Dirò una cosa scontata. Dichiarare che sto per dire una cosa scontata non rende meno scontata la cosa che sto per dire, lo so. E ammettere di sapere che dichiarare che sto per dire una cosa scontata non rende meno scontata la cosa che sto per dire a sua volta non fa, se possibile, che peggiorare la cosa, come quando uno finisce nelle sabbie mobili e invece di rimanere immobile, pronto a uscirne, si agita e finisce per affondarci dentro.
Dirò una cosa scontata e anche banale, temo. Il che, ovviamente, aprirebbe altri giri concentrici, altre scale di Escher, altri loop. Certo, potrei buttarla in caciara, dicendo che l’essere banale nel parlare di un personaggio che considero banale è un mio modo per mimetizzarmi, per incarnare l’oggetto del mio dire, come quando stiamo parlando di un tedesco e, anche senza pensarci troppo, tendiamo a indurire le gutturali, scambiare le v con effe, assumendo anche una certa postura marziale, non credo servano didascalie o disegnini. Ma sarebbe un altro tentativo di rendere meno imbarazzante il mio essere scontato e banale, sempre che mi freghi qualcosa del giudizio di chi legge, e se parlo di voi che state leggendo nascondendovi dietro una neutrale terza persona singolare è solo perché, mi hanno detto, dare dello stronzo a chi ti legge è sì bohemien, ma non sempre praticabile, come gesto.
Sarò quindi spavaldo dicendo una cosa scontata e banale, conscio di ciò che sto facendo e tutto il resto, ma credo che non ci siano alternative percorribili, non per me, non per me qui e ora.
Il fatto è che siamo tutti d’accordo sul fatto che spesso e volentieri siamo più duri con coloro che stimiamo, cui vogliamo anche bene, nello stilare giudizi. O quantomeno siamo più radicali e irreprensibili, si dice tendenzialmente “non ne lasciamo passare una”, nei confronti di chi riconosciamo come a noi vicini, si tratti di socialità, di gusto, forse anche di affetto. Nel senso, se uno che ci sta sul cazzo fa qualcosa di sbagliato, beh, non ci sorprendiamo più di tanto, anzi, semmai troviamo conferma al nostro pensare, e tendiamo a sbolognare la cosa come naturale. Se a sbagliare è qualcuno che consideriamo infallibile, che stimiamo per il suo talento o che abbiamo a cuore per mere questioni affettive, ci rimaniamo assai male, trasecoliamo, restiamo di sasso. Faccio un paio di esempi, non perché oltre che non avere alcun interesse nel vostro giudizio nei miei confronti io vi ritenga poco svegli, leggete me, come mai potrei pensare che non siate svegli?, ma perché il mio discorrere è per sua natura infarcito di deviazioni sul percorso principale, e il mio ritardare continuamente il momento del coito è parte portante dello scrivere, fossi lineare farei altro. Se un artista che adoriamo, parlo per voi comuni mortali che adorate cantanti, tira fuori una cagata pazzesca, di quelle, che so, tipo Palla al centro di Elisa e Jovanotti, ecco, se siete fan di Elisa, magari più della vecchia Elisa che della nuova Elisa, quella vi ha già abituato a cagate di simile portata, o di Jovanotti, e qui aprire una parentesi sarebbe davvero perdersi in discorsi troppo complessi, ascoltando Palla al centro proverete disagio vero, imbarazzo, incredulità, forse anche un vago senso di mal di vivere. Se, invece, a tirare fuori una cagata del genere è un artista che non solo non stimate, ma ritenete un cane, la lista dei nomi papabili è talmente ampia che mi sembra inutile star qui farne qualcuno, toh, diciamo Rkomi, ecco che la cagata in questione vi farà addirittura sorridere, e magari esclamare qualcosa come “oh, questo non ne azzecca una”. Altro esempio, ma qui andiamo fuori tema, lo so, se abbiamo una certa idea politica, a fatica rappresentata da uno dei poli al momento presenti su piazza, sia esso destra, sinistra o quel che ci gira intorno, e vedete il leader del partito che in teoria dovrebbe rappresentarvi portare avanti istanze che con voi non c’entrano niente, beh, facile che vi inalberiate assai più che se a dire qualcosa del genere è il leader del partito che, per le medesime ragioni, considerate vostro “avversario”. Essere traditi dagli amici fa molto più male, è risaputo, di qui il tiro al bersaglio dal fuoco amico che spesso vediamo andare di scena in queste settimane di campagna elettorale.
Ci siamo capiti. O meglio, voi avete capito me, perché io sapevo già quel che sto per dire.
Siamo molto più critici con coloro che stimiamo, verso cui proviamo affetto, al punto, a volte, di essere assai più duri che con gli altri, di usare un metro di giudizio più rigido.
Questa, tanto per essere chiari, è l’ovvietà di cui parlavo in esergo. E dico esergo giusto per malcelare una certa cultura di base, della serie, dirò sì ovvietà, ma almeno le dico con buona proprietà di linguaggio, eccheccazzo (questa è una concessione al giovanilismo che va tanto di moda in rete, abbiate pazienza).
