L’Amica Geniale 3 è crescita in intensità e potenza narrativa, insieme alle sue protagoniste Margherita Mazzucco e Gaia Girace, con una première di stagione che ha rappresentato una prova di maturità sia per le attrici (ancora molto acerbe ma sicuramente dedite ai personaggi) che per la serie stessa. Gli ascolti della prima puntata, inferiori alle attese rispetto alla media del passato, certamente non rendono giustizia a quello che è stato probabilmente il miglior episodio visto finora – il secondo della terza stagione – sia per la perizia artistica e tecnica con cui è stato realizzato sia per la materia incandescente e attualissima che ha portato sullo schermo.
L’Amica Geniale 3: dove eravamo rimasti
Tratta dal best seller Storia di chi Fugge e di chi Resta, il terzo libro della quadrilogia di Elena Ferrante edito da Edizioni E/O, L’Amica Geniale 3 è ambientata all’inizio degli anni Settanta, dopo il cosiddetto autunno caldo dei movimenti studenteschi e delle lotte operaie. Le protagoniste sono distanti ma continuano a tenersi d’occhio da lontano: Lila, dopo aver lasciato il marito e aver rotto i rapporti con tutta la sua famiglia, vive con Enzo a San Giovanni a Teduccio e lavora come operaia in una fabbrica di salumi tra stipendi da fame e vessazioni continue, mentre Elena dopo la laurea alla Normale di Pisa ha pubblicato un romanzo di successo, divisivo per il suo contenuto sessualmente esplicito, che l’ha introdotta tra le élite culturali del Paese e portata al fidanzamento col professore comunista Pietro Airota. Quel destino di miseria che il rione sembrava prefigurare per entrambe è ora una realtà per Lila, mentre Elena lo riscopre solo quando torna a casa, scontrandosi ogni volta con l’ignoranza, l’ottusità e l’arretratezza del posto in cui è cresciuta. Il loro legame ambivalente ma inscindibile torna a rinsaldarsi quando Lila crolla per i problemi di salute che le procura il lavoro in fabbrica: è lì che Elena scopre quanta sofferenza si annidi in quella classe operaia che intellettuali, politici e professori difendono nelle assemblee studentesche e nei congressi di partito, ma in realtà conoscono molto poco.
L’Amica Geniale 3 e la coscienza di classe
Con il secondo episodio, dedicato interamente alla vicenda umana di Lila, L’Amica Geniale 3 diventa un piccolo trattato sulla coscienza di classe. La serie conserva quell’autenticità improntata al cinema neorealista, senza rinunciare allo stile del teatro di posa, che ha connotato le prime due stagioni. Ma soprattutto evita quell’effetto a volte un po’ caricaturale e volutamente nostalgico di tanta fiction ambientata negli anni Sessanta e Settanta, scegliendo ancora una volta di fare della crudezza, della sofferenza fisica e psicologica, nonché della flebile speranza di cambiamento, le sue cifre narrative dominanti. Non c’è nessun tentativo di edulcorare o di ammantare di romanticismo la tragica realtà della vita dei lavoratori e soprattutto delle lavoratrici della piccola industria italiana, reduce dagli anni del boom economico ma mai ammodernatasi nelle condizioni di lavoro. Non c’è ne L’Amica Geniale 3 quel patetismo che spesso accompagna le rievocazioni dell’epoca, anzi, c’è la violenza, lo sfruttamento, l’abuso, che nel caso delle donne si traduce anche nel ricatto della disponibilità sessuale (“Ti pago, quindi ti possiedo“). Lila lo racconta benissimo in quella che è la scena più potente e realistica dell’episodio La Febbre, rivolgendosi agli iscritti alla sezione locale del Partito Comunista, in cui ora i giovani studenti cercano di scuotere una dirigenza che apre alla Dc di Aldo Moro e prepara il terreno al compromesso storico (“Noi invece dobbiamo fare la rivoluzione” è il manifesto di Pasquale). Lila non ha idea in quel momento di cosa voglia dire maturare una coscienza di classe, non sa che cos’è la lotta organizzata nelle fabbriche né con quali strumenti si porta avanti, non ha fiducia nel