Dentro il Ghettolimpo di Mahmood, un mondo dark e atmosferico di rara bellezza (recensione)

Mahmood apre le porte del Ghettolimpo, un mondo a tratti labirintico e a tratti aperto, con atmosfere dark e un tributo alla musica sarda

ghettolimpo di mahmood

INTERAZIONI: 3

Esce Ghettolimpo di Mahmood e tutti siamo su quel monte, dove la roccia è imbrattata di graffiti segnati da tutti gli eroi presenti nel disco. Alessandro Mahmoud ha fatto pace con la sua Gioventù Bruciata e in due anni e mezzo di lavoro ha costruito il suo tempio. Lo ha fatto nonostante la pandemia, lo ha fatto nonostante tutto.

Se Gioventù Bruciata era un’anteprima dell’artista che avremmo conosciuto, Ghettolimpo è quell’artista. Chi si aspettava brani rap pieni di dissing e ostentazioni deve capirlo: Mahmood è un’altra cosa. Le sue infrastrutture brillano di dark a partire da Dei, la traccia di apertura del disco. Suoni e scale ipnotiche arrivano subito con i paesaggi immensi della title-track, che arriva dopo meno di 3 minuti.

Di Rapide, Dorado, Inuyasha, Zero e Klan sappiamo già tutto, e se le ascoltiamo all’interno del contesto di Ghettolimpo di Mahmood suonano addirittura eterogenee. Questi singoli, infatti, sono i colori necessari a notare l’oscurità dipinta da Mahmood e che trova armonia e curve sinuose in Rubini, il featuring con Elisa che è un trionfo di accordi vocali perfetti e calibrati.

Ci si innamora di Kobra, grazie a quel taglio urban che sconfina nell’elettronica più cupa e distorta, un trip fatto di lampi e lame. Ciò che non può lasciare indifferenti è T’Amo. Una dedica appassionata alla madre con quell’inserto tutto in lingua sarda di No Potho Reposare, canto folk capace di far innamorare anche chi non capisce le parole. C’è dell’anima, eccome se c’è.

Altre perle come Baci Dalla Tunisia e Karma placcano in oro il disco. La prima, un synth-pop anni ’80, si chiude con un’apertura orchestrale che quasi spaventa. La seconda, un featuring con Woodkid, ha il sapore di una bellissima hit internazionale. Il Ghettolimpo di Mahmood è tutto questo: gli dei che prendono la parola, sporchi di vernice, per raccontare la maturità di un artista che non imita nessuno, mai.