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Home Serie TV Serial Stalkers

L’eredità di Scandal, come ha cambiato il racconto della politica in tv

Dall'estetica ai dialoghi, anni dopo la sua conclusione Scandal resta una serie che ha fatto la storia nel suo genere

di Claudia Gagliardi
08/05/2020
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INTERAZIONI: 622

INTERAZIONI: 622

Nella primavera 2018 Olivia Pope lasciava il piccolo schermo con un finale agrodolce e a suo modo aperto per l’anelito verso il futuro. Due anni dopo Scandal lascia Netflix e sbarca su Hulu (negli Stati Uniti, mentre in Italia è disponibile con tutte le stagioni su Prime Video) e il suo cast continua a ricordarla come un gioiello del quale essere orgogliosi di aver fatto parte.

A freddo, dopo molto tempo dalla sua conclusione con la settima stagione, si può dire che il segno lasciato da questa serie di Shonda Rhimes non è solo nei primati pur importanti che ha raggiunto: su tutti, c’è il fatto che Kerry Washington sia diventata con la sua Olivia Pope la prima protagonista afroamericana in una serie drammatica in quasi 40 anni. La varietà etnica dei membri del cast è un altro valore aggiunto, ma più di tutto lo è il fatto che i loro personaggi non siano definiti ed etichettati in base alla loro etnia. Questo rende Scandal non necessariamente uno spettacolo rivolto ad una specifica comunità, piuttosto una serie generalista in cui persone di colore e caucasiche (soprattutto donne, più che mai centrali in questa serie) possano riconoscersi perché rappresentate sullo stesso piano, nello stesso ambiente, con incarichi e mansioni di potere, mostrate per quel che sono e non per la loro razza.

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Ma è anche nei suoi contenuti che Scandal ha contribuito a cambiare la tv, con un racconto della politica, della comunicazione e del rapporto Stato-cittadini che ha incollato davanti alla tv presidenti degli Stati Uniti, first lady, giornalisti, intellettuali, tutti alla ricerca – sullo schermo – di quei meccanismi vissuti nella vita reale, nelle campagne elettorali, nei corridoi della White House, nelle sedi dei network tv.

Ecco cinque motivi per cui Scandal ha cambiato il genere political drama in tv, con inevitabili effetti sulle serie che sono venute dopo o sono nate quasi in contemporanea – da House of Cards a Madam Secretary passando per Borgen e Designated Survivor – nonostante il progressivo calo di qualità che fisiologicamente ha accompagnato la sua fine (qui la nostra recensione del finale di serie).

Il racconto del Deep State

Il personaggio di Olivia Pope, la crisis manager più brillante e ricercata di Washington, allieva del capo dello staff del Presidente Cyrus Beene, è liberamente ispirato alla storia di Judy Smith, ex membro della Casa Bianca negli anni della presidenza di George HW Bush e nota fixer dai clienti rinomatissimi (ha rappresentato, tra gli altri, Monica Lewinsky e Michael Vick). Ai suoi casi è ispirata la vita professionale della Pope, con la Smith che figura anche come consulente co-produttrice dello show. Attraverso questo personaggio che conosce profondamente le logiche della comunicazione politica ed istituzionale, i rapporti tra media e classe dirigente, i meccanismi della macchina amministrativa più profondi e perfino segreti – e che per inciso ha anche una storia d’amore col Presidente repubblicano degli Stati Uniti – Scandal ha azzardato un racconto certamente fantasioso e in gran parte surreale del cosiddetto Deep State, ovvero delle strategie invisibili che dettano l’agenda della politica, dei poteri economici e militari nascosti capaci di condizionare le istituzioni pubbliche, delle lobby di ogni tipo in grado di influenzare l’azione di governo. Una rete di poteri e intrecci che in Scandal emerge attraverso le figure topiche della serie, sempre pronte a farsi contaminare e condizionare da forze più grandi di loro.

La politica, le grandi cause civili e i sentimenti

Sì, si può tenere tutto insieme. Certo dopo un po’ la trama sa di surreale, ma d’altronde quale opera di pura finzione non mette alla prova lo spettatore spingendolo a sospendere il giudizio sulla verosimiglianza di ciò che sta guardando? Scandal è stata capace di mescolare la fantapolitica con la soap opera, il thriller giudiziario con il dramma sociale. Ha raccontato le violenze della polizia contro gli afroamericani, le sentenze di un sistema giudiziario squilibrato e corrotto, la sottomissione dei governi alle lobby, l’anima guerrafondaia degli americani e la sua dura convivenza con ideali più progressisti. Un turbine inestricabile di vicende pubbliche e private, personaggi ispirati a persone realmente esistite o inventati di sana pianta, per affrontare temi spesso di grande attualità, che hanno trovato nella protagonista Olivia Pope e nei suoi “gladiatori in doppio petto” un modo sempre avvincente e drammatico per esplicarsi sullo schermo.

I monologhi operistici e i dialoghi serrati

Forse il tratto migliore di questa serie, ciò che davvero ha sempre lasciato lo spettatore a bocca aperta. Le tensioni emotive e morali di Olivia, donna afroamericana in una posizione di potere circondata da bianchi, le sofferenze dell’omosessuale represso Cyrus, gli scontri tra Mellie e suo marito Fitz divorati dall’ambizione, i Gladiatori costretti a misurarsi con la loro anima nera: sono situazioni che hanno generato dialoghi serratissimi, dal ritmo tanto frenetico quanto drammatico, e monologhi quasi operistici, da ascoltare come una melodia, dalla dimensione teatrale, carichi di citazioni storiche, di emotività e della grandeur quasi musicale tipica dei migliori oratori.

I personaggi tridimensionali

Mai solo buoni o solo cattivi, ognuno in Scandal ha un lato oscuro ben evidente, che spesso prende il sopravvento sui migliori ideali. Tutti sono pronti a mettere in discussione ciò che credono di essere e prima o poi tutti finiscono per mentire, corrompere, perfino uccidere. La morale di Olivia Pope e dei suoi “cappelli bianchi” è spesso smorzata da cadute verso abissi di compromesso con l’illegalità, l’egoismo, il male assoluto a cui spesso si cede e non sempre in nome di un bene più alto. Non è sempre e solo il machiavellico fine che giustifica i mezzi a muovere i personaggi di Scandal, ma un profondo intreccio tra ciò che vogliono per se stessi, ciò che credono sia giusto per la società e ciò che sono disposti a sacrificare. Nessuno di loro può assurgere a modello, nessuno ha mai rinnegato i propri presunti ideali, nessuno può scagliare la prima pietra. E se da un lato questo pone un grosso problema di incoerenza per i singoli personaggi, è d’altro canto più realistico di quanto non sia la manichea e stantia distinzione tra eroe buono/antieroe cattivo che per anni ha dominato i soggetti e le sceneggiature televisive.

Un’estetica impeccabile

Ogni aspetto visivo in questa serie è una meraviglia per gli occhi: i costumi sono spesso capi pregiati d’alta moda, le ambientazioni (la casa Bianca, la sala ovale, i corridoi della West Wing, le case dei personaggi, lo studio di Olivia) sono curate nel dettaglio, i colori sono usati come palette magnetiche che rendono ogni scena una sorta di quadro. Un gusto impeccabile che ha contribuito a rendere questa serie un prodotto ammaliante e seduttivo, da divorare in modalità binge-watch.

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Tags: scandal

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