Emily in Paris 2 non si sposta di un millimetro e risponde alle critiche con più amorazzi, marketing spiccio e Parigi da cartolina

Emily in Paris 2 fu travolta dalle critiche al suo esordio, ma a quanto pare il creatore Darren Star ha rincarato la dose ignorandole tutte


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Emily in Paris 2 non si sposta di un millimetro rispetto alla prima stagione. Semmai, nel rispettare la regola aurea che squadra che vince non si cambia, ripropone pari pari gli stessi stilemi che ne hanno fatto inspiegabilmente un successo nell’ottobre del 2020, quando una Lily Collins fastidiosamente radiosa ad ogni scena ha impersonato una giovane addetta marketing americana in trasferta a Parigi nella prima stagione della commedia di Darren Star.

Proprio lui, il papà di Sex and The City, in Emily in Paris 2 sembra aver ignorato completamente tutte le critiche – unanimi, giova ricordarlo – al suo format, che ha registrato enormi flussi streaming ma ha anche fatto imbestialire molti. I francesi, prima di tutto, per l’enorme quantità di stereotipi sulla Francia, la lingua francese, l’attitudine altezzosa dei parigini. Ma anche gli americani, dipinti come superficiali, privi di gusto e molto kitsch, in un continuo guardarsi dall’alto in basso a seconda della provenienza geografica. E pure quelli che lavorano nel marketing, ritratti spesso come delle macchiette. Il fatto che la serie abbia conquistato anche una doppia candidatura ai Golden Globe nella scorsa stagione ha messo il cappello sulla montagna di critiche piovute addosso al format, la cui inconsistenza spacciata per leggerezza è parsa chiarissima a tutti (qui la nostra recensione della prima stagione).

Ebbene, Emily in Paris 2 di queste critiche se ne frega altamente. Gli stereotipi sui francesi ci sono ancora anche se meno espliciti e pacchiani. Inoltre stavolta si affiancano a quelli sugli inglesi col nuovo personaggio di Alfie, arrivato dalla City londinese per lavoro e per niente succube del fascino da città instagrammabile. La commedia degli equivoci dalle trame scontatissime continua con altrettanti amorazzi, tradimenti, triangoli amorosi prevedibilissimi (la noia del circuito Emily-Gabriel-Camille raggiunge qui vette insuperabili, con blandi tentativi di mostrare la sensibilità della protagonista). Il marketing spiccio è protagonista in ogni episodio, con clienti più diversi accontentati con quattro slogan in croce come questo mestiere fosse fatto solo di intuizioni e colpi di fortuna. I costumi improbabili della protagonista erano parsi ai limiti dell’assurdo nella prima stagione per abbinamenti, colori, accessori ed ecco che in questa seconda sembrano ancora più amusantes, per dirla alla francese. La Parigi da cartolina diventa ancora più centrale di quanto non lo fosse nella prima stagione, anche grazie all’evidente incremento di budget che Netflix ha potuto effettuare dopo il riscontro ottenuto dalla serie: dal battello sulla Senna all’Arco di Trionfo, passando per la vacanza a Sant-Tropez e i pranzi davanti al Louvre, non c’è un episodio di Emily in Paris 2 che non regali una location da sogno, mostrando una città che sembra uscita da una guida turistica e non vivere alcuna contraddizione al suo interno (e sappiamo bene che non è così, come sottolinea con cinico realismo il personaggio di Alfie). La “città dell’amore” al quadrato, insomma.

Emily in Paris 2 procede esattamente come la prima stagione tra i tentativi di integrazione (soprattutto linguistica) della protagonista e le improbabili avventure professionali in cui si imbatte, con la storia d’amore “con data di scadenza” tra Emily e Gabriel che domina l’intera trama. In sostanza non sembra nemmeno di vedere una nuova stagione ma una prosecuzione della prima con gli stessi identici temi, contenuti ed esercizi di stile, senza il minimo upgrade. Con l’unica differenza che stavolta sono in molte a rubare la scena alla protagonista, in particolare Ashley Park nei panni della cantante in cerca di ribalta Mindy, con le sue numerose e scenografiche performance canore, e una sempre più brillante Philippine Leroy- Beaulieu, che impone il carisma della sua Sylvie in tutte le scene in cui appare.

Per il resto davvero non c’è altro degno di nota in Emily in Paris 2, che però sembra aver trovato la sua formula liquida, impalpabile e replicabile per continuare a lungo.

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