Dopo il convulso finale dello scorso episodio, The Handmaid’s Tale 3×08 si prende alcune piccole pause da Gilead per sviscerare il passato di zia Lydia con l’abituale tecnica dei flashback. Prima di immergervisi offre però un inquietante spaccato della cerimonia per il parto di Ofandy, condito dalla palese ostilità delle ancelle nei confronti di Ofmatthew.
Percependo la tensione del gruppo zia Lydia riunisce le ancelle e le fa sedere in cerchio attorno a June. Le donne sono così costrette a puntare il dito contro di lei e incolparla in coro per aver causato la morte di una marta. June ammette di esserne responsabile, ma non mostra alcun rimorso finché zia Lydia non sottolinea come adesso ad Agnes – Hannah – manchino le cure di una figura amorevole e le certezze della vita che ha imparato a conoscere.
June non è disposta ad accettare passivamente questo pensiero doloroso. Decide quindi di vendicarsi rivelando ciò che Ofmatthew le ha confessato pochi giorni prima, ossia di non essere certa di volere un altro bambino. A questo punto è Ofmatthew a dover occupare la sedia al centro della sala. L’ho pensato solo per un secondo, ammette in lacrime mentre le altre ancelle la accusano in coro di essere una piagnucolona. June osserva la scena con un certo piacere sadico.
Come detto, The Handmaid’s Tale 3×08 è anche e soprattutto l’episodio tributo al passato di zia Lydia. Nella vita pre-Gilead Lydia Clements è una donna devota e un’insegnante amorevole. Nel primo sguardo alla sua quotidianità perduta la si vede in un’aula oltre l’orario di scuola, impegnata a intrattenere un bambino la cui madre pare essere perennemente in ritardo. Pensa quindi di portarlo a casa con sé e preparargli del chili, e quando la madre finalmente arriva Lydia decide di invitarli entrambi a cena.
Le scene successive svelano finalmente i meccanismi della sua vita. Lydia è una donna solitaria con un matrimonio fallito alle spalle, dunque accoglie volentieri la vicinanza del bambino e della madre. I loro rapporti si stringono al punto da diventare familiari, e i tre trascorrono persino il Natale insieme scambiandosi regali in un clima affettuoso. È in questa circostanza che il personaggio di Ann Dowd diventa zia Lydia per la prima volta, almeno agli occhi del piccolo.
Il regalo di Natale scelto dalla madre del bambino è un kit per il trucco. Lydia sembra riluttante all’idea di farsi bella e mettersi in gioco, ma si lancia convincere e nella scena successiva trascorre già una meravigliosa serata fuori con il preside della scuola in cui lavora. Che fra loro ci fosse un’intesa era già evidente, ma la cena, il karaoke e i balli rinsaldano questa convinzione.
La serata sembra proseguire al meglio quando i due tornano a casa e iniziano a baciarsi sul divano. Lydia cerca inaspettatamente di entrare in intimità con l’uomo, ma lui si ritrae. È troppo presto, si giustifica. Sua moglie è morta solo tre anni prima e vorrebbe andarci piano, ma ha passato una splendida serata e vorrebbe rivedere Lydia.
Lei si scusa per la mossa azzardata e il suo volto è attraversato da una serie di sensazioni diverse, dall’imbarazzo alla vergogna, dall’umiliazione al desiderio. Tenta di minimizzare il rifiuto ricevuto, ma stronca immediatamente l’invito a rivedersi. Rimasta sola in casa, la si vede piangere in bagno e colpire lo specchio fino a mandarlo in pezzi.
Il peso di questa esperienza si fa sentire su ogni aspetto della sua vita. Rinuncia al trucco e a un’abbigliamento curato e inizia ad assumere l’aspetto austero e impenetrabile che manterrà poi anche a Gilead. Rientrata a scuola decide di collaborare con i servizi sociali perché il bambino venga portato via alla madre. Dichiara di averlo visto spesso sporco e con i vestiti del giorno precedente e di come ritenga opportuno che il piccolo venga difeso dalla debolezza morale della madre.
Il preside le chiede se sia davvero il caso di arrivare a tanto, ma Lydia conferma la sua decisione senza neppure guardarlo. Gli assistenti sociali le danno ragione e prelevano il bambino, mentre la madre in lacrime arriva all’improvviso e l’accusa di essere responsabile di un’orribile ingiustizia.
Di ritorno a Gilead, The Handmaid’s Tale 3×08 continua a esplorare il declino di June. Dopo lo scoppio d’ira dello scorso episodio e la vendetta contro Ofmatthew, la donna sembra convincersi che tutti meritino di soffrire e che si possa imparare a godersi il dolore altrui. La sua voce fuori campo ammette persino che la morte della bambina di Ofandy dopo il parto è stata un sollievo. E la sua crudeltà si riversa anche sul comandante Lawrence, quando lo accusa di voler uccidere la moglie – e non proteggerla – tenendola con sé a Gilead. Basterebbe fare una telefonata per mandarla via di lì, gli fa notare, e invece non lo fa.
Poco dopo si osservano per la prima volta le dinamiche a porte chiuse delle zie. Il loro è un lavoro fortemente strategico: valutano le disposizioni dei comandanti, il carattere delle ancelle, i loro trascorsi, e poi eseguono gli accoppiamenti. Zia Lydia si lamenta dell’impossibilità di gestire June e poi ammette che la non convenzionalità dei Lawrence potrebbe essere deleteria per lei. L’unica soluzione le sembra essere quindi affidarla a una nuova famiglia.