sindacato né nel partito dei lavoratori. Si limita a sbattere in faccia ai comunisti da sezione gli episodi più atroci vissuti sulla sua pelle e a smontare il loro santino della figura dell’operaio dipingendo una realtà di sfruttamento da cui “nessuno può imparare niente“. Perché secondo lei non c’è niente da imparare da chi semplicemente non vive, da chi semplicemente sopravvive a giornate sfinite dalla fatica fisica e dall’afflizione morale. Proprio mentre è chiamata dai compagni a dare una testimonianza delle condizioni disumane in cui lei e i suoi colleghi sono costretti a soccombere pur di conservare stipendi da fame, Lila finisce per maturare quella consapevolezza, la coscienza di essere accomunata agli altri da una stessa condanna alla sopraffazione e la necessità di trovare strumenti per organizzarsi e combattere lo sfruttamento, operato in modo sistematico da una classe borghese già tutta votata al mito del profitto ad ogni costo. Nonostante il suo fatalismo e la quasi assenza di speranza in una rivoluzione che sembra solo ideale, Lila impara a fare politica a suo modo, tenendo un discorso di denuncia senza rendersi nemmeno conto del fatto che sia un atto politico. Il suo rifiuto, in un primo momento, del soccorso dei sindacati come dei compagni di sezione, verrà sostituito dall’appello ai compagni di fabbrica a ribellarsi, poi caduto di fronte all’ennesimo sfregio nella vita nei suoi confronti: i Solara, che avevano distrutto gli affari della sua famiglia e di suo marito, tengono per il cravattino anche il proprietario della sua fabbrica, l’ignobile Bruno. È l’ennesima condanna per Lila, costretta a ripiombare nella spirale della dominazione di uomini autoritari, fascisti, schifosamente maschilisti tanto da considerare le donne (tutte) solo un animale da “domare“, al servizio dei propri interessi e bisogni.
L’Amica Geniale 3: la regia di Daniele Luchetti
Quel sipario che si chiude su Lila e Lenù, come alla fine di un atto a teatro, alla fine del racconto straziante di Cerullo chiude una prima puntata che la regia di Daniele Luchetti e la scrittura di Ferrante e degli altri sceneggiatori hanno reso forse il più potente della serie finora. Sicuramente il più politico, nel senso più alto del termine. Nonostante sia subentrato a Saverio Costanzo in una squadra già rodata, il regista fa proprio fin da subito l’universo di Ferrante. Ha dichiarato di essere “entrato in punta di piedi in una serie che aveva già alle spalle un olimpo di autori: Elena Ferrante, Saverio Costanzo, Laura Paolucci, Francesco Piccolo ed un esercito di attori che già erano i personaggi da prima di me“, ma non è vero: è entrato sì con rispetto e ispirazione in una storia già molto viva, nei libri e sullo schermo, ma la sua regia non è stata per niente tiepida, semmai dirompente. Luchetti ha messo in scena la propria Amica Geniale in continuità col passato, ma anche con una forza nuova, frutto della sua capacità di lettura di fenomeni sociali complessi che aveva già messo in scena, magistralmente, in Mio Fratello è Figlio Unico (la scena di Elena che entra nell’università occupata a Milano sembra quasi un’autocitazione dal film con Germano e Scamarcio). Luchetti sa perfettamente come maneggiare quel portato storico, fatto di una rivoluzione dei costumi, di uno scontro ideologico e politico per niente sterile, ma basato su grandi ideali contrapposti, in un’Italia che si sforzava di rispondere agli echi del movimento giovanile francese, della seconda ondata di movimenti femministi, delle rivoluzioni socialiste in giro per il mondo, della lotta di classe come strumento di civilizzazione del Paese. Il tutto a partire dallo sguardo mai convenzionale delle due protagoniste, due storie individuali di reazione al sistema oppressivo familiare e sociale, attraverso le quali leggere l’epica di un’intera epoca.
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- Ferrante, Elena (Author)