Ha esordito con quasi 2 milioni di euro incassati in due giorni l’attesissimo Batman v Superman: Dawn of Justice di Zack Snyder (costato 400 milioni di dollari tra produzione e marketing). L’incontro tra i due più importanti supereroi della Dc Comics era prevedibile, dato che lo spirito cupo e adulto dell’uomo pipistrello, per come era stato reinventato da Christopher Nolan nella sua trilogia, è stato il modello a partire dal quale Snyder ha ridefinito l’eroe del pianeta Krypton nel suo reebot L’uomo d’acciaio (di cui Nolan aveva scritto il soggetto). E i due personaggi s’erano già incrociati nel graphic novel di Frank Miller, Il ritorno del cavaliere oscuro, tassello fondamentale nella creazione di un immaginario più maturo per l’universo supereroistico.
Batman v Superman è inequivocabilmente figlio di questa temperie: gli eroi sono immersi in un mondo plumbeo e pessimista, nel quale le differenze tra la Metropolis di Superman e la Gotham City di Batman trascolorano in un grigio uniforme e asfissiante. E basti l’inizio del film a definire il tono: un attacco alieno che sbriciola edifici come in un 11 settembre all’ennesima potenza, annegando la città in una luttuosa nube di polvere.
Batman v Superman osa alto: medita in chiave politica sul tema del potere – “La bugia più vecchia in America? Che il potere può essere innocente”, dice il cattivo Lex Luthor (Jesse Eisenberg) – e mette in discussione l’innocenza di Superman (Henry Cavill). Il quale, come sottolinea il senatore Finch (Holly Hunter), non può agire in totale autonomia e, soprattutto, non deve sottovalutare i “danni collaterali” che i suoi interventi a fin di bene causano. Addirittura s’abbozza una riflessione “filosofica” su come, in un tempo senza più dèi, un malinteso messianismo possa spingere la gente a interpretare l’eccezionale potere di Superman per onnipotenza e scambiare un supereroe per una divinità. E qui scatta l’odio rabbioso di Batman (Ben Affleck) per l’eroe col mantello rosso, che si tinge di venature razziste visto che, non dimentichiamolo, proviene da un altro pianeta.
Batman v Superman accumula tematiche impegnative per un blockbuster e coglie talvolta nel segno. Soprattutto col Batman di Affleck, eroe volutamente d’età matura che affoga nella sua ossessione e perde di vista il disegno generale, scambiando davvero Superman per il vero nemico. Il quale invece, come sempre, è Lex Luthor, che qui è molto giovane e ha le fattezze d’un tycoon da new economy mefistofelico e psicopatico – e forse è con voluta malizia che a interpretarlo sia stato chiamato Eisenberg, il Mark Zuckerberg di The Social Network.
L’impianto serio di Batman v Superman finisce però per franare sotto il suo stesso peso. Primo, perché la natura del personaggio di Superman, come s’era già visto ne L’uomo d’acciaio, è troppo positiva e trasparente per sopportare una rilettura pesantemente dark (ne fanno le spese anche gli attori comprimari, sprecati: Amy Adams/Lois Lane e Jeremy Irons/Alfred). Secondo, perché sussistono esigenze di scuderia che obbligano questo film a fare da traino a Justice League, previsto nel 2017 come risposta Warner alla saga degli Avengers targata Disney/Marvel. Da qui l’introduzione del personaggio di Wonder Woman (Gal Gadot), piuttosto avulsa dal contesto.
Terzo, e più importante, lascia perplessi la sceneggiatura di Chris Terrio e David Goyer: non tanto per buchi o incongruenze ma perché, e cerchiamo di svelare il meno possibile della trama, non trova di meglio da fare che ingigantire parossisticamente il senso di minaccia e immaginare nemici sempre più potenti e scontri sempre più implacabili. L’effetto è contraddittorio: perché se sulla carta Batman v Superman vuol essere una riflessione politica sul tema del potere e sulla necessità di porre a esso un limite, poi, stringi stringi, l’unica via per affrontare i malvagi è un potere ancora più grande e scatenato. Alla violenza si risponde solo con una violenza contraria e maggiore. Con tanti saluti ai dubbi pelosi fin lì espressi sui “danni collaterali”. Infatti Batman v Superman accumula immagini di edifici e città che collassano, spazzate via in un continuo gioco al rialzo dell’apocalisse, mostrata con un compiacimento puerile e allarmante.
Insomma, a chiacchiere il film si preoccupa dei princìpi della democrazia da salvaguardare. Ma alla fine “quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare”, senza andare tanto per il sottile. Una “morale” tutt’altro che sorprendente per il regista di 300, film disturbante per la sua fascinazione della violenza. Visti i presupposti e la confezione seriosa, Batman v Superman risulta alla fine un film persino ipocrita.