Il Covid-19 o malattia da Coronavirus ha rivoluzionato le nostre abitudini e questo, ovviamente, incide profondamente sul nostro umore. C’è il timore generato dal morbo, in primo luogo. E c’è la costrizione alla vita casalinga, che per diverse ragioni può condurre a momenti di scoramento, rabbia, insicurezza. Ci sono tante strategie per sopportare la convivenza in spazi limitati o l’isolamento. In certi frangenti però l’angoscia rischia di prendere il sopravvento. Quello è il momento di cercare l’aiuto di un professionista.
Per questo l’Isidap, l’Istituto Specialistico Italiano sui Disturbi da Attacchi di Panico, ha deciso di istituire “Siamo Vicini”, uno sportello telefonico di assistenza psicologica per il Coronavirus dedicata all’ansia e al panico, per aiutare le persone in uno stato di particolare difficoltà emotiva. Ne parliamo col dottor Massimo Doriani, psicoterapeuta e direttore dell’Isidap.
Dottor Doriani, come è nato lo sportello?
Il merito è degli allievi ed ex allievi psicoterapeuti della nostra specializzazione e delle altre nostre scuole di formazione, che hanno aderito all’iniziativa con entusiasmo e spirito filantropico.
Quanti sono gli operatori?
Una trentina circa, tra psicoterapeuti, psicologi e counselor, e altri se ne stanno aggiungendo. Poi abbiamo una segreteria con addetti al coordinamento telefonico, alla logistica e diversi formatori e supervisori, perché tutti gli operatori vengono preparati e seguiti per questa attività. Da essa stiamo raccogliendo una serie di informazioni per un’indagine epidemiologica sui disturbi dell’ansia durante le emergenze.
In cosa consiste l’iniziativa?
Tutte le persone che in questo periodo così particolare hanno difficoltà di tipo ansioso, dalla semplice agitazione, alla paura, a reazioni fisiche ansiogene ma anche depressive, fino a veri e propri attacchi d’ansia o panico possono telefonare al numero verde e riceveranno un’assistenza finalizzata al contenimento e alla riduzione del livello dell’ansia da parte di operatori specializzati.
Ci sono costi da sostenere?
Il servizio è gratuito e il lavoro è basato sul volontariato. Basta chiamare il numero verde 800 913880. Un nostro operatore smista la telefonata ai colleghi di turno. Ringrazio anche l’azienda multiutility Optima Italia, che ci sta aiutando attraverso i suoi canali a promuovere l’iniziativa.
Che tipo di risposte date all’utenza?
Non ci occupiamo degli aspetti sanitari né diamo suggerimenti circa comportamenti igienici, il nostro è uno sportello di assistenza psicologica per le problematiche ansiose che sorgono per l’emergenza Coronavirus. Questo è un momento delicato, in cui purtroppo, soprattutto per i soggetti che già soffrono di ansia, stiamo riscontrando una significativa recrudescenza delle sintomatologie.
Quali tipi di ansie sta scatenando la situazione che stiamo vivendo?
Distinguerei due aspetti, sanitario e sociale. Partiamo da quello sanitario. Il virus con la sua capacità di espandersi nonché, nei casi più gravi, di portare alla morte può stimolare in alcune persone, in primo luogo, un’angoscia di morte. Le probabilità di decesso legate al morbo sono fortunatamente limitate, però esistono. Questo nell’immaginario può evocare una forma di angoscia, che si manifesta in due modi. Da un lato sul versante depressivo. Dall’altro su quello maniacale. In alcuni casi addirittura possono manifestarsi attacchi d’ansia grave con spunti panici. Il secondo tipo di problema, restando sul versante sanitario, è la paura del contagio, anche questa legata a un dato oggettivo. In questo caso, anche se più raramente, possono manifestarsi patologie più gravi, di tipo paranoico-persecutorio, relative al timore di essere contagiati. Qui entriamo in un ambito psichiatrico. Ma, ribadisco, si tratta di fenomeni assai meno frequenti.
