Oscar 2021, chi vincerà la statuetta per il Miglior Film? Tutti all’inseguimento di Nomadland

Nell’anno della pandemia la sfida per il premio più ambito è apertissima, ricca di film di registi esordienti, donne e autori non americani. Ecco le chances degli otto candidati

Oscar 2021

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Chi vincerà il premio come Miglior Film agli Oscar 2021? È questa la domanda più ricorrente tra appassionati e addetti ai lavori. Più che mai in questo tribolatissimo anno col cinema piegato dalla pandemia e costretto alla dimensione della visione casalinga su piattaforme streaming. Che, per carità, hanno salvato l’industria e confermato che il mercato dell’intrattenimento cinematografico ormai segue stabilmente un doppio canale distributivo. Ciò non toglie che il cinema sia stato obbligato a un drastico ridimensionamento: è la ragione per cui quasi tutti i blockbuster, dal nuovo James Bond ai Marvel Movie all’ultimo Fast&Furious hanno preferito rimandare l’uscita a data da destinarsi invece di consegnarsi all’on demand, che non sarebbe bastato a rientrare degli altissimi costi di produzione.

La notte degli Oscar quest’anno, assume un significato più propiziatorio che celebrativo. Deve testimoniare vitalità, reattività creatività di un’industria. Anche per questo i tre produttori della serata, Stacey Sher, Jesse Collins e il regista Steven Soderbergh, hanno immaginato una cerimonia costruita come un dispositivo narrativo, “un film lungo tre ore” (parole di Soderbergh). Non solo una festa per il cinema, ma una festa fatta di cinema, per risarcire gli spettatori di tutte le immagini che non hanno potuto vedere, rimandandoli ottimisticamente ai film che finalmente si potranno godere in sala. Per il pubblico italiano i primi arrivano immediatamente, gìà lunedì 26 aprile, giorno di riapertura delle sale. E sono due dei protagonsiti della notte degli Oscar 2021, Minari di Lee Isaac Chung e Mank di David Fincher. vediamoli quindi gli otto pretendenti al titolo di miglior film dell’anno, da quello ipoteticamente con meno chances fino al vero favorito.

8. Sound of Metal di Darius Marder

Il risultato di Sound Of Metal, distribuito da Amazon, ha gìà del miracoloso. Ben 6 nomination per l’esordio nel cinema di finzione di Marder agli Oscar 2021, tutte importanti, partendo da miglior film e passando per le candidature al protagonista maschile, l’attore anglo-pakistano Riz Ahmed e al non protagonista Paul Raci, fino alla sceneggiatura originale (dello stesso Marder), montaggio e sonoro. Per quest’ultimo premio il film è favoritissimo, visto che la storia ruota intorno a un batterista heavy metal che perde improvvisamente l’udito. Allora il suono, con il continuo passaggio dai rumori esterni al silenzio percepito soggettivamente dal protagonista diventa un fondamentale personaggio in più. Un racconto intimista che profuma di cinema indie, con una sua sobria bellezza e, nonostante il tema, un’insospettabile positività. Tutte caratteristiche cha l’hanno portato fino alle tante nomination. Ma il premio come miglior film dell’anno resta sideralmente lontano.

7. Judas and the Black Messiah di Shaka King

Sei nomination agli Oscar 2021 per l’opera seconda di Shaka King. Un racconto che squaderna una pagina poco nota della storia americana degli anni Sessanta. l’uccisione, praticamente un’esecuzione da parte dei federali, di Fred Hampton, leader appena ventunenne delle Pantere nere di Chicago. Hampton è un antagonista rivoluzionario con una visione marxista e anticapitalista, che vuole creare un fronte comune degli sfruttati e organizza mense per i bambini poveri. Daniel Kaluuya lo ritrae con magnetismo, e infatti la sua candidatura come non protagonista è quasi certa dell’Oscar. Un racconto all black vigoroso, una squadra d’attori affiatata, per questo entrata nella cinquina dei Migliori Cast dei SAG, indizio di eccellenza e gradimento degli addetti ai lavori. L’Oscar più importante resta però fuori portata. Infatti il film non ha ottenuto la nomination per miglior film né ai Golden Globes, né ai Bafta o ai Critics’ Choice Awards. La sua splendida corsa di ferma qui.

6. Mank di David Fincher

Mank è il film che tutti riveriscono ma che nessuno vuole premiare. quel tipo di racconti che lascaino a bocca aperta per la fattura straordinaria, ma che, sotto sotto, faticano a far vibrare le corde emotive dello spettatore. David Fincher ha costruito un film sul cinema che ruota intorno al capolavoro dei capolavori, Quarto Potere. Tutto è smagliante, ricercato prezioso, tra dialoghi implacabili, ritmo tagliente, bianco e nero da cinephile, interpretazioni e ricostruzione d’epoca impeccabili. Ma il film è anche disilluso, un atto d’amore per Hollywood dal retrogusto avvelenato. certo, non si poteva non riconoscerne la grandezza, e sono arrivate 10 nomination, il capofila dell’anno. Ma di quelle candidature è possibile che nemmeno una si trasformi in statuetta. Tra quelle che non andranno a buon fine, i bookmakers sono d’accordo, c’è la categoria Miglior Film: ai Globes ha perso, ai Bafta non era nemmeno in nomination, ed era assente anche nella cinquina del miglior cast dei SAG. Pessimi segnali.

5. The Father di Florian Zeller

Il romanziere e drammaturgo Florian Zeller è uno dei non pochi esordienti alla regia riuscito a ottenere un pugno di nomination importanti, ben sei, agli Oscar 2021, coronate da quella per il miglior film. Zeller, francese poco più che quarantenne, ha trasposto un suo noto dramma, The Father, facendosi aiutare da uno sceneggiatore esperto come Christopher Hampton (Le Relazioni Pericolose, Mary Reilly, Espiazione). Il risultato è uno di quei film che a Hollywood sono sempre piaciuti, di relazioni familiari non conciliate, formalmente impeccabile e illuminato da interpretazioni d’alta scuola. Il titolo italiano Nulla È Come Sembra, si riferisce al fatto che il protagonista Anthony Hopkins, affetto la demenza senile, comincia a confondere la realtà, vede la figlia (Olivia Colman) e il cognato con fattezze di volta in volta diverse, e continua a parlare di una seconda figlia che non compare mai. Il dramma da camera è trasformato in puzzle game, una storia in cui, fino nalla fine, non siamo certi di cosa esattamente stiamo vedendo. Ma non è un thriller, la tensione è quella dolorosa del disfacimento della mente di un uomo, e l’enigma è la vita che sfugge via. The Father non tornerà a mani vuote dalla notte degli Oscar, la sceneggiatura non originale e Hopkins (che giganteggia e potrebbe sfila l’Oscar a Chadwick Boseman) sono i suoi assi nella manica. Molto più difficile, quasi impossibile, il miglior film.

4. Una Donna Promettente di Emerald Fennell

Emerald Fennell, