Prendo uno spicchio di luna e lo metto nella sangria.
Iniziamo da qui.
No, non iniziamo dalla sangria, ovviamente, è inverno, non è stagione, siamo sotto Natale, non è neanche tradizione, mica siamo in Catalogna, e non vorrei dimostrare poca stima nei vostri confronti andando a sottolineare come la faccenda dello spicchio di luna sia una metafora anche piuttosto usurata, la luna, il limone, quella roba lì, siete gente che mi legge, direi che possiamo partire almeno da Deleuze e Giuttari, Braudillard, Adorno, insomma, dar per scontato lo scontato, riconoscersi come simili, fare comunella.
Parto da questa frase, che vostro malgrado, parlo per me, potreste già aver sentito non saprei neanche quante volte, a me è capitato così, perché, contravvenendo a ogni logica, sovvertendo la trama di un copione già scritto, una mia rara concessione all’omologazione, outsider bastian contrario che non sono altro, anche a me piace, di rado, muovermi su terreni già abbondantemente battuti, invece di passare questi anomali giorni di festa, a tavola a parlare di contagi, di varianti, di tamponi, di vaccini, a passarli con le classiche canzoni natalizie in sottofondo, niente Michael Bublè, di certo, né Bing Crosby, va bene la tradizione, ma siamo pur sempre nel 2021, quasi il 2022, giusto un pizzico di Mariah Carey, immancabile, una Last Christmas in culo allo Wharmaggeddon, un Do They Know is Christmas, ma prevalentemente un cd che trovo dalla sua uscita delizioso, A Merry Little Christmas di Paola Iezzi, ve ne ho già parlato qui https://www.optimagazine.com/2020/12/24/per-natale-vi-consiglio-a-merry-little-christmas-di-paola-iezzi-e-il-regalo-di-natale-di-enrico-ruggeri/2026884, sono incappato in un brano che ha occupato militarmente la scena, senza lasciare spazio a altro, mentalmente e fisicamente. Un brano, perché di un brano singolo sto parlando, che ha fatto letteralmente irruzione sulla scena, senza preavviso, senza concedere al resto del mondo, almeno del mondo musicale, di sopravvivere al confronto.
Torno quindi al nostro incipit, che è poi l’incipit di questo brano, qualcosa, non è difficile, dai, che richiama al mondo dell’estate, della spensieratezza, della festa, certo, più che delle Feste.
Prendo uno spicchio di luna e lo metto nella sangria.
Il brano in questione, la mia ossessione natalizia, la mia ossessione di questo rush finale del 2021, è Playa, hit estiva di Baby K, una che di hit estive ne ha scritte e interpretate una quantità impressionante, e lo dice uno che è assolutamente poco incline a ascoltarle, e bere sangria sulla spiaggia muovendo il culo, o anche solo il piede, nudo, affondato nella sabbia, immagino, su quei ritmi troppo spesso vicini al reggaeton, benché riconosca in Baby K un talento unico su questo fronte, il fatto che non mi piacciano questo tipo di canzoni, in genere, non è certo sufficiente a farmi disconoscere il fatto che siano ben fatte. Il brano in questione, Playa di Baby K, è però Playa di Baby K in una nuova versione, tecnicamente ancora neanche edita, apparsa di straforo sui social, e dove se no?, e nello specifico sui social di colui che di questa nuova versione, la mia ossessione di questo ultima tranche del 2021, e a occhio, anche di buona parte del 2022, è titolare: Francesco Bianconi, già leader dei Baustelle.
Lo so, se anche voi come me nel momento in cui sono casualmente, ma che casualmente, chi ci crede al caso, in fondo, incappato in quel video che ci mostra Francesco Bianconi nel suo studio milanese mentre canta accompagnato dal pianoforte una malinconicissima, deandreiana versione di Playa di Baby K, se anche voi non avevate letto da nessuna parte la notizia che sì, Francesco Bianconi stava per pubblicare una sua versione di Playa di Baby K, hit 2021 contenuto nell’album Donna sulla Luna, a questo punto starete fissando un punto indefinito sulla parete che avete di fronte, ciondolando la testa ritmicamente, ma un ritmo meno mosso di un reggaeton, diciamo più simile al movimento involontario che fanno certi animali selvaggi costretti dall’uomo in cattività, battendovi anche la fronte con la mano, questo è un orpello, non necessario, come a dirvi, senza parole, “ma perché?”. Un movimento, un chiedersi, una meraviglia in apparenza ben riposta, per quella serie di sovrastrutture cui ci siamo abituati per proteggerci dalle brutture dei nostri tempi, non veri e propri pregiudizi, attenzione, quanto giudizi frettolosi ma assai giustificati, frutto di esperienze pregresse, nostre o di chi ci ha preceduto, esperienze che non richiedono il nostro farne di nuove prima di poter stilare un giudizio, sappiamo che il fuoco brucia anche senza dover ogni volta testare la cosa infilandoci dentro una mano, sappiamo che il reggaeton fa cagare, non è che ci si deve mettere lì a muovere involontariamente il bacino per doverlo scoprire, e l’idea che un artista stimato, riconosciuto universalmente di talento, seppur con un retrogusto radical chic che a volte insinua il sospetto di un certo qual paraculismo, come se a tratti l’atteggiamento, quel look vintage ma così fashion, quel cantare, appunto, come De Andrè pur citando chiaramente Battiato nella sostanza, gli fosse valso come scorciatoia per dimostrare quel che in fondo avrebbe comodamente potuto dimostrare anche solo cantando, l’idea che un artista, usiamo le parole giuste, si metta a fare la cover di un reggaeton, un tormenone estivo, diciamolo apertamente, lascia spaesati, spiazzati, basiti. Roba da far gridare allo scandalo, o, peggio, al rincoglionimento, perché non può esserci altro sotto, a meno che non sia un qualche gesto, questo sì riconducibile a un Baudrillard, a Deleuze, un qualche gesto con intenti situazionisti, il surreale che si fa reale, sovvertendone per sempre le dinamiche. Invece, ascoltare per credere, Playa di Francesco Bianconi è una cover, questo è, fatta alla Francesco Bianconi, quindi resa lenta, malinconica, cupa, le armonie del brano originale cambiate, sicuramente nel bridge, credo anche nello special, una cover che è una sorta di stravolgimento dell’originale, canzone che prende la gioia di vivere tipica delle canzoni estive e la fa implodere, entrare dentro un buco nero, la riduce ai minimi termini e oltraggia la salma.
Una canzone, lo confesso, che ti si pianta in testa e, come la lei del testo della canzone nell’interpretazione di Bianconi, un lui in quella di Baby K, ti entra nella testa e non ha alcuna intenzione di uscirne, lasciando, nello specifico, che un manto di tristezza ti avvolga come solo una grande canzone può e sa fare.
Un’ossessione, appunto, capace di cambiare la grammatica, la fantasia che comincia a galoppare, a chiedersi come sarebbe Roma-Bangkok fatta alla medesima maniera, come sarebbe Da uno a cento, magari anche uscire dal repertorio di Baby K, che so?, i Boomdabash, Giusy Ferreri. Un’ossessione, appunto, qualcosa che prende il reale e lo piega, lo tiene in ostaggio, riporta tutto a sé, non lasciando spazio a altro.
Ascoltando per la millesima volta in pochi giorni questa canzone, in attesa che poi il 7 gennaio esca ufficialmente, con anche Baby K a impreziosirne l’interpretazione, mi torna alla mente, in un raro spiraglio lasciato al ragionamento, chiamiamolo così per autostima e generosità, un’intervista letta recentemente a Billie Eilish, venti anni compiuti da poco, la più incredibile popstar in circolo in questo momento tra i millennials, intervista nella quale la nostra ha detto, senza girarci affatto intorno, come in effetti è sua consuetudine, come il porno le abbia letteralmente mangiato la testa durante la sua adolescenza, forse anche prima. Incontrato in rete quando aveva solo undici anni, è diventato, di qui il mio pensarci, la sua ossessione. Una visione distorta del sesso, questo in fondo è la pornografia, irreale come è tutta la finzione, senza però passare dai codici della finzione, spacciata cioè troppo spesso per reale, specie al pubblico inesperto e senza le giuste chiavi di codifica degli adolescenti. Nell’intervista a Billie Eilish è il modo in cui il corpo della donna esce da quei video, lei parla di vagine, che è sottolineato, ma nei fatti tutta la pornografia è distorsione del reale, fisicità muscolare, violenza e sottomissione, un concetto di piacere assolutamente poco aderente al reale, qualcosa che rasenta il morboso insinuandosi sottopelle, non lasciando spazio a altro, finendo per influenzare una normale crescita, inteso come passaggio da preadolescenza a età adulta. Chiaramente questa è l’esperienza personale di Billie Eilish, artista ventenne che ha da subito deciso di mettere la sua parte più intima e personale in comune col pubblico, ma diciamo che è una testimonianza che non sorprende, immagino condivisibile per buona parte dei suoi coetanei, con le singole modalità.