Poi ci sono le ansie di tipo sociale
All’inizio, rispetto ai primi interventi delle autorità, le maggiori ansie erano legate a questioni di tipo economico. Una volta che sono scattate le ordinanze per la restrizione della mobilità, il problema economico è passato in secondo piano e sono emerse altre patologie. La più ovvia è la claustrofobia: chi ne soffre ha avuto un’immediata recrudescenza dei sintomi. Il claustrofobico sente che il mondo gli si restringe attorno sempre di più. A volte gli basta avere la possibilità di sapere dove andare e già la sensazione si attenua.
E per quanto riguarda single e famiglie?
La preoccupazione oggi è rivolta maggiormente alle problematiche legate alla relazionalità. Verrebbe da immaginare che le conseguenze più devastanti ricadano sulle persone sole, che rischiano sindromi depressive. Ciò è vero solo in parte, perché proprio i single sono più strutturati e resilienti rispetto alla solitudine. Possiedono già strumenti e anticorpi sperimentati. I contesti più a rischio sono le famiglie.
Come cambia la vita della famiglia, obbligata a restare a casa?
Premetto che per famiglia intendiamo tutti i contesti di convivenza, anche non parentali, chiamiamoli contesti relazionali significativi. Normalmente in questi casi c’è una dinamica di integrazione tra vita all’interno della sfera domestica e vita nel mondo esterno. L’individuo al mattino esce, si nutre di stimoli e tensioni che la società gli propone. Quando rientra, condivide questi contenuti psicologici e culturali con i familiari. Il sistema famiglia li digerisce, in un circolo virtuoso di crescita ed elaborazione, in un continuo feedback tra esterno e interno familiare, che aiuta l’individuo a rafforzarsi e ritemprarsi. Da un punto di vista individuale la famiglia è un elaboratore psichico, dal punto di vista sociale è una sorta di ammortizzatore. Se il sistema è virtuoso, adesso con l’emergenza Coronavirus ha l’opportunità di aumentare le sue virtù. Costretti a casa si può stare di più con i figli, concedersi momenti di riflessione, dedicarsi a letture da tempo rimandate.
E quando i sistemi non sono virtuosi?
Spesso purtroppo la famiglia invece di elaborare le tensioni, le produce. Queste sono le famiglie cosiddette disfunzionali. In questi casi normalmente il mondo esterno è il luogo in cui l’individuo – distraendosi grazie al lavoro e relazioni spesso poco significative – crea una compensazione che tiene in vita la famiglia, anche se lentamente la logora. Col venire meno della dimensione esterna, e quindi della compensazione, le tensioni finiscono per ricadere sulle dinamiche relazionali, facendole esplodere. Una parte del nostro sistema in questo momento è bloccato. Quindi siamo molto più responsabili della gestione delle nostre energie, dobbiamo saperle canalizzare correttamente, senza scaricarle sugli altri componenti della famiglia.
La gestione dello spazio diventa fondamentale
Di solito è un termine che i terapeuti usano metaforicamente, intendendo lo spazio psichico. Qui diventa proprio uno spazio fisico. Le case sono piccole, non sono pensate per una convivenza forzata su tempi lunghi. E allora anche gli spazi psicologici si vanno restringendo e c’è una forte compressione emotiva.
Adesso l’ansia si sposterà sulla famiglia?
Noi prevediamo che, dopo l’ansia legata alle questioni sanitarie ed economiche, ora prevarranno le tensioni familiari. E se i contraccolpi economici incideranno sul lungo periodo anche dopo la fine dell’emergenza materiale, lo stesso accadrà con i problemi di ordine psicologico e familiare. Ci vuole poco per farli esplodere, ma sono molto lenti da riassorbire.
Che consigli può dare per la gestione serena della vita quotidiana?
Primo: dato che non c’è più il mondo esterno, ci viene in soccorso il mondo virtuale. Bisogna saperlo utilizzare però, sempre tenendo conto della maggiore responsabilità che abbiamo verso noi stessi e gli altri, vista l’emergenza. Noi siamo invasi da tantissimi monitor e immagini. Possiamo limitarci a essere fruitori passivi, assorbendo la valanga di notizie angosciose sul Coronavirus, nella quasi totalità inutili, perché le informazioni essenziali sono pochissime.
