John Wick 3 – Parabellum, l’ultimo episodio del franchise con Keanu Reeves

Trama inesistente, scene d’azione astratte come coreografie. Per chi lo ama è un'esperienza visiva ipnotica. Per chi lo detesta, è un cinema disumanizzato e insensato

John Wick 3 – Parabellum

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John Wick è uno dei più singolari fenomeni cinematografici di questi ultimi anni. Quando uscì, nel 2014, sembrava dovesse essere l’ennesimo giustiziere da un solo film, con un attore di fama, Keanu Reeves, non più esattamente all’apice della carriera. Invece al racconto diretto da Chad Stahelski, con al centro un ex killer in lutto per la morte della moglie costretto dai cattivi di turno a rientrare in servizio, arrise un successo inaspettato, che ha condotto alla costruzione di un vero e proprio franchise, con diverse ramificazioni.

A tutt’oggi sono tre gli episodi realizzati: il secondo e il terzo hanno costantemente moltiplicato gli incassi, passando dagli iniziali, e già ragguardevoli, 86 milioni di dollari globali del prototipo ai quasi 330 di John Wick 3 – Parabellum. Nel frattempo l’universo narrativo dell’ex sicario stanco ma imbattibile s’è ampliato, comprendendo videogiochi, fumetti e, soprattutto, una serie tv prequel adesso in lavorazione, The Continental, con protagonisti annunciati del peso di Mel Gibson, che approfondirà le vicende legate al fantomatico hotel del titolo, quartier generale – nonché unica zona franca in cui vige il divieto di compiere atti criminosi – dell’organizzazione di assassini a pagamento cui appartiene John Wick. Per il quale, tornando al cinema, è già programmato l’episodio 4, uscita prevista marzo 2023, ed è in sviluppo la puntata 5.

John Wick 3 – Parabellum, stasera in prime time su Rai 2, ribadisce la ricetta che ha condotto al successo la serie, rilanciando e arricchendo la posta, visto da un lato l’ingresso nel cast di nomi via via più prestigiosi – oltre a Laurence Fishburne, già presente nel secondo episodio per creare con Reeves duetti e brividi alla Matrix, si aggiungono Anjelica Huston e Halle Berry – e dall’altro una moltiplicazione delle location – secondo quell’inevitabile gusto internazionale alla James Bond che obbliga sempre gli eroi a muoversi su uno scacchiere globale – con una escursione in Marocco.

Qual è dunque il segreto del trionfo della serie? A vedere l’episodio Parabellum non sembrano esserci dubbi. John Wick, che vede sempre le sceneggiature firmate dal creatore del personaggio Derek Kolstad e alla regia Chad Stahelski, ex stuntman passato dietro la macchina da presa (è stato anche la controfigura di Reeves in Matrix) ha il pregio del b movie che dichiara senza giustificazioni la sua natura di action puro. Il racconto, episodio dopo episodio, non abbandona mai la sua struttura narrativa scheletrica, nella quale ogni nemico, accadimento, cambio di scena e di location è puramente funzionale alla costruzione di sequenze di combattimento sempre più lambiccate, che in Parabellum raggiungono una complessità, grazie al lievitare del budget, impensabile per il primo episodio – in particolare l’inseguimento in motocicletta.

John Wick persegue un cinema che mette da parte gli orpelli del racconto (a proposito della seconda puntata il critico di Repubblica Roberto Nepoti scrisse che “la sceneggiatura di John Wick 2 si potrebbe riassumere in un tweet”) e immerge lo spettatore in una pura esperienza visiva, un dispositivo che rilancia all’infinito un’azione adrenalinica – ogni volta con più duelli, più arzigogolati e con più morti ammazzati –, in cui a contare sono solo il ritmo e la stilizzazione coreografica dei combattimenti.

Non c’è nessuna particolare motivazione dietro gli omicidi commessi dall’implacabile sicario, nessuna lettura metaforica del film. C’è solo il gusto dell’azione fine a sé stessa di un cinema al grado zero, talmente minimale nel suo impianto narrativo da trasformarsi in una sorta di danza impalpabile. Questo, secondo alcuni estimatori, consentirebbe un’esperienza estetica paragonabile a quella di un’installazione di videoarte. E allora non sarebbe casuale, soprattutto in John Wick – Capitolo 2, la presenza di tanti monumenti, musei e gallerie d’arte come location.

John Wick 3 – Parabellum autodichiara la sua natura fin dalla prima sequenza, che parte esattamente dal momento in cui s’era interrotto il secondo episodio, quando era stata posta sulla testa dell’eroe una taglia milionaria, che ovviamente scatena contro di lui gli appetiti di tutti i killer a pagamento del mondo, prefigurando quindi una vicenda di violenze e scene d’azione senza un attimo di tregua. Il che, in base alle propri gusti di spettatore cinematografico, conduce a un film o entusiasmante o completamente insensato. John Wick, però, questo sarà ormai chiaro, non si può vedere col filtro di un armamentario critico da cinema d’autore, e lo si può apprezzare solo se ci si abbandona al flusso quasi subliminale del suo ritmo visivo astratto e ipnotico.

Curioso semmai, è il divismo di Keanu Reeves nella serie. La sua scelta come protagonista ha senso, se si pensa che il gusto coreografico di John Wick deve molto a quel cinema di Hong Kong col quale anche Matrix aveva più di un debito. Eppure l’attore americano sembra costantemente fuori contesto: un killer malgrado sé stesso, che attraversa le interminabili, efferate sequenze con aria abulica e claudicante, come se venisse trascinato nelle violenze che commette invece di esserne l’autore consapevole. Anche lui cosa tra le cose, oggetto tra gli oggetti di un franchise totalmente disumanizzato, nel quale gli individui, protagonista compreso, sono ridotti a orpelli immateriali senza psicologia e senza sentimenti, dei fantocci funzionali ai combattimenti ripetuti all’infinito di un dispositivo puramente spettacolare.

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