negli anni, a diventare una vera e propria predatrice di soggetti, affamata di realtà da immortalare per strada.
“Personale” di Fiorella Mannoia, come la stessa cantante afferma, ha un duplice significato: in primo luogo è un rosario di punti di vista personali sulle cose del mondo, in secondo luogo è una mostra, uno slide-show figurativo in cui ogni scatto è correlato a una canzone. Il disco vanta collaborazioni eccellenti, a partire da Ivano Fossati che ha firmato Penelope e continuando con Luca Barbarossa che ha scritto L’amore al potere. Non manca Giulia Anania, che scrive anche per Laura Pausini, Emma Marrone e Paola Turci, ma tra gli autori dei testi troviamo anche Francesca Abbate, Bungaro, Cheope, Amara, Zibba, Chiodo, Rakele, Maria Luisa de Prisco e Antonio Carluccio, che compare nel featuring che chiude il disco, Creature.
La prima stanza è la più buia e umida, e al centro di essa troviamo uno specchio che distorce la nostra immagine. Il peso del coraggio è il pugno nello stomaco che arriva a tradimento e ci toglie il respiro. Ascoltare questo brano non è semplice: «Ognuno ha la sua parte, in questa grande scena». Fiorella ci guarda dalle spalle. Vediamo il suo riflesso e troviamo una madre severa e addolorata, che ci pone di fronte alle nostre responsabilità: «Ci vorrebbe più rispetto, ci vorrebbe più attenzione se si parla della vita, se parliamo di persone». Il suo libro di parole che invitano a dare un calcio all’indifferenza è dedicato all’odio, ma alza la voce per arrivare fino a chi tiene le redini del Paese e del mondo. Lo fa con eleganza, e forse per questo Il peso del coraggio è stata la manifestazione più fraintesa dal momento della sua partecipazione a Sanremo 2019 come ospite.
La stanza che segue è più accogliente, più intima. Le pareti sono colorate e lo specchio ha una cornice piena di fantasie che rimandano alle rose, a composizioni floreali che rasentano la poesia dei sensi. Un soffio di vento discosta le tende e la luce del sole trova più terreno. Sentiamo un pianoforte e Imparare ad essere una donna diventa la colonna sonora. Di nuovo, Fiorella Mannoia, canta il mondo delle donne e bissa l’emozione di Quello che le donne non dicono. Parla di peso e di bellezza, di camminare sui quei vetri rotti che sono le scelte sbagliate. Lo fa con la musica leggera come una piuma, addolcita da un assolo di chitarra elettrica e ammorbidita da un finale pacato e gentile.
Nella terza stanza è notte. Lo specchio è sobrio e la sua cornice è composta da led che illuminano la nostra immagine. Alle nostre spalle abbiamo una finestra: «Attenzione: questa sera sui tetti di Roma, di stelle, un milione, che a guardarle c’è il rischio si avveri ogni mia previsione, ogni indecisione, persino una preghiera». Percussioni elettroniche accompagnano timidamente la ballad, con la voce di Fiorella che procede inquieta. Riparare è tutto questo, un cielo che forse riporta troppi difetti di fabbrica e una nudità emozionale da coprire perché si vede troppo il cuore. L’amore tormentato è la stella celata che in Riparare diventa dolore, ma anche un tassello del domino. Delicata, dolce, Riparare tradisce l’empatia che scopriamo tra le parole. Al termine dell’ascolto osserviamo il nostro riflesso: una lacrima solca il nostro viso senza farsi notare.
La quarta stanza è impolverata e lo specchio che impera al centro dell’area giace su vecchie polaroid. Ne prendiamo una, la osserviamo ma non facciamo in tempo: ci sfugge e precipita di nuovo sul pavimento. Osserviamo il nostro riflesso e, tra la polvere, l’immagine di Fiorella che fa capolino alle nostre spalle è disturbata dalla grana di una pellicola consumata dal tempo. Lo strazio di Smettiamo subito è suggerito dall’amore tormentato, incapace di trovare una strada condivisa: «Riassunto triste di un amore che non è più niente, non è niente. Lo hai dato sempre per scontato, e adesso cercati un passato che non può tornare». Smettiamo subito è l’unica soluzione, quella che nasce dall’impossibilità di continuare a fingere. Archi drammatici e percussioni acustiche disegnano l’addio, e non ci resta che seguire quella direzione.
La quinta stanza ha pareti tappezzate di fogli di carta sui quali sono impresse le frasi contenute nel testo. Lo specchio ha una cornice intagliata elegantemente nel legno: dettagli che diventano cuori, edera e foglie, un abbraccio che diventa il suggello di due anime che si incontrano e si scoprono affini: «Le mie difese d’acciaio si scioglievano al vento. Mi è bastato guardarti, l’amore è così, comincia in silenzio». L’amore è sorprendente canta la scoperta, il paradiso, il rifugio nella poesia del sentimento più complicato e infettivo. Schiena contro schiena, i due amanti trovano complicità. Il ritornello ripete il titolo e una luce si irradia dall’alto, come un occhio di bue, per mostrarci il nostro riflesso illuminato da una forza ultraterrena che ci fa stare bene, che ci protegge.
La sesta stanza è glitterata e le luci che troviamo al suo interno si muovono, vivaci, per regalarci un po’ di meritata spensieratezza. Ci riflettiamo in uno specchio colorato e retroilluminato. Fiorella, di nuovo, arriva alle nostre spalle e con mani affettuose ci fa indossare un paio di occhiali da sole. Siamo Tony Manero, siamo Madonna, siamo Alberto Camerini e siamo qui per ballare e respirare. Il senso, con simpatia, ci restituisce una sala da ballo degli anni ’80 con un beat elettronico e sintetizzatori audaci come le parole del testo: «Lo sai, ti voglio bene anche se litighiamo, e non ha senso questo amore se non lo facciamo. Abbiamo senso solo io e te». Le consonanti spingono sulle dinamiche con articolazioni che partecipano al groove, e il risultato è pura serotonina che ci fa scaricare i nervi con il movimento.
“Personale” di Fiorella Mannoia ci indica la strada verso la settima stanza. Entriamo e la porta cigola. Muoviamo passi indecisi verso lo specchio e notiamo qualcosa di strano: troviamo una cornice ovale e vuota, e non possiamo osservare il nostro riflesso. Fiorella prende quel posto mancante e, per la prima e unica volta del nostro percorso sonoro, ci guarda negli occhi. Un pezzo di pane è uno scenario di desolazione. Intorno a noi giacciono coriandoli inanimati e figure enigmatiche: «Una corona di spine metterai sulla mia testa, e quando arriva la fine aspetteremo seduti vicino alla finestra. Ci faremo risate se ancora da ridere resta». Fiorella ci racconta il vuoto, il silenzio che assorda quando è presente un’assenza, un epilogo che nessuno sperava. Un pianoforte e una sessione d’archi intercalano l’epicità di un brano intenso ed emozionante. Siamo vuoti anche noi, ora che la canzone volge al termine come la storia che racconta. Nudi, disorientati e disperati. Eppure Fiorella allunga una mano da dietro la cornice che per questi 3 minuti ha voluto riempire, ci fa una carezza e ci ristora.
Un’ottava stanza non è presente, perché Penelope ci intrattiene nel corridoio per ammirare quadri con scorci del mondo impressi su tela. È lui, Ivano Fossati, paroliere e musicista della traccia più suggestiva di “Personale” di Fiorella Mannoia. Spirito latino, basso efficace, fisarmonica e bellezza sono gli ingredienti che muovono le nostre mani lungo le pareti per tastare una tappezzeria rossa come il tramonto e un pavimento lucido come la perspicacia. In questo momento Fiorella ci lascia da soli per non rubarci l’attenzione da questo spettacolo musicale. Una jam session tra gli strumentisti diventa un binocolo con il quale osserviamo il Sud, il mare, la città in estate e i piccoli borghi antichi.
Un nuovo locale, la nona stanza, ha due specchi. Due come le strade di un bivio, due come i sentimenti contrastanti e due come le forze belligeranti dell’indecisione. Resistenza è una parola forte, e se Federica Abbate e Cheope l’hanno scelta per costruirci una canzone e affidarla alle corde di Fiorella Mannoia, bisogna dirlo, hanno scelto di vincere. Una ballad dal sapore classico, un soffio di coraggio che riprende l’energia della canzone che apre la tracklist: «Perché anche un solo passo fa la differenza, e l’uno dopo l’altro diventa resistenza». Due specchi: uno per noi, uno per Fiorella. I riflessi sono disposti l’uno di fronte all’altro e l’effetto è quello dell’infinito. Chiunque deve dire “basta”, chiunque ha il diritto di smuovere il vento e comandare i propri elementi. La resistenza può essere anche una sola parola, specie quando la si ripete. “Personale” di Fiorella Mannoia è soprattutto questo: una pacca vigorosa sulla spalla, un invito a cambiare ciò che ci uccide.
Nella decima stanza sentiamo un caldo soffocante, qualcosa che per qualche istante ci fa valutare l’idea di proseguire oltre senza soffermarci. Fiorella ci prende per mano e ci invita a restare: «Abbiamo imparato a vivere veloce, senza guardare indietro. Trattenuto le lacrime in gola prima di ogni partenza». Una luce soffusa ci consente di raggiungere il nuovo specchio, un artificio fai-da-te inchiodato al muro, in barba all’accuratezza di ciò che abbiamo trovato nelle stanze precedenti. Uno specchio improvvisato, ma che con Anna siamo tutti quanti trova un senso. Tutto comprime e imprigiona, il caldo rende l’aria irrespirabile, e la nostra voglia di liberarci da quello stato di costrizione la vediamo riflessa in quel doppio vetro maldestro che a malapena mostra il nostro riflesso: ci vediamo sudati, a disagio, con le spalle che danzano su e giù trascinate dal fiato corto. “Anna” è la personificazione di chi si sente soffocato dai canoni sociali, di chi lotta per una propria identità. La protagonista, alla fine del brano, riesce a correre libera da catene.
