La storia del primo album dei Doors è quella del Whisky a Go Go, lo storico locale di West Hollyood, in California, dove i 4 ragazzi erano ormai una resident band.
Al loro cospetto arrivò Jac Holzman insieme a Paul A. Rotchild. Il primo era il proprietario della Elektra Records, il secondo era destinato a diventare lo storico produttore della band. Holzman, soprattutto, aveva accolto l’appello di Arthur Lee dei Love: “Dai una possibilità a questi ragazzi”, e la scelta si rivelò azzeccata. Fuori dal Whisky a Go Go si gettarono le basi di un progetto che di lì a poco era diventati leggenda. Era il 1966 e solamente un anno prima Jim Morrison e Ray Manzarek avevano fatto accoppiare i loro cervelli sulla spiaggia di Venice Beach.
Robby Krieger e John Densmore completavano la formazione, e tutto fu vincente soprattutto dopo la parentesi della bassista Patricia Sullivan, che proveniva dalla formazione dei Ravens. Jim Morrison scriveva le sue liriche in rapimento mistico, sempre, e questo aveva già fatto di lui una punta di diamante che emergeva in un contesto storico e musicale dominato dalla Beatlemania.
Nell’agosto 1966 i Doors entrarono in studio e scrissero la loro storia più importante. Il primo album è enciclopedico, genuino per l’originalità delle influenze e sincero nel percorso, perché dopo il primo album dei Doors tutto il mondo del rock conobbe la rivoluzione che tutti cercavano.
Lontani dal rockabilly e dal flowa powa, i Doors coniugarono il rock’n’roll con il blues e con prepotenza aggiunsero la psichedelia nella sua più pura accezione: brani acidi, percussioni virtuose, chitarre disturbate e messaggi evocativi. La voce di Jim Morrison e i suoni di Ray Manzarek fanno scuola ancora oggi, e il loro merito è di aver dato una lezione al mondo intero a partire dal primo album.
Sì, perché il primo album dei Doors è il disco di Break On Through (To The Other Side), Light My Fire, Soul Kitchen, The Crystal Ship, Back Door Man, Alabama Song e The End, ed è davvero raro trovare tanti capolavori in un solo disco in studio, specialmente quando si tratta della prima release.
Eppure il mondo ricordava che Jim Morrison esordì sul palco del London Fog di Sunset Strip dando le spalle al pubblico, e forse non immaginava che di lì a pochi anni sarebbe diventato una vera icona del rock, una semi-divinità oltraggiosa e sensuale, un profeta inconsapevole dell’estetismo e della trasgressione ma soprattutto una rockstar rivoluzionaria e controversa fatta di bellezza e capacità.
Poeta maledetto dopo i poeti maledetti, Jim Morrison è ancora oggi un modello inimitabile, e ciò che lo rende unico è il suo stile nel canto: dal graffio viscerale di Break On Through riusciva a cambiare pelle e a farsi più rassicurante e profondo in The Crystal Ship, fino a dirigere un’intera orchestra di spiriti in The End.
John Densmore riusciva a vestire di jazz il rock’n’roll, grazie alle esplosioni di Break On Through in cui metteva insieme bossanova e rock, grazie alle mitragliate di Light My Fire e alla delicatezza mistica di The End. Stava al sicuro, John, grazie alle pareti sonore di Krieger e Manzarek che letteralmente lo proteggevano.
Ogni singola nota del primo album dei Doors non è messa lì a caso, nemmeno nel lungo bridge di Light My Fire che si presenta come un’improvvisazione ma che nella realtà è la traduzione in musica di una notte vissuta nel fuoco ardente della passione.
Di ogni singola traccia del disco si è detto e scritto tanto, ma non è mai abbastanza: senza il primo album dei Doors, omonimo ed epico, non avremmo conosciuto quello spaccato culturale e sonoro che era l’America degli anni ’60. Il mondo stava cambiando e nessuno era innocente, e questo era il messaggio che la band preparava per il disco successivo, quello Strange Days che sarebbe uscito nel mese di settembre dello stesso anno.
Se The Doors era la pace, Strange Days era la guerra, e la band riusciva a spingere al massimo anche quando diventava l’antitesi di se stessa. The End chiudeva la prima esperienza in studio ma la parola “fine” non fu mai scritta, nemmeno quando il Re Lucertola si spense in quella vasca da bagno di Parigi.
Con il primo album dei Doors, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles, Let It Bleed dei Rolling Stones, Electric Ladyland di Jimi Hendrix, Ummagumma dei Pink Floyd, Space Oddity di David Bowie e tantissimi dischi rivoluzionari che di sicuro stiamo dimenticando – i primi due album dei Led Zeppelin, per esempio – gli anni ’60 potevano finalmente riposare in pace, dopo aver trovato in tutti questi artisti i più grandi portavoce di un’epoca che poteva configurarsi come un pianeta indipendente, acido e pieno di bellezza.