Maledetta Primavera, la delicatezza dello sguardo di un romanzo di formazione sull’adolescenza

Elisa Amoruso dopo il documentario su Chiara Ferragni dirige il suo primo film di finzione. Una storia autobiografica sulle scoperte dell’adolescenza di una ragazzina con una famiglia difficile. Con Micaela Ramazzotti, Giampaolo Morelli

Maledetta Primavera

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Diciamo la verità, dopo il video corporate travestito da documentario Chiara Ferragni: Unposted, non è che nutrissimo troppe aspettative sul primo lungometraggio di finzione di Elisa Amoruso. Il quale tra l’altro, assecondando un vizio sempre più diffuso nella commedia italiana, ha un titolo, Maledetta Primavera, preso di peso da una canzone famosa, in questo caso di Loretta Goggi (dopo i vari La Prima Cosa Bella, Mio Fratello È Figlio Unico, Questo Piccolo Grande Amore, Notte Prima Degli Esami eccetera eccetera).

E invece è un film che si sforza di sfuggire alle ruffianerie delle solite commediole giovanilistiche e possiede un tono agrodolce e sospeso in cui tanto le vicende tanto degli adulti che delle adolescenti protagoniste compongono un ritratto familiare che riesce a suonare sincero – e che si mostra come apertamente autobiografico.

Maledetta Primavera, dalla cui sceneggiatura la Amoruso ha ricavato anche il romanzo Sirley, pubblicato da Fandango Libri, racconta la vicenda, ambientata sul finire degli inaggirabili anni Ottanta, di Nina (Emma Fasano, già vista in Genitori Vs Influencer), una adolescente che vive il trauma di un improvviso trasferimento da un quartiere della Roma borghese verso i palazzoni anonimi della periferia di Roma Sud. La famiglia è stata sfrattata per colpa del padre Enzo, affettuoso ma cialtrone (Giampaolo Morelli, in un ruolo che nel cinema italiano d’una volta sarebbe andato d’ufficio a Walter Chiari), maneggione che come secondo lavoro vende macchine fotografiche di dubbia provenienza ai mercatini e che è la disperazione della moglie Laura (Micaela Ramazzotti), ancora innamoratissima di lui ma in perenne apprensione.

Nina si ritrova a frequentare una rigida scuola di suore, dove conosce una compagna di classe non meno disadattata di lei, Sirley (Manon Bresch, troppo adulta per il ruolo), proveniente dalla Guyana, nera, adottata e che s’ostina a parlare francese. Nina però parla la sua lingua (elemento indizio metaforico di molto altro) e il legame tra le due, dopo le iniziali schermaglie diventa viscerale e totalizzante. E la tensione della loro amicizia pare nascondere qualcosa di più, con cui le due protagoniste dovranno fare, in qualche modo, i conti.

Festicciole in casa vintage, il giro sulla giostra al ralenti, la canzone cantata a squarciagola in automobile (un must trasversale del cinema italiano, tanto di film pop che d’autore, tipo La Stanza Del Figlio di Nanni Moretti): insomma c’è molto di già visto in Maledetta Primavera. Anche nella definizione dei ruoli adulti si sarebbe preferito un maggior lavoro di scrittura e di scarto dal noto, visto che Micaela Ramazzotti è ingabbiata nel ruolo per lei abituale della donna irrisolta e insoddisfatta, assoggettata agli eventi e a un uomo travolgente ma inaffidabile; e lo stesso Morelli eccede nella caratterizzazione insistentemente arruffona del suo personaggio, anche se è credibile questo rapporto a inseguimento tra alti e bassi, odio e amore.

Le cui dinamiche sussultorie ricadono costantemente sull’emotività senza certezze di Nina, obbligata a una parte di madre vicaria per il fratellino (il Federico Ielapi del Pinocchio di Garrone) che le è perciò morbosamente attaccato. Maledetta Primavera vive i suoi momenti migliori nell’indagine del rapporto tra le ragazze, che ritrae con la leggerezza e delicatezza annunciata da un breve prologo in cui vediamo Nina giocare con un fragilissimo dente di leone. Ed è questo il tipo di sguardo, attento a non rovinare la preziosità di qualcosa di intimo e precario, che la Amoruso vuole applicare alle due protagoniste, in cui anche l’unico vero bacio è incorniciato dall’alone morbido di un controluce.

Ma nel film le cose più importanti sono quelle che non si vedono o si vedono appena: come anche il momento più drammatico relativo ai genitori, che Nina sbircia da dietro una porta senza nemmeno capire cosa stia accadendo davvero. Così Maledetta Primavera, al netto del titolo furbesco, scarta dal noto della commedia e assume un tono osservativo e minimale, certo un po’ facile nell’insistente sospensione del finale, ma che sa trovare la cura dei dettagli, il valore delle pause e dei vuoti che danno vita a un piccolo romanzo di formazione affettuoso e partecipe. Cui la nota autobiografica scoperta del finale fa scattare nello spettatore un sentimento di adesione più convinto.