Il concerto di Fabrizio Moro all’Olimpico di Roma in programma sabato 16 giugno è il segno della svolta di una carriera costruita a piccoli passi con molta fatica, impegno maniacale nella scrittura e nella produzione dei dischi e dei live. Un sogno per il cantautore romano di San Basilio, nato e cresciuto in un quartiere popolare capitolino con la passione per la musica ma la necessità di far quadrare i conti.
A dargli la possibilità che gli ha cambiato la vita fu Pippo Baudo con Sanremo 2007, quando vinse la sezione Giovani con il brano Pensa, diventato rapidamente un inno antimafia apprezzato dalle giovani generazioni. Ma da allora il percorso professionale di Moro è stato, per sua stessa ammissione, fatto di alti e bassi, di dischi apprezzati dalla critica ma non sempre capaci di resistere in classifica, e soprattutto di una serie di esperienze dal vivo che, passo dopo passo, l’hanno portato dai pub alle piazze, dalle feste patronali ai palazzetti, fino allo stadio Olimpico che due giorni fa ha ospitato il ventesimo concerto di Vasco Rossi e che sabato 16 giugno lo vedrà esibirsi per la prima volta in carriera.
Fabrizio Moro ne ha parlato in una recente intervista a Vanity Fair, in cui oltre a parlare della rabbia e della voglia di riscatto che lo differenzia da tanti, pur apprezzati, colleghi cantautori, ripercorre con un esercizio di memoria invidiabile tutte le tappe della sua crescita nella dimensione live, spiegando quanto sia cruciale per lui il traguardo dell’Olimpico.
Arriva al termine di un percorso un po’ anomalo di questi tempi, simile a quello dei cantautori negli anni Settanta, pieno di alti e bassi. Il mio primo concerto a pagamento l’ho fatto nel 2011 al locale Stazione Birra di Ciampino: 700 persone, 12 euro a biglietto. I miei colleghi non lo dicono, ma se suoni gratis nelle piazze è facile che arrivi anche a fare diecimila persone. Però non conta niente. Per carità, io ho campato così per tanti anni. In Calabria avrò fatto 200 feste del santo. Ho suonato dappertutto.
Il pubblico romano è sempre stato quello che gli ha regalato le soddisfazioni migliori, aprendo la strada all’arrivo nei palasport con le due date sold out della scorsa primavera al PalaLottomatica.
Ho fatto altri concerti sempre a Roma o al massimo nel Lazio. Ogni volta davo l’anima e la gente se ne accorgeva. Nel 2015 a Conciliazione feci 1.500 paganti, l’anno dopo 3 mila, a Villa Ada 4 mila, l’anno scorso ho fatto due date al PalaLottomatica. Mio padre diceva: “Adesso ti puoi comprare un appartamento”. E io: “Macché”. Non mettevo in tasca niente, reinvestivo tutto nella produzione dei nuovi live. Il mio primo concerto nel Nord Italia è stato l’anno scorso a Verona: 1.700 paganti. Ho sempre curato ogni minimo dettaglio dei miei concerti da solo, ogni volta con la paura che non venisse nessuno. Ancora oggi ci sono “piazze” difficilissime, Genova per esempio. Non ho praticamente mai suonato in nessuna delle città di questo tour e si tratta di spazi grandi, da 4-5 mila persone. Un po’ di timore ce l’ho. Ma io sono un musicista e voglio stare sul palco. C’è da suonare all’Olimpico? Vado. In un campeggio? Vado pure lì. Della tv non me ne frega niente, mi serve per poter fare concerti. Se vendo pochi dischi mi dispiace, ovvio, ma se la gente non viene a vedermi dal vivo mi metto a piangere. Però sono un tipo ostinato: non smetterò mai di portare la mia musica ovunque. È il mio obiettivo da sempre perché credo nel messaggio che porto.
Il concerto di Fabrizio Moro all’Olimpico di Roma fa da apripista al lungo tour estivo dell’artista, col quale si esibirà in tante città in diverse venues (biglietti in prevendita su TicketOne) dopo il successo della partecipazione all’ultimo Festival di Sanremo e all’Eurovision Song Contest.