Immagino, se mai leggesse quanto scrivo, che una Valentina Nappi a questo punto mi manderebbe a fare in culo, strenua difensore del settore, anzi, paladina della pornografia come salvifica per certe visioni bigotte del sesso, ma qui si sta parlando di Billie Eilish e di quella che è letteralmente stata la sua ossessione, la pornografia, e ci siamo arrivati da una mia ossessione, non pornografica, Playa di Baby K nella versione piano e voce di Francesco Bianconi.
Ora, volessi anche io sorprendere, più di quanto non abbia fatto giocandomi prima la carta di un tormentone estivo che spodesta il podio ai brani natalizi, salvo poi scoprire che è un tormentone estivo in chiave malinconica e cupa, deandreiana, nella versione incredibile di un Francesco Bianconi, e nel mio passare, poi, dal parlare di Francesco Bianconi e la sua Playa di Baby K al porno e ai suoi effetti malefici su una giovanissima Billie Eilish, ora dovrei osare di più, e dire che sì, anche questa è pornografia, quindi, immagino, seguendo la versione di Billie Eilish definire questa mia ossessione nell’ascoltarla in loop qualcosa di nocivo, che mi mangia la testa, o nella versione di Valentina Nappi, definirla salvifica, le mie pulsioni indirizzate in qualcosa di in fondo innocua, meglio farsi una sega davanti a uno schermo che andare poi a fare chissà che danni in giro.
Invece, colpo di scena, non intendo affatto dire questo, non perché io abbia prove che ascoltare a ripetizione Bianconi che mi recita, melodrammatico “la playa, l’estate, la notte, la festa” non stia arrecando chissà che danni alla mia psiche, né perché io ritenga che commuoversi per il passaggio in cui Bianconi dice alla sua lei che “nelle foto vieni mossa”, come fosse il momento clou di una intera esistenza, evidentemente fallimentare, non sia la prova provata di un mio disagio, esistenziale e forse addirittura mentale, ma perché, credo, come in certi film, questi sì natalizi, a un certo punto arriva qualcuno o qualcosa a salvare anche le vite più perse, quelle date per spacciate, perse, appunto. E nel mio caso, nel mio caso in questione oggi, a salvarmi da questo baratro, io lì con un cappottaccio sporco, i guanti senza dita, da guidatore, a scaldarmi dagli sfiati di un ristorante, come un Eddie Murphy sì natalizio e d’annata (su quanto le tette di una giovane e conturbante Jamie Lee Curtis abbiano distorto gli immaginari di qualche generazione, a proposito, credo si potrebbe fare letteratura, a proposito di Billie Eilish e affini), arriva ancora una volta, in musica, Simona Molinari. Simona Molinari che esce proprio oggi, 28 dicembre 2021, con un secondo singolo di questo suo nuovo corso, nuovo corso in seno alla BMG, primo passo è stata la splendida Davanti al mare, il 2022 dovrebbe regalarci poi la prova su lunga distanza, il suo nuovo disco, secondo singolo che si intitola Tempo da consumare. Anche stavolta, come in precedenza, la strada che la cantautrice aquilana decide di percorrere è nuova, anche se più vicina alla sua natura di quanto non sarebbe potuta apparire, distrattamente, Davanti al mare. Se infatti lì il pop, di ballata si trattava, era puro, senza concessioni a quel mondo swingato e jazzato che da sempre è la sua seconda pelle, e anche per questo sorprendeva la naturalezza con la quale Simona indossava anche questa nuova veste, artista come ce ne sono davvero poche nel nostro paese, qui i colori musicali scelti per accompagnare questa canzone intimissima, canzone che ruota intorno a come noi si sia inclini a farci consumare dal tempo o a consumarlo, mordendo la vita, una intimità, quella della Molinari, pura, a lume di candela, un pop che flirta col suo mondo di appartenenza, elegante, di rullanti sfiorati, orchestre che entrano a dare enfasi laddove l’enfasi si fa necessaria, la sua voce che non si fa mai prepotente, e dire che potrebbe farlo, un finale quasi sussurrato, come quando si fa il giro di casa, a notte fonda, prima di andare a dormire, per controllare che le luci dell’albero di Natale e del presepe siano state spente per bene, così che il buio ci avvolga nel suo naturale e consolatorio silenzio, shhhhhh.
Qualcuno, a ragione, potrebbe pensare una ossessione è tale anche se non ha le caratteristiche violente cui ha fatto riferimento Billie Eilish parlando del porno incontrato nei suoi undici anni, e magari è anche vero. Di fatto Tempo da consumare ha scacciato da dentro la mia testa Playa nella versione di Francesco Bianconi, a riprova che a volte vincono i buoni, almeno a Natale.