Senza giri di parole: al confronto del sequel Ritorno Al Crimine, il primo episodio della serie, Non Ci Resta Che Il Crimine, che di suo era già parecchio bruttino, fa la figura del mezzo capolavoro. Sarà che stavolta non c’è nemmeno il mestiere di uno sceneggiatore esperto come Nicola Guaglianone, ma lo script messo in piedi a otto mani dal regista Massimiliano Bruno, Alessandro Aronadio, Andrea Bassi e Renato Sannio è modestissimo.
Il film comincia dal punto esatto in cui si era concluso il primo episodio, per cui lo spettatore che non conosca a menadito la storia di partenza fatica a capire di cosa o di chi si stia parlando. Ad ogni modo, il racconto parte dal ritorno al presente dei tre sfaccendati Moreno (Marco Giallini), Sebastiano (Alessandro Gassmann) e Giuseppe (Gianmarco Tognazzi), appena rientrati dal viaggio indietro nel tempo al 1982. Al loro inseguimento però si è lanciato direttamente dal passato il boss della Banda della Magliana Renatino (Edoardo Leo), che reclama la sua fetta di un favoloso bottino. La vicenda si fa immediatamente più intricata: perché al giorno d’oggi i protagonisti ritrovano la ragazza che quarant’anni prima aveva fatto battere i loro cuori, Sabrina, ormai invecchiata (Loretta Goggi), sposata al falsario Ranieri (Carlo Buccirosso) e con una figlia, Lorella (Giulia Bevilacqua).
Non si sa per quale ragione sbuca fuori un camorrista, detto van Gogh (Antonio Gargiulo) per la somiglianza con l’artista, il quale pretende l’autoritratto originale del pittore da Ranieri, che ricatta prendendone in ostaggio Lorella. Così Moreno, Sebastiano, Giuseppe, Ranieri e Renatino sono obbligati a fare squadra, una parte di loro tornando nel passato per uccidere il boss ’O Rattuso (Gianfranco Gallo), presunto padre di Van Gogh, gli altri cercando al presente di trafugare il quadro.
Il punto di partenza, come nel film precedente, è il mix tra Romanzo Criminale (che a sua volta guarda al poliziottesco anni Settanta) e i viaggi nel tempo di Ritorno Al Futuro (e Non Ci Resta Che Piangere). Però Ritorno Al Crimine va decisamente oltre: la storia di camorra, con neomelodici e pure un simil Genny Savastano, fa subito Gomorra, con immancabili inquadrature col drone delle Vele di Secondigliano. E poiché la vicenda si sposta nella Napoli degli anni Ottanta, col boss Gallo che sfoggia una incredibile pettinatura da cantante napoletano d’epoca alla Mario Da Vinci, il film ci presenta nell’ordine: la cartolina posillipina alla Un Posto Al Sole – puntuale arriva il cameo di Germano Bellavia, volto storico della soap; una vicenda da melodramma (o da sceneggiata) di crimine e innocenza violata; e non manca il capitolo amori da fotoromanzo. Volendo, è la ricetta di Ammore E Malavita, ma lì gestita con la consapevolezza cinefila e l’autoironia arguta dei Manetti, mentre qui siamo solo all’accumulazione sgraziata di quanti più stili è possibile.
E comunque siamo ancora soltanto a metà della disinibita bulimia di generi di Ritorno Al Crimine. Perché c’è ancora la parte contemporanea del film, che offre: l’heist movie col piano per rubare il Van Gogh ai Musei Vaticani; la banda criminale invecchiata alla Soliti Ignoti Vent’Anni Dopo; un party da aristocrazia romana con performance d’artista dell’esponente dell’“eccessivismo italiano”, che si modella addirittura su La Grande Bellezza (è la cosa migliore del film, almeno rivela il ridicolo involontario che giace al fondo del cinema d’autore di Sorrentino quando si prende troppo sul serio); con pure Antonio Cabrini e Bruno Conti nella parte di loro stessi, con effetto commediaccia calcistica anni Ottanta, tipo L’Allenatore Nel Pallone o Mezzo Destro Mezzo Sinistro.
L’autentico capolavoro del film però è prendere Renatino De Pedis – gli autori già nel primo episodio invece di inventarsi un criminale di fantasia ebbero la malaugurata idea di appioppargli il nome del vero bandito della Magliana, forse implicato pure nel caso di Emanuela Orlandi – e trasformarlo non solo in un personaggio da commedia, ma addirittura in una specie di controcanto morale del film, che fa il panegirico dei bei tempi andati dicendo “almeno all’epoca mia dei criminali ti potevi fidare”, disgustato dal cinismo dei delinquenti di oggi. Il fatto poi che si metta contro la camorra lo trasforma immediatamente nel “buono” per il quale lo spettatore dovrebbe parteggiare, che è un altro bel risultato di questo film. Infine quando Massimiliano Bruno resuscita (sì, succede anche questo), è impossibile non pensare a Martellone, Boris e Medical Dimension.
Ritorno Al Crimine è un frullato di citazioni confezionato malamente, privo di senso del limite. Privo di senso e basta. Intanto gli autori, fiduciosi, sono già al montaggio del terzo episodio della serie, Finché c’è crimine c’è speranza.