Nell’undicesima stanza troviamo un cattivo odore. Avanziamo nel tetro buio e sulla nostra testa pendono catene, corde e abiti stracciati fissati sul solaio. Una candela illumina a malapena lo specchio e con fatica tentiamo di raggiungerlo. I nostri piedi calpestano chiodi, macerie, oggetti infranti e cadaveri di palloncini esplosi. Ora siamo di fronte allo specchio e ne accarezziamo il vetro. È rotto e macchiato di sangue. Carillon è una danza, una ninna nanna in 6/8 che Fiorella canta dalla porta, perché questa volta non può stare alle nostre spalle per guidarci. L’amore è un sentimento tormentato, perché può essere tossico quando del sentimento non esistono più i colori. Il tema è quello della violenza, dell’incapacità di riprendere le proprie vite,: «Abiti questo silenzio perché fuori più niente è permesso, e provi a nascondere a stento il dolore che hai dentro». Poi il vero dolore, il vero inferno: «Ma poi, ogni volta, gli riaprirai la porta e, come in un carillon che non suona più, la tua vita è ferma e non gira più». Il brano si chiude con un messaggio: «L’amore non è così». Osserviamo il nostro riflesso su quello specchio macchiato di sangue. Abbiamo un occhio nero, ora, anche noi.
La dodicesima stanza è la più spaziosa, quella con la vista migliore. Ampie vetrate mostrano la Basilica di San Pietro e Castel Sant’Angelo, perché L’amore al potere, scritta da Luca Barbarossa, è cantata in dialetto romano. L’amore amaro e il disincanto diventano metafore politiche: «Si voi lava’ con l’acqua le ferite nun t’abbasterebbe tutto er mare. L’amore nun c’ha mai la maggioranza, è l’odio che comanna le persone. E noi, che nun perdemo la speranza, con le carezze famo opposizione». Il nostro specchio, in questa stanza, è il nostro smartphone. Ci allineiamo al mondo di oggi e rispondiamo a ciò che non piace della politica con i nostri selfie, pronti a condividere sui social la nostra giornata anche se nessuno ne ha fatto richiesta.
Un coro chiude il brano e là fuori, sul Cupolone e su Castel Sant’Angelo, cala il tramonto. Usciamo a osservare la città dal balcone in stile liberty, perché le stanze sono finite ma resta ancora qualcosa da vedere. Creature è il grido finale, quello più violento che Antonio Carluccio intona in dialetto napoletano su una base rock. I due artisti dialogano e raccontano ciò che vediamo dal balcone: sangue, violenza, omicidi e innocenti stesi sull’asfalto in un teatro color porpora. Un mondo che ancora non guarisce si apre dinanzi ai nostri occhi e noi siamo lì, impotenti, a fare gli spettatori. Il nostro tredicesimo specchio è proprio quella pozzanghera rosso-sangue: su di essa scorgiamo il nostro riflesso, la nostra sagoma ondeggiante che osserva l’orrore da un balcone.
Termina Creature, termina il disco e torniamo dentro. Niente è come prima: rivediamo quegli specchi stipati, ora, in un’unica stanza. Fuori è notte e dobbiamo andare via. Lasciamo quell’appartamento e ci ritroviamo fuori da quell’edificio, ma accade qualcosa: abbiamo messo i piedi in quella pozzanghera di sangue, e quel sangue diventa anche nostro. Siamo sporchi di quel sangue. Osserviamo verso il cielo per imprecare e il nostro sguardo incontra il balcone dal quale ci eravamo affacciati prima. Al nostro posto c’è lei, Fiorella Mannoia, che ci osserva. Abbiamo capito, finalmente. “Personale” di Fiorella Mannoia ti si imprime addosso e non ti lascia nemmeno dopo aver terminato l’ascolto.
Con le sue canzoni, la cantante romana guarda tutti negli occhi e lo fa con la fermezza di una sorella maggiore, un’amica saggia e capace di trovare le parole giuste al momento giusto. Lo farà anche dal vivo perché, fedelmente alle scelte del disco, i suoi show daranno più spazio ai musicisti per divertire e intrattenere al massimo. Il tour partirà da Firenze il 7 maggio e la terrà impegnata fino a ottobre, ma le informazioni sono in continuo aggiornamento.
“Personale” di Fiorella Mannoia è l’esempio della musica italiana che sa parlare al mondo, o meglio, a tutti i mondi, anche quelli personali.