Volendo provare a applicare qui, alla spiccia, un po’ di logica, potrei quindi provare a affermare che, quando leggete un mio scritto particolarmente duro, capita spesso, anche se meno spesso di quanto non sembri (avete tutti presente la faccenda dell’albero che cade che fa assai più rumore dell’albero che cresce, andatevi a contare quanti pezzi “positivi” scrivo e quante stroncature e vedrete che sono molti più i primi dei secondi, anche se poi i secondi fanno assai più clamore, generano flame e portano lettori anche ai primi, mondo canaglia), quando leggete un mio pezzo duro potreste essere portati a pensare che io stia applicando il famoso metro di giudizio più rigido nei confronti di un artista che in realtà stimo particolarmente. Sono spietato, così mi dicono, perché da Tizio o da Caio, dove per Tizio e Caio intendo Tizio e Caio, non Tiziano Ferro e non saprei dire che potrebbe essere Caio, da Tizio e Caio, dicevo, vorrei molto di più. Uno è impietoso perché vuole di più da chi ama, questa la lettura plausibile.
Ecco. Però. Diciamo che è una lettura plausibile, anche romantica, ma nella stragrande maggioranza dei casi sbagliata. Ho stima di un numero neanche troppo piccolo di artisti che, per mia buona fortuna, raramente tradisce le mie aspettative. E proprio perché ciò accade raramente, e dal momento che io non sono un fidanzato o amico tradito, né un genitore deluso da un figlio, ma un critico musicale, quando raramente ciò accade tendo per mia natura a tenermi i giudizi negativi per me, non volendo esporre al pubblico ludibrio qualcuno che stimo e che, vai a capire perché, ha sbagliato.
Attenzione, ho detto “esporre al pubblico ludibrio”, avrà notato il solito rompicazzi che alberga tra voi, pronto a brandire questa mia affermazione contro di me come una clava. Solo che io sono quello cattivo, tra noi, nonché quello che prima di pubblicare ha scritto e riletto, quindi sì, ho detto “esporre al pubblico ludibrio” e l’ho detto consapevole che ciò potrebbe essere brandito eccetera eccetera, solo che, qui il punto di questo passaggio, Dio mio quanti incisi mi tocca aprire oggi, quando scrivo tendo a attingere al ruscello dell’ironia, a volte anche a quello del sarcasmo, sempre e comunque immerso fino al collo nel politicamente scorretto, ovvio che se un disco mi fa cagare io tenda a esporre al pubblico ludibrio, già dire che mi fa cagare guarda in quella direzione, mica sono un greve dotato di un vocabolario limitato. È un modo per sottolineare come certa musica, che fatico a inquadrare esattamente come musica, mi fa appunto cagare e che quindi intendo trattarla in quel modo, senza addentrarmi in tecnicismi che, ritengo, quella musica non meriti e che comunque una lettura veloce in rete mal sopporterebbe (stavolta ve la siete scampata, almeno voi).
Quindi se leggete una mia invereconda stroncatura, o un mio pezzo violento, irriverente, eversivo, non è perché io sono rimasto scottato da chi ha tradito le mie aspettative, ma perché la disistima nei confronti dell’artista di cui scrivo e della sua sedicente arte è tale che altro da dire non ho voluto trovare.
Questo per dire che leggere la notizia (riportata da All Music Italia, che per motivi che mi sfuggono parlano non di produzione artistica ma di direzione artistica) che il prossimo album di Laura Pausini sarà prodotto artisticamente da colui che nei miei scritti è spesso stato dileggiato con il nomignolo di Gino con le Mutande è una di quelle notizie che, per uno che ha deciso di votare la sua scrittura per buona parte a raccontare il pop e in modo particolare il pop italiano, non ha pari. Colui che considero il peggior discografico italiano che produce artisticamente l’artista il cui successo maggiormente mi sorprende, non ravvedendo in lei io alcun talento, meglio di un dream team che di colpo prende forma, di una concatenazione di eventi che solo una congiuntura astrale benigna può prevedere, di qualcosa che non avresti mai osato chiedere al destino e invece il destino, toh, te l’ha servita calda.
Certo, quando suggerivo alla Pausini di trovarsi un produttore artistico vero, perché fare le cose in casa non è che avesse portato a chissà che risultato, ero benevolmente serio, generosamente serio, ma mai avrei pensato che avrebbe dato ascolto alle mie parole andando però a prendere il peggiore sulla piazza, roba che manco a prenderci la mira.
Potrei anche azzardare, a questo punto, in chiusura, qualcosa di simpatico, che suoni come “vuoi vedere che messi insieme, una volta tanto, ‘sti due faranno qualcosa non dico di buono, ma almeno di ascoltabile”, invece no, sono proprio sicuro che mai come in questo caso un discografico che si è mosso prevalentemente inseguendo come un rabdomante la merda sotterranea facendola emergere e una artista che ha fatto del banale un prodotto di importazione, fortunatamente meno diffusa di come poi ci hanno voluto far credere, riusciranno a fare qualcosa che suonerà come la somma dei loro modi di interpretare la musica, qualcosa da cui, anche volendo, dubito anche lo stesso Iddio potrebbe salvarci.