A raccontare la trasformazione portata dai social network ci aveva provato qualche anno fa Edoardo Leo, con un film, Che Vuoi Che Sia, dai toni da commedia un po’ amara, imperfetta certo, ma con l’ambizione di cercare uno sguardo sulla realtà non esattamente conciliante. Per il resto il cinema italiano ha preferito una ricetta più scontata, nella quale il mondo dei social, invece di costituire l’occasione per tentare di capire una mutazione in atto, rappresenta una cornice aggiornata all’interno della quale confezionare storie che girano intorno sempre agli stessi stereotipi della commedia leggera anzi leggerissima.
Magari strutturata su personaggi agli antipodi, per rendere il discorso ancora più semplice, esasperato e per questo divertente. Cioè il meccanismo di film come Beata Ignoranza, in cui lo scontro tra il professore colto e vecchio stampo e quello sciupafemmine perennemente online viene amplificato dall’elemento del web. O questo Genitori Vs Influencer di Michela Andreozzi, che la tipizzazione degli opposti la dichiara sin dal titolo, ponendo al centro della vicenda un altro insegnante – evidentemente, una categoria che nell’immaginario sclerotizzato degli autori è il perfetto esemplare di un passatismo libresco e polveroso a disagio con la modernità.
Il professore, pure di filosofia, quindi per definizione attardato e fuori del tempo, si chiama Paolo (Fabio Volo). Dopo la morte della moglie ha dovuto crescere da solo la figlia (Ginevra Francesconi), cui lui ovviamente ha dato il nome, dato che è un intellettuale, di Simone, “come la De Beauvoir”.
Solo che giunta all’adolescenza la ragazzina ha abbandonato le buone letture e vive costantemente sul cellulare, con l’ambizione di diventare una influencer – “è fico, si guadagna un sacco di soldi, sei indipendente” – come il suo mito Eleonora (la vera influencer Giulia De Lellis), una che degli uomini dice “sono tutti uguali, da me vogliono una cosa sola: i miei follower”. Il padre alla notizia reagisce prevedibilmente male, tromboneggiando: “gli influencer sono fuffa mischiata col niente, il prodotto peggiore di una società alla deriva”.
Simone posta sui social l’intemerata paterna, scatenando un putiferio che regala un’improvvisa fama al professorino. Il quale prima sbarca sui social spinto dalla figlia e dall’idea di veicolare qualche messaggio positivo e antisocial – si sa, i docenti di filosofia alla tentazione di far lezione a qualcuno non sanno rinunciare. Poi ci prende gusto, perché arrivano la fama, le sponsorizzazioni, pure una bella fidanzata, ovviamente Eleonora – pure questo si sa, da che mondo è mondo gli opposti si attraggono. Però arriva anche il conto, perché il successo dà alla testa e fa perdere di vista i valori veri. Allora bisogna saper fare un passo indietro, senza nessun luddismo antitecnologico per carità, ma cercando un modo per coniugare in maniera equilibrata vita reale e virtuale.
Coproduzione italo-spagnola di Vision, Paco Cinematografica e Neo Art, dal giorno di Pasqua distribuita su Sky e Now, Genitori Vs Influencer, che Andreozzi ha scritto insieme a Fabio Bonifacci, è insomma una tipica commedia generazionale. Nella quale i social fanno da detonatore, ma i problemi restano quelli eterni del rapporto tra genitori e figli. Anche il racconto, con tutte le variazioni consentite dalla duplicazione dei conflitti sugli schermi degli smartphone e un linguaggio aggiornato tra boomer, generazione z e shitstorm, è quello canonico di una commedia di costume con una spruzzata di sociologia spicciola e una visione prevedibilmente pacificata della realtà.
Con la suddetta realtà tenuta alla fine ben distante. Infatti a far da location a Genitori Vs Influencer è la Garbatella, ritratta come un mondo da strapaese, con un gruppo di figurine anacronistiche interpretate da bravi attori come Paola Tiziana Cruciani, Nino Frassica, Paola Minaccioni, che definiscono tanto la linea comica del racconto quanto il contraltare dolciastro della piccola comunità di quartiere depositaria di un’umanità autentica e non smaterializzata. Dall’altro lato c’è una scuola in cui, secondo un altro copione standardizzato proveniente dai teen movie americani, i ragazzi si dividono in categorie immodificabili, secchione, sfigati, reginette della scuola e figli di papà (però “più fluidi”). Non mancano soluzioni narrative antidiluviane. Paolo, per dire, accetta controvoglia di fare il testimonial via social solo per potersi permette di comprare la casa da cui vorrebbero sfrattarlo, un dolore che Simone non sopporterebbe. Allora lui si sacrifica per la figlia, come potevano fare Totò e Peppino in un film di settant’anni fa.
Poi ci sono le strizzatine d’occhio televisive delle comparsate di Barbara D’Urso, Alessia Marcuzzi, Nicola Savino, i product placement invasivi e una sceneggiatura senza spigoli che finisce per rimettere al giusto posto le cose, piallando ogni asperità e dissolvendo i conflitti nella stupenda cornice della Garbatella, metafora delle cose belle di una volta – succedeva la stessa cosa nel finale di Tutta La Vita Davanti di Paolo Virzì. Con la differenza che oggi pure quello che succede alla Garbatella si può postare sui social. L’importante è comportarsi con un po’ di giudizio.