Inconfondibile, virtuoso ed energico, Let it Bleed dei Rolling Stones usciva negli Stati Uniti dopo un anno travagliato per l’intera band: la scomparsa del chitarrista Brian Jones, avvenuta il 3 luglio 1969 ad appena un mese dalla sua estromissione dal gruppo. Alla base della scelta vi erano i suoi continui problemi con la giustizia, tanto da impedirgli di ottenere il visto per gli Stati Uniti, tappa importantissima per il tour che i Rolling Stones stavano per inaugurare. Il 13 giugno fece il suo ingresso Mick Taylor.
Già durante le fasi di lavorazione di Let it bleed dei Rolling Stones si vociferava che la scelta del titolo fosse una parodia di “Let it be”, l’album sul quale i Beatles, loro cugini buoni, stavano lavorando nello stesso periodo. La produzione era stata affidata a Jimmy Miller, lo stesso che qualche anni più tardi avrebbe collaborato con nomi come i Motörhead e i Primal Scream, ma che dedicò gran parte del suo lavoro ai dischi successivi dei Rolling Stones.
Per quanti sentono parlare per la prima volta di Let it bleed dei Rolling Stones possiamo dire che questo è il disco di Gimmie Shelter – poi divenuto Gimme Shelter – brano che apre le danze e con quell’intro alla quale di sicuro si sono ispirati i Supergrass nel singolo Mary. Paura e nichilismo colorano tutto il testo, con la soprano Merry Clayton che intona il ritornello “War, children, is just a shot away! / La guerra, bambini, è lontana solo uno sparo!” e che racchiude il senso di angoscia che il mondo intero, in quegli anni, viveva in seguito alle notizie sulla guerra del Vietnam. Ancora oggi Gimme shelter è considerata una delle canzoni rock più importanti di tutti i tempi.
Successivamente Love in vain suggella l’ironico legame che gli Stones, si diceva, avessero col Diavolo. Si tratta, infatti, di una reinterpretazione del brano Love in vain blues di Robert Johnson, il bluesman che secondo la leggenda aveva venduto l’anima al Maligno. Un falò, bottiglie dal contenuto misterioso e tenebre disegnano il perimetro di Country Honk, dichiarata rivisitazione di Honky tonk women che la band aveva lanciato come singolo durante l’estate dello stesso anno.
Ancora, la title track Let it bleed, nella quale regna il sound acustico del pianoforte e che tutti abbiamo sentito in spot, film e nei negozi – quelli che ancora trasmettono Musica, ndr – è, insieme a Gimme shelter, You got the silver (dove canta Keith Richards) e You can’t always get what you want ciò che maggiormente rappresenta l’intera opera. Quest’ultimo brano chiude Let it bleed dei Rolling Stones con epicità, grazie all’apporto del London Bach Choir che crea l’addizione tra la voce di Mick Jagger, la malinconia della chitarra acustica e il testo concentrato su delusioni e angoscie giovanili che solo chi viveva gli anni ’60 poteva conoscere. Il coro guarnisce con maestosa attitudine, grazie anche all’attacco vocale che apre il brano.
Let it bleed dei Rolling Stones è il disco che chiude i faticosi anni ’60 e bussa timidamente ai ’70, con quel vigore di chi è pronto ad affrontare uno stato di cose in continuo e frenetico cambiamento. Non è un caso se i critici parlano di una vera e propria opera rock, perché Let it bleed dei Rolling Stones è impegno, devozione ed esperienza. L’album risponde a suon di blues, pop, rock e ballad a una guerra che dilania il pianeta, alle contestazioni giovanili e all’epoca hippie giunta al capolinea.