Esce il primo album dei Follya. OM incontra la band.
Intervista
“Siamo felici di questo lavoro perché racchiude un po’ quello che siamo diventati, dopo dieci anni di varie situazioni, distacchi, pandemie.
Siamo felici di quello che è il risultato. In primis questo album nasce per suonare live e divertirci”, dice Alessio Bernabei.
In che senso “distacchi”?
Alessio: Dieci anni di distacco da noi stessi e fra di noi. La separazione…
Alessandro: E le varie vicissitudini che conosciamo bene. I litigi, mandarsi a quel paese, odiarsi, ritrovarsi, amarsi più di prima, conoscersi più di prima.
Cioè, dinamiche che, se uno si vuole bene davvero, rendono ancora più forti, probabilmente.
A proposito di questo, Giuda, chi me la racconta?
Riccardo: Alessio.
Alessio: La racconto io, visto che l’ho scritta io, no?
Allora, Giuda è… Secondo me, tutti noi abbiamo un Giuda nella vita.
Il Giuda, per quanto riguarda noi, da band, secondo me, può essere anche la musica.
Perché la musica?
Alessio: Perché la musica ci ha tradito parecchie volte.
In che senso?
Alessio: Abbiamo pianto, abbiamo sperato, abbiamo riso, ci siamo divertiti con la musica. Ma ci ha anche, molte volte, pugnalato alle spalle.
Tipo che ci aspettavamo delle cose in passato.
Quali?
Alessio: Ne dico una a caso: durare nel tempo.
La musica, intesa come il lavoro che facciamo, ci ha traditi. Poi che abbiamo fatto sì che lei ci tradisse, ok, ci può stare.
In che modo pensate di aver fatto sì che la musica vi tradisse?
Riccardo: Sicuramente abbiamo gestito male alcune dinamiche in passato, abbiamo vissuto male alcune dinamiche, non dipendenti da noi.
Abbiamo vissuto male dei periodi in cui non avevamo nessun controllo su quello che facevamo, sulla musica.
Alessio: Ma anche dipendenti da noi.
Riccardo: Molte dipendenti da noi, molte no.
Alessio: Diciamo che molte volte siamo stati noi a vivere la musica in una maniera, magari, sbagliata.
Vent’anni, usciti da un certo contesto, usciti da un talent… questo ci ha fatto vivere la musica in maniera totalmente sbagliata e fuori di testa.
Era diventata, per quanto riguarda me, più un lavoro che una passione.
Secondo me, invece, quando lavori nella musica deve spiccare la passione.
Per me era diventata una forzatura, ma come anche per i miei compagni.
Vivere insieme, il convivere in quel modo ha fatto uscire tante lacune dei caratteri e anche le nostre parti peggiori.
E io li ho odiati, mi hanno odiato, ci siamo odiati, però è quello che è successo e che doveva succedere secondo me.
Torniamo a Giuda.
Alessio: Giuda parla del… quello che ognuno di noi prova quando si sente tradito da un qualcuno o un qualcosa.
Da chi vi siete sentiti traditi voi? Non vale rispondere “dalla musica” perché l’abbiamo già detta.
Riccardo: Io molte volte ho detto che addirittura c’è stato un periodo in cui la musica l’avevo parcheggiata proprio, neanche l’ascoltavo più, per questa storia del tradimento. Quindi pure se l’ha detto Alessio, mi sento tradito anche io dalla musica.
Poi se ti devo dire esempi di tutti i giorni, mi sento tradito pure dalle banche, dalle bollette che arrivano a casa, da tante cose.
Dalla vita di tutti i giorni nella società di oggi a ritmi indiavolati che non ti permette neanche, sinceramente, di riflettere sulle cose.
Quindi avere una cosa che ti dà forza come la musica, che allo stesso tempo può essere lavoro e passione, è comunque impagabile secondo me.
Alessandro: Io più che la musica, mi sono sentito tradito da me stesso perché mi sono fidato di tante mie sensazioni, percezioni. Mi ci sono dedicato completamente e poi invece mi si sono rivoltate contro. Che poi sono le cose che insegnano a crescere, a maturare nella vita.
Quindi è importante farne tesoro di queste cose. Tante canzoni nostre in realtà hanno vari tipi di lettura.
Letture generazionali, rapporti di amore tossici nei confronti di altre persone. Ma tante volte in realtà gli scontri più grossi li abbiamo con noi stessi.
E poi è come viviamo noi le cose che si riflette sulle altre persone di conseguenza.
Quindi spesso è anche un po’ colpa nostra.
Quindi Giuda… A volte potremmo essere anche un po’ noi stessi.
Il “mister”, ad esempio, non è sempre là fuori ma qua dentro.
Francesco: Il bello di essere compagni di musica e di vita ormai da troppo tempo è che siamo veramente allineati. Hanno già detto tutto.
Lui mi ha rubato la risposta. Io avrei detto da me stesso, dalla mia incoerenza. Magari ti svegli che ti senti Gesù Cristo, che vuoi fare buone azioni, essere una persona migliore e poi ti accorgi che già il primo pomeriggio sei il Giuda più assoluto.