La palese soddisfazione che June prova osservando la sofferenza altrui torna nella scena successiva e raggiunge l’apice sul finire dell’episodio, al supermercato. Zia Lydia le sta comunicando la decisione di trasferirla, ma sullo sfondo inizia a scatenarsi la furia delirante di Ofmatthew. In preda a una crisi di nervi, l’ancella picchia selvaggiamente Janine – l’unica ad averle mostrato un pizzico di compassione – e finisce per uccidere la guardia che prova a fermarla. Ne prende quindi la pistola e si guarda intorno fino a puntarla su June e poi su zia Lydia. Sta per premere il grilletto, ma viene neutralizzata da un singolo proiettile sparato dalle guardie. Finisce a terra e viene trascinata via mentre June continua a osservare impassibile.
The Handmaid’s Tale 3×08 si conclude quindi rafforzando la tesi sostenuta all’inizio: tutti meritano di soffrire ed è possibile abituarsi a godere del dolore altrui. O perlomeno si impegna a trasmettere questa nuova convinzione di June. Gli atteggiamenti, gli stati d’animo e le decisioni che prende non sembrano tuttavia in grado di snodarsi con coerenza. L’inizio della stagione ha provato a dar corpo all’idea che June fosse un’eroina disposta a tutto per aizzare un esercito di donne ribelli contro il regime, ma i buoni propositi si sono sfaldati settimana dopo settimana.
Costretta ad assistere alle impiccagioni dei ribelli e a sopportare il fallimento di qualsiasi tentativo di avvicinarsi ad Hannah, la sua mente sembra aver ceduto all’egoismo puro e semplice. Già negli scorsi episodi si è visto come il suo pensare soltanto a sé abbia causato la sofferenza di altre donne, e anche questa volta la sua sete di vendetta ha condotto indirettamente alla morte di un’ancella. Ad ogni modo, non c’è dubbio che il tradimento di Ofmatthew sia stato inaccettabile e che il karma abbia alla fine presentato il conto.
The Handmaid’s Tale 3×08 lascia più dubbi che mai sui piani della serie per June. Non è più la donna inerme e sopraffatta dalla brutalità di Gilead, ma non è più nemmeno la leader di un movimento di lotta interna al regime. Continua invece a mettere a punto piani maldestri per recuperare la figlia e perde lucidità dinanzi al loro fallimento.
La sua insubordinazione si fa più clamorosa di settimana in settimana, eppure sembra che per lei sia possibile piegare o bypassare del tutto le regole. Lei stessa si fa scudo della sua utilità per i Waterford e i loro tentativi di riportare Nichole a Gilead, ma non convince l’idea che il regime non trovi dei metodi alternativi alle punizioni corporali per rimetterla al suo posto.
Gli elementi più interessanti dell’episodio restano i flashback relativi al passato di zia Lydia. Dopo aver conosciuto la quotidianità pre-Gilead di June e Luke, Serena e Fred, Moira, Emily, The Handmaid’s Tale svela finalmente i trascorsi di quella che fino a un certo punto è stata semplicemente Lydia Clements. Osservarla nel suo habitat lascia intendere come il germe del regime fosse già piantato dentro di lei. Già allora la sua vita era contraddistinta da un certo rigore e da una forte religiosità, e del suo carattere austero non è responsabile Gilead in sé.
I rari sprazzi di solidarietà che Lydia mostra nei confronti delle ancelle si ricollegano alla connessione profonda che la donna è stata in grado di stabilire in precedenza con i bambini, mentre pare evidente che la crudeltà e il distacco siano un meccanismo di risposta alle delusioni e all’umiliazione. Ann Dowd rende con straordinaria efficacia la naturale ritrosia, il desiderio e poi il senso di mortificazione di una donna rifiutata, ma è banale e frustrante che un personaggio così controverso trovi la motivazione della propria crudeltà in una delusione amorosa, per quanto umiliante.
Allo stesso tempo appare del tutto sproporzionata la reazione nei confronti della madre del bambino. Sì, è stata quella giovane donna a far breccia nella sua corazza, a convincerla ad aprirsi e quindi a rendersi vulnerabile dinanzi a sentimenti che aveva imparato a escludere dalla propria vita. Ciò non toglie che a fronte di ritratti personali così splendidamente tracciati – Moira ed Emily su tutti – ci si sarebbe aspettati qualcosa di meno insignificante per una donna multisfaccettata come Lydia.
Al di là di questa backstory, The Handmaid’s Tale 3×08 si presenta come un momento di transizione fra un rimasuglio di stabilità per June e lo scatenarsi di eventi che potrebbero trasformarla definitivamente. Non è chiaro se Bruce Miller abbia in mente di condurla verso un completo deragliamento, ma il promo di The Handmaid’s Tale 3×09 preannuncia un ulteriore abbrutimento del personaggio di Elisabeth Moss.
Anche nei campi di concentramento succedeva questo si diventava egoisti, ma era solo una difesa. Non dimentichiamoci che la dolce Emily ha ucciso 3 persone, che nella vita normale non avrebbe mai fatto.trovo quest’analisi troppo elementare.