Grazie all’interpretazione di Judy, Renée Zellweger sta facendo incetta di riconoscimenti, Golden Globe, SAG Award, Critics’ Choise Award, e quindi si presenta da assoluta favorita per la categoria di migliore attrice agli Oscar in programma il 9 febbraio. Nessuna sorpresa, si sa che ai premi i giurati adorano i film biografici, soprattutto quando ripercorrono la vita di grandi personaggi dello spettacolo.
Ma quanti, soprattutto tra le ultime generazioni, conoscono davvero Judy Garland? Gran parte del pubblico l’avrà vista ragazzina ne Il Mago Di Oz, magari attraverso qualche spezzone su YouTube, mentre canta Over The Rainbow o We’Re Off To See The Wizard. Sarà bene allora ribadire che stiamo parlando di una leggenda dello show business americano – si calcola che solo a Marilyn Monroe siano stati dedicati più libri –, un’artista di eccezionale valore e dalla vita decisamente singolare. Figlia di due attori del vaudeville, infatti, non ha conosciuto altro che lo spettacolo, lanciata a due anni e mezzo su un palcoscenico dal quale non scese più.
L’esistenza di Judy Garland è stata segnata da successi travolgenti. A cominciare dall’accoppiata con Mickey Rooney, del quale non fu solo collega ma intima amica, e poi nei film (quaranta in tutto) accanto a tutte le più celebri star dell’epoca, da Fred Astaire a Gene Kelly. Un’artista capace di passare dal musical al dramma, su tutti lo straordinario È Nata Una Stella, la versione del 1954 diretta da George Cukor, in cui lei interpreta la stella che sorge mentre si spegne quella del pigmalione James Mason, quando invece nella realtà era esattamente il contrario.
Sin da ragazzina infatti Judy Garland fu sempre sotto il torchio degli studios con cui lavorò, MGM soprattutto, poi Warner, che pretendevano sempre un nuovo successo. Non resse al ritmo e allo stress, accumulando troppi mariti (cinque) e troppi psicofarmaci. Quando la si vede in Vincitori E Vinti (1961) il film sul processo di Norimberga, la sua interpretazione è vibrante – le fruttò la seconda nomination all’Oscar dopo È Nata Una Stella – ma è scioccante scoprire che lì l’attrice avesse appena 39 anni, sembrando invece assai più vecchia. Sarebbe morta pochi anni dopo, nel 1969, a soli 47 anni.
Sarà anche per una forma di adesione profonda alle fragilità dei suoi personaggi che spesso, nei suoi film, il momento più emozionante è quando Judy Garland si riserva un momento di contemplazione in cui, lasciata al centro nell’inquadratura, intona con la sua voce da contralto un brano melanconico, entrando in un intimo dialogo a due con lo spettatore. Basta riascoltare il celebre Have Yourself A Merry Little Christmas da Incontriamoci A Saint Louis (1944) diretto da Vincente Minnelli, che fu anche il suo secondo marito.
In Judy, scritto dallo sceneggiatore Tom Edge (The Crown) a partire da una commedia di Peter Quilter portata a Broadway, End Of The Rainbow, si evita di indugiare nei passaggi più scandalistici di tante biografie torbide, senza però trovare un taglio e uno stile che aiutino a capire qualcosa di più della persona e del personaggio.
La storia di Judy Garland è piena di spunti: si poteva raccontare un pezzo della storia dello show business americano, l’epoca del modello produttivo degli studios degli anni Trenta che ha segnato un’era. Oppure si sarebbe potuta approfondire la particolare relazione con Mickey Rooney, col quale si capiva perfettamente, avendo loro condiviso la stessa infanzia negata di enfant prodige sempre sotto i riflettori. Due persone che, come ha scritto Jeanine Basinger nel documentatissimo The Movie Musical, “sopravvivevano insieme nello stesso istante in cui si esibivano insieme”.
Judy inizia in maniera intrigante: si vede la Garland diciassettenne (interpretata da Darcy Shaw), sul set de Il Mago Di Oz, in crisi perché asfissiata dalla pressione. Compare la corpulenta figura del potentissimo produttore Louis B. Mayer (Richard Cordery): e sul set fiabesco del film sembra davvero il lupo cattivo, che la blandisce, rassicura, quasi minaccia, finché la ragazza rientra mestamente nei ranghi. Dopo il prologo si viene catapultati direttamente al 1968, pochi mesi prima della sua morte, durante l’ultima tournée inglese al Talk Of The Town, un locale londinese in voga dell’epoca.
A quel punto però i giochi sono già fatti, il tracollo dell’artista s’è già consumato. E per quanto il suo grande, istintivo talento ancora traspaia, il film non fa altro che offrire la radiografia terminale di una parabola già conclusa, con l’appendice del quinto fallimentare matrimonio col giovane Mickey Deans (Finn Wittrock), i problemi economici, la battaglia legale con l’ex marito Sidney Luft (Rufus Sewell) per non farsi strappare i due figli piccoli Lorna e Joey.
La limitatissima porzione di vita prescelta non offre autentici sviluppi drammaturgici, né il legame tra il prima e il dopo della vita della Garland viene seriamente raccordato e scandagliato, sia esso in chiave storica o psicologica. Così Judy alla fine assomiglia più ad un veicolo per l’attrice Renée Zelleweger, che cesella un’interpretazione ovviamente mimetica e si misura anche coraggiosamente con il canto, anche se ovviamente il paragone con l’originale è impossibile. Ma così il film s’incaglia su di una nota patetica continuamente ripetuta, che ovatta anche la dimensione di autentica tragedia del tramonto dell’artista. Quella che fece scrivere a Kenneth Anger: “Era vecchia di secoli, la stella più vecchia del mondo, se si contano gli anni dei sentimenti, le energie che divorano e tutti i drammi che aveva attraversato, sufficienti per una dozzina di vite. Judy era una fenice che si era tuffata nel fuoco una volta di troppo“.
Il film confeziona una prevedibile messinscena della swinging London e ricorda anche, attraverso i personaggi di due suoi affettuosi fan, quanto la Garland rappresentasse per la comunità gay un’autentica icona. Al tempo in cui gli omosessuali statunitensi dovevano nascondersi pubblicamente, per far capire il loro orientamento sessuale si definivano “gli amici di Dorothy”, dal nome del suo personaggio del Mago di Oz. Judy è un film privo di un’autentica riflessione su un personaggio straordinario e controverso, simbolo di una altrettanto straordinaria e controversa era della storia dello spettacolo hollywoodiano.