Questa è la via sbagliata
Esatto. Poi c’è il modo virtuoso. Scegliere trasmissioni di qualità che di solito, come le letture, tralasciamo per mancanza di tempo. Scegliere persone di riferimento che ci aiutano a stare bene, anche avvertendole che in caso di necessità potremmo chiamarle.
Come gestire la coesistenza nello spazio casalingo?
È chiaro che si tratta di spazi condivisi. Bisognerebbe però che i conviventi si creassero dei piccoli luoghi dedicati, degli spazi autonomi, basta un angolo sottratto alla gruppalità. Dato che la casa è diventata tutto il mondo, ci vuole un posto che sia personale. Bisogna ricreare, all’interno dell’appartamento, la stessa dinamica dentro/fuori che si vive normalmente. Altrimenti la casa diventa un unico ambiente indifferenziato, senza confini. Ciò è disorientante. E il disorientamento riduce la capacità di gestione della propria energia, innescando processi viziosi.
Attività fisica?
Anche. In generale è importante mantenere le proprie abitudini, ovviamente ridefinendole, ma per quanto possibile non abbandonandole. Se a uno piace l’attività fisica, continui a farlo anche in casa, posto che fortunatamente è una di quelle cose che è ancora consentito, entro certi limiti, svolgere all’esterno.
Il rapporto con gli altri
Approfittare delle persone con cui si è rimasti in contatto, anche tramite la sfera virtuale. E tenere conto della dimensione fisica della relazione di coppia. Nel tran tran quotidiano spesso il desiderio finisce in second’ordine, per la quantità di impegni cui la vita di oggi ci obbliga. È una dimensione che adesso è possibile riscoprire.
Il rapporto coi figli può essere fonte di angoscia?
Assolutamente sì. I genitori talvolta non riescono a entrare in contatto con i figli, non sanno come aiutarli a vivere serenamente questo momento particolare. Ciò può generare frustrazione, conflitto, ansia.
Quando è il momento di contattare il numero verde “Siamo Vicini”?
A parte naturalmente la condizione di panico totale, bisogna sapersi monitorare, per capire quando la capacità di gestione della propria energia sta venendo meno. Ci sono momenti in cui ci si sente impotenti rispetto a sé stessi e agli altri. Quando si manifestano questi sintomi, quando si ha la percezione di star soccombendo al senso di impotenza e si teme che possa scattare l’ansia o il panico, ecco, quello è il momento di contattare il numero verde.
Una telefonata può bastare a risolvere le ansie?
In una telefonata accadono molte cose. Prima di tutto ci si sente accolti. Non solo: si percepisce che quel mondo esterno di cui parlavamo esiste ancora e si prende carico di te. Ed è importante che quello spazio sia personale e riservato, perché la telefonata è tutta tua. Per questo si può determinare un cambiamento spesso sufficiente a gestire l’emergenza. Naturalmente l’ansia può ripresentarsi, ci è già capitato di essere richiamati dalle stesse persone. Il contatto telefonico però spezza la dinamica che altrimenti porterebbe al panico.
Parlare con un professionista è fondamentale
L’assistenza psicologica, di fronte a un’emergenza come il Coronavirus, è indispensabile. Tenga conto anche del fatto che i nostri operatori, oltre ad avere una formazione specifica, sono monitorati e supervisionati, sia da un punto di vista tecnico che emotivo, perché naturalmente accogliere le ansie delle persone ingenera nel terapeuta una sofferenza che va anch’essa gestita, per assicurare sempre un’assistenza che sia la migliore possibile. E inoltre, gli operatori sono in grado di distinguere una patologia da un disagio contingente legato all’attuale situazione critica e, nel corso della telefonata, quando si accorgono di essere in presenza di un disturbo di una certa entità, procedono a un invio verso un adeguato intervento di servizio sociale o di una psicoterapia.