Però l’importante è arrivare alla sera e riscoprire l’arte di ringraziare per le cose belle.
Alessandro: Da me ti senti tradito perché ti ho rubato la risposta.
Alessio: Mi sono sentito tradito dai Dear Jack.
Io ti dico dai Dear Jack perché quando me ne sono andato non eravamo, mi ci metto anche io in mezzo, la band che sognavamo di essere.
E non c’era l’amore che pensavo tra di noi.
E ti dico anche: la gente. Mi sono stato sentito tradito dalle persone. Ero circondato da tanta gente e non la vedo più intorno a me.
Ho sentito tanta gente che voleva essere sul carro del vincitore ma in realtà poi ti ritrovi solo.
E quale pensi sia stato il tuo ruolo in questo?
Alessio: Io dopo anni mi sento l’artefice di tutto quello che è successo nella mia vita.
Ho capito e poi ho fatto pace con il fatto che io sono l’artefice di tutto quello che mi è successo negli ultimi dieci anni.
E ci ho messo un po’ per capirlo.
Quindi se è successa quella cosa dieci anni fa la sento colpa mia.
Me ne sono andato dalla band: colpa mia.
Il Sanremo non andato come prevedevo: colpa mia.
Sono stato nemico di me stesso e negli ultimi due o tre anni mi sono perdonato.
E quella cosa lì mi ha fatto vivere in maniera differente tutto.
Anche loro li vivo diversamente rispetto a come li avrei vissuti anche fino a quattro o cinque anni fa.
Qual è stato secondo te il tuo ruolo in tutti questi rapporti con persone che poi ti hanno pugnalato alle spalle o tradito?
Alessio: Posso dirti che sono stato vittima e carnefice?
Sono stato la vittima nel senso che ho sentito la sofferenza sulla mia pelle data da persone esterne.
Mi sento carnefice perché tutto quello che facciamo è il frutto di quello che seminiamo noi.
E tu quindi cosa avevi seminato secondo te in questi momenti?
Alessio: Ho seminato merda. Ho seminato quello che ero. E quello che ero non è quello che sognavo di essere, in fondo.
Ma era forse una persona che viaggiava col pilota automatico.
Un ragazzo di vent’anni che non sapeva neanche quello che provava, che succedeva intorno a lui.
Tutti i giorni faccio i conti con quello che ho fatto e con quello che faccio adesso.
Non sempre mi amo. Però ho imparato ad accettarmi.
Ho imparato ad accettare il brufolo che mi viene il giorno X, che mi fa schifo. E ho imparato a accettare il fatto che dieci anni fa ho lasciato una parte di me in loro e magari loro hanno lasciato anche una parte di loro in me.
Riccardo: Il percorso genuino di ognuno di noi in questi ultimi anni è stato comunque bello faticoso.
Chi ha cambiato città, chi ha cambiato completamente vita, chi ha scommesso su una nuova vita ad esempio a Milano con la ragazza.
Chi si è aperto uno studio. Chi vive la sua realtà a Tarquinia nelle mille difficoltà che ha.
Chi ha scelto di fare la vita da marito, da papà, e si è messo in mezzo a 300.000 cose.
Abbiamo tanti percorsi che, incrociati, danno vita secondo me a un cesto enorme di roba, potentissima, che convive alla perfezione in questo momento.
E che secondo me ci darà sempre tante cose da dire, tante storie da raccontare.
Questa è la prima raccolta di storie, diciamo, e racchiude gli ultimi due anni.
Già stiamo scrivendo altra roba.
Quindi è un continuo flusso di emozioni e di cose che convergono tra loro.
Alessio: La cosa essenziale adesso è che finalmente abbiamo trovato quello che volevamo fare da quando siamo bambini, che è provare delle emozioni su un palco. Ho ritrovato la bellezza di andare in sala prove e commuovermi davanti a loro, e davanti a me stesso.
Abbiamo scarnificato tutto e ci siamo trovati così. SOLI. Possiamo dirlo, soli? Perché è rimasto uno zoccolo duro, molto meno rispetto al passato, molto più piccolo, ma che quando sta sotto il palco piange e dice “cazzo parla di me questa canzone”.
Posso dire che dopo anni, parlo per me ma parlo anche per loro, abbiamo un disco che non c’è quel pezzo che dici “che palle, non mi va di suonarlo”.
Questa cosa non la provavo neanche col mio progetto da solista.
Sarà che il mio vero spirito è stare in una band. Sono nato così a 14 anni e ho trovato dei compagni con cui ho il piacere di condividere tutto questo.
Quindi il futuro sarà restare nella band?
Alessio: Sì, ce lo siamo promesso. Che poi magari uno, due o tre di noi possano fare dei progetti contemporanei, perché no.
Però non voglio abbandonare questa nave. Anche perché abbandonare le navi fa male e soprattutto magari ti porta in posti dove non volevi stare.