Non è ancora chiaro se il finale de La Casa di Carta arriverà con la quinta o (più probabilmente) con la sesta stagione, ma certamente, nonostante la tentazione di Netflix di capitalizzare il più possibile questo inatteso successo, prima o poi la serie dovrà concludersi. E secondo il suo protagonista, Alvaro Morte, dovrebbe farlo con uno scopo ben preciso.
L’attore spagnolo, ora anche nel cast della miniserie HBO-Hulu The Head, ha sempre professato la sua fedeltà alla serie che lo ha consacrato presso il grande pubblico internazionale e che gli ha permesso di dare una svolta ad una carriera in stallo, come ha raccontato lui stesso. Per la riconoscenza che nutre nei confronti di Alex Pina e de La Casa di Carta, sarà ancora il volto del Professore, ideatore delle rapine alla Zecca e alla Banca di Spagna, per tutte le stagioni che Netflix e Vancouver Media decideranno di realizzare nei prossimi anni, ma ha anche ben chiaro come vorrebbe che fosse l’epilogo della saga dei rapinatori in tuta rossa e maschera di Dalí.
Per Alvaro Morte l’ideale conclusione della serie dovrebbe essere contrassegnata da un ritorno alle radici della storia, per recuperare uno scopo più alto, un orizzonte ideale da attribuire alle azioni criminali dei protagonisti. Non solo ladri che non vogliono spargere sangue, che vogliono stampare i propri soldi senza rubarne o che assaltano la riserva aurea nazionale per sfidare la polizia che nega i diritti umani ad uno di loro quando viene arrestato. Non dei Robin Hood che restituiscono soldi a loro stessi, ma dei personaggi capaci di farsi carico di quanto le loro azioni abbiano avuto un impatto sulla società e – per estensione – di quanto la serie sia diventata popolare e motivatrice, di quanto abbia saputo ispirare comportamenti, proteste, movimenti in tutto il mondo.
In parte la terza stagione aveva accennato, con una sorta di riferimento meta-televisivo, all’influenza dei personaggi sul mondo esterno, mostrando scene reali di stadi, piazze, strade piene di manifestanti per i diritti civili e contro la corruzione politica in diversi Paesi del mondo con maschere e divise che richiamavano la serie. Ecco, quello spirito antisistema – presente nella terza e nella quarta stagione anche quando si tratta di minacciare la rivelazione di segreti di stato imbarazzanti per l’establishment istituzionale europeo – dovrebbe informare il finale de La Casa di Carta, renderlo più carico di significati simbolici.
Lo ha spiegato bene, a fotogramas.es, Alvaro Morte, che ha delineato così il suo finale de La Casa di Carta ideale.
Avrebbe senso tornare a come tutto è iniziato, ma dopo aver fatto qualcosa che consenta alla società, se non di cambiare, almeno di evolversi in una direzione migliore. So che è molto ambizioso, ma ci sono molte persone che, nel bene e nel male, hanno cambiato la storia. C’è Gandhi o Hitler. Mi piacerebbe molto pensare che il Professore si renda conto che ci sono persone che nel mondo traggono ispirazione da loro. In Cile ci sono stati scontri con persone vestite di rosso che indossavano la maschera di Dalí per protestare contro le ingiustizie sociali…
Morte opterebbe quindi per una conclusione che ampliasse il senso generale della serie: non solo un gangstar movie a puntate ma anche una storia con un disegno più ampio che includa una spinta ideale, capace di andare oltre le singole storie e di tracciare l’idea di un cambiamento storico: “Il finale dovrebbe includere l’apertura di un varco che faccia in modo che le cose possano davvero cambiare” ha commentato Morte al debutto della quarta stagione. In che modo ciò possa avvenire (restituendo alla società parte del malloppo, destinando l’oro della riserva nazionale a scopi più alti, costringendo il governo ad azioni di trasparenza?) non sta a Morte deciderlo. Ma se gli sceneggiatori decideranno di seguire il suo consiglio, certamente la serie ne gioverebbe non poco, dopo aver perso molta consistenza e coerenza nella sceneggiatura della quarta stagione (qui la nostra recensione).