Rai Tre ha deciso di celebrare il doppio anniversario di Lucio Dalla, la nascita del 4 marzo 1943 e la scomparsa il primo marzo di dieci anni fa, nel 2012, trasmettendo in prima tv un documentario molto bello a lui dedicato da Pietro Marcello. Titolo, semplicemente, Per Lucio. Un lavoro che non assomiglia a nessun altro, che rende un servizio ideale a un artista dal percorso singolare che, anche lui, non assomiglia a nessun altro.
Dimenticate i ritratti agiografici che prediligono la cronologia e la biografia, celebrando successi e canzoni famose. In Per Lucio Marcello, uno dei più originali registi e documentaristi del cinema italiano di oggi, fa quello che sa fare meglio, lavorando creativamente sui materiali d’archivio provenienti da Istituto Luce Cinecittà, Cineteca di Bologna, Archivio nazionale del Film di famiglia, l’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, l’Archivio nazionale Cinema impresa. Usandoli per comporre un ritratto in cui c’è Dalla, e insieme a lui un gran pezzo di Italia tra anni Cinquanta e Settanta.
Marcello ha seguito la stessa logica del suo ultimo film di finzione, Martin Eden, nel quale la vicenda del marinaio del romanzo di Jack London, originariamente ambientato negli Stati Uniti agli albori del Novecento, viene intimamente trasfigurata, rendendo il protagonista un proletario del Sud Italia la cui parabola di emancipazione personale ricapitola le trasformazioni di un secolo, ripercorrendone sconfitte, illusioni, sogni andati a male.
Allo stesso modo le canzoni di Lucio Dalla diventano il punto di vista privilegiato attraverso cui ripercorrere decenni fondamentali della storia del Belpaese, che in qualche modo s’impigliano tra le note dei suoi brani, filtrati dalla sua sensibilità d’artista. In Per Lucio, partendo dal secondo dopoguerra, si ritrovano assemblati in un montaggio liberissimo – che non ha l’andamento metodico del saggio ma si accende di accostamenti “in rima” – i brandelli di un paese in bianco e nero, con le ultime tracce della cultura contadina sostituite prepotentemente dalla civiltà delle macchine, le fabbriche, gli operai e le catene di montaggio, e nuove classi e tipi sociali, imprenditori, intellettuali, studenti.
Il film procede per assonanze, lampi ed ellissi, accostando feste e manifestazioni di piazza, momenti intimi familiari e vicende collettive talvolta tragiche come la strage di Bologna, recuperate da immagini di repertorio che sulle prime parrebbero del tutto estranee all’universo espressivo di Dalla, e che invece risultano perfettamente sincronizzate a musiche e versi, al punto che sembrano da queste sgorgare naturalmente, come fossero richiamate da quelle note e parole.
È un approccio obliquo e indiretto quello di Per Lucio, apparentemente evasivo circa la storia dell’artista, mai posta ossessivamente in primo piano. Eppure nel documentario c’è tutto l’essenziale, per un ritratto profondo e veritiero che alla ragionieristica esposizione dei fatti antepone l’attenzione alla sostanza della vita di Dalla, raccontato sia nel carattere bizzarro, curioso e frenetico, sia nell’attitudine poetica della sua ispirazione, la sua capacità di restare sintonizzato col proprio tempo, radicato nella sua amata Bologna e nell’Italia.
La completezza del profilo emerge anche grazie all’attento scavo sui materiali d’archivio riguardanti lo stesso Dalla, da cui riemergono spezzoni in bianco e nero che lo ritraggono agli esordi. Brani preziosi e mai visti, tra cui persino una comparsata allo Zecchino d’oro del Mago Zurlì Cino Tortorella insieme alla madre. Accanto al basso continuo dei documenti video si aggiunge il filo rosso dell’intervista-conversazione tra due sodali del cantante, due figure diversissime come lo storico manager di Dalla Umberto Righi, detto Tobia, e il filosofo Stefano Bonaga. I quali s’incontrano in trattoria davanti a un piatto di fettuccine e regalano al documentario un senso di calore e quotidianità che sa d’improvvisazione genuina, una chiacchierata svagata in cui c’è prima di tutto il piacere del parlare di Lucio, senza l’assillo di dire didascalicamente tutto e senza l’ossessione dell’aneddoto necessariamente divertente.

Non si faticherebbe a immaginare lo stesso Dalla seduto a una tavolata alla buona come quella. E magari chissà, anche lui avrebbe messo in primo piano, come fa Pietro Marcello, gli anni della collaborazione con il poeta Roberto Roversi – altra icona bolognese, certo più appartata – per i tre dischi coraggiosi che hanno segnato l’evoluzione del linguaggio musicale dell’artista, Il Giorno Aveva Cinque Teste (1973), Anidride Solforosa (1975), Automobili (1976). È una pagina che consente anche al regista di creare un collegamento con Pasolini – Roversi con lui fondò la rivista Officina –, la cui immagine lampeggia in uno scatto d’epoca.
Ed è chiaro quanto Pasolini, legatissimo a Bologna dove nacque e frequentò liceo e università, costituisca un elemento d’ispirazione per Marcello, sia per le tesi sul “genocidio culturale”, di cui parla anche Roversi, sia stilisticamente, nell’uso “primitivo” dei primi piani degli italiani dell’altro ieri, e nella grana dell’immagine, che accomuna senza distinzioni sequenze di repertorio e sequenze nuove, che non hanno nulla di scintillante e sono invece granulose e fragili. Come se tutto, in Per Lucio, provenisse da un’altra epoca, fortunosamente scampato all’eclissi di un intero mondo.
Così ogni porzione di questo documentario è o diventa una pagina di storia italiana, grazie a questo riuso dei filmati in cui spezzoni d’archivio e parti relative alla carriera di Lucio Dalla s’amalgamano fino a non appartenere più a un periodo definito o all’epopea individuale dell’artista, trasformandosi in brani di memoria collettiva. Che è quanto accadeva già nel tempo irriconoscibile di Martin Eden, nel quale l’intero Novecento veniva riassemblato, con i vari decenni del secolo sovrapposti gli uni agli altri, senza la possibilità di riordinarli in una cronologia precisa.
Così anche in Per Lucio le lontane immagini d’epoca sembrano accadute appena ieri, mentre le composizioni di Lucio Dalla – Itaca, L’Operaio Gerolamo, Mille Miglia, I Muri Del Ventuno, Quale Allegria – risuonano come pezzi di un repertorio senza età della canzone popolare, che paiono provenire da un passato lontano, e sono certamente destinati a durare a lungo, ben oltre i confini della vita di Dalla. Una cosa di cui l’artista bolognese sarebbe stato felice. Ciò che rende Per Lucio il migliore omaggio possibile al suo irripetibile talento.