“C’è una sensazione che provo sempre alla fine di una lunga notte degli Oscar quando il film che ha vinto non è una scelta terribile, ma è la più sicura e prevedibile, quella che si conforma al buon senso più noioso e convenzionale”. Parola di Owen Gleiberman, il critico di Variety, non proprio una testata in odore di eresia quindi, in un articolo significativamente intitolato Perché 1917 dovrebbe essere l’ultimo film a vincere l’Oscar.
Nonostante i suoi condivisibili rilievi, ormai, a un giorno dalla cerimonia degli Oscar 2020, che si svolgerà domani notte, i giochi sembrano fatti. Il film diretto da Sam Mendes, dopo la trionfale cavalcata attraverso i tanti precursors, cioè i premi che precedono l’Academy Award, dovrebbe impossessarsi non solo della statuetta più importante per il miglior film, ma anche di diversi altri riconoscimenti tra le ben 10 candidature ottenute.
1917, le nomination agli Oscar 2020
Le prime avvisaglie del fatto che 1917, uscito tardissimo in sala negli Usa, il 25 dicembre – giusto in tempo per essere eleggibile agli Oscar 2020 – sarebbe stato un candidato agguerrito sono arrivate ai Golden Globes. Dove il film aveva ottenuto 3 nomination, portando a casa 2 pesantissimi premi per miglior film drammatico e regia. Da lì in poi è stato un crescendo: DGA Award, il premio del sindacato dei registi a Sam Mendes, il fondamentale PGA Award come miglior film assegnato dai produttori e la messe di statuette ai Bafta, ben 7 – d’accordo, è il premio britannico, l’inglese Sam Mendes giocava in casa.
Le 10 nomination agli Oscar, annunciate il 13 gennaio, non avevano fatto altro che confermare questo trend. Elenchiamole:
- Miglior Film: Mendes, Pippa Harris, Jayne-Ann Tenggren, Callum McDougall
- Regia: Sam Mendes
- Sceneggiatura: Sam Mendes, Krysty Wilson-Cairns
- Fotografia: Roger Deakins
- Colonna sonora: Thomas Newman
- Scenografia: Dennis Gassner, Lee Sandales
- Montaggio sonoro: Oliver Tarney, Rachael Tate
- Sonoro: Mark Taylor e Stuart Wilson
- Trucco e acconciatura: Naomi Donne, Tristan Versluis, Rebecca Cole
- Effetti speciali: Guillaume Rocheron, Greg Butler, Dominic Tuohy
Come ha fatto 1917 a diventare il favorito?
Fino a un certo punto della stagione, i candidati più accreditati erano altri. Prima dell’apparizione di 1917, gli addetti ai lavori puntavano su The Irishman di Martin Scorsese, chiacchieratissimo da mesi, ancor prima di uscire, perché era prodotto da Netflix, per i costi notevoli, 160 milioni, per l’innovativo processo di de-aging digitale cui erano stati sottoposti i protagonisti, i mostri sacri De Niro, Pacino, Pesci. Piaceva molto anche C’Era Una Volta A… Hollywood, passato in concorso a Cannes a maggio. Un film in cui, raggiunta la maturità, il dinamitardo di generi Tarantino ha cominciato a mostrare il suo lato nostalgico per il cinema di una volta, cosa che i membri dell’Academy, in gran parte maschi bianchi adulti, avevano certamente apprezzato. Senza dimenticare i quarti di nobiltà del terzetto protagonista, DiCaprio, Pitt, Margot Robbie.
A settembre poi, col Leone d’Oro a Venezia, era esplosa la bomba Joker di Todd Phillips. È stato subito chiaro che avrebbe fatto incetta di nomination, dopo aver tenuto banco a lungo per le polemiche legate all’interpretazione disturbante di Joaquin Phoenix e la controversa rappresentazione della violenza. Da Cannes era arrivato pure un altro candidato a sorpresa, Parasite di Bong Joon-ho, fresco di Palma d’Oro. Una sceneggiatura a orologeria, una storia universale di ricchi e poveri, un mix perfetto di umorismo e tragedia. Tutto quello che ci voleva per rendere appetibile a un pubblico occidentale una cinematografia stilisticamente ed esteticamente lontana come quella sudcoreana.
Poi cosa è accaduto? Che, per varie ragioni, le chances dei presunti favoriti si sono sgonfiate. Scorsese non è mai stato amatissimo dall’establishment hollywoodiano, che per riconoscergli l’Oscar a film e regia l’ha fatto penare fino al 2007 (The Departed). E The Irishman resta comunque un film di Netflix. Prima o poi i recalcitranti membri dell’Academy dovranno digerire l’ingresso della piattaforma streaming tra i grandi player del cinema. Ma meglio poi che prima. E pare quasi che le 10 nomination al film siano un piatto servito con crudeltà, utile a gustarsi l’agonia di Netflix e di Scorsese nel tornare a casa a mani vuote (cosa già accaduta a Golden Globes, SAG e Bafta).
Discorso simile per C’Era Una Volta A… Hollywood. Tra le 10 nomination qualche statuetta arriverà, Brad Pitt soprattutto. Ma Quentin Tarantino, seppure in versione nostalgia canaglia, resta un eterodosso, con quella sua passione da ragazzaccio nerd per film di serie b e troppo sangue. Passi l’Oscar per lo sceneggiatore (ne ha vinti due), ma di miglior film o regia neanche a parlarne. Poi, nonostante guidi la classifica con 11 candidature, Joker resta un film troppo divisivo: è pur sempre un cinecomic e la violenza è ritratta con una deriva paurosamente populista. Parasite, invece, è semplicemente troppo coreano. Non si è mai visto un film straniero vincere la statuetta più importante, e difficilmente i giurati dell’Academy avranno il coraggio dei SAG Awards, che al film di Bong Joon-ho hanno assegnato il prestigioso premio per il miglior cast.
A fugare dubbi e incertezze è arrivato il film perfetto, 1917. Ha un regista con un solido palmarès, Sam Mendes, che ha già vinto l’Oscar con American Beauty ma non è autore al punto da divenire inviso all’industria – infatti ha diretto con impeccabile professionalità due episodi di James Bond. Poi c’è la confezione del film: che è un prodigio dal punto di vista tecnico, girato come fosse un piano sequenza unico – che unico non è ed è invece frutto di sapienti interventi digitali –, concertato da quel genio che è Roger Deakins (alla sua 14esima candidatura per la fotografia!). E poi c’è l’incredibile, gigantesco set, un chilometro di trincee allestite per ottenere il massimo realismo possibile.
Tutto questo ha dato a 1917 il carattere della grande impresa, del superspettacolo d’autore, pure tecnicamente innovativo. L’espediente del piano sequenza aveva fruttato l’Oscar a Birdman di Alejandro González Iñárritu. Perché non dovrebbe funzionare con 1917? Nel quale poi, sotto la patina formale d’avanguardia, batte il cuore di un film bellico patriottico vecchio stile. Che racconta un mondo in cui gli ordini non si discutevano, perché il colonnello aveva sempre più ragione del capitano e il capitano del caporale. Dove senso del dovere e abnegazione fino al sacrificio di sé erano merce comune. Il film perfetto per l’Academy, un club di conservatori se ce n’è uno. Rassegniamoci: nella notte degli Oscar 2020 le statuette più importanti le alzerà Sam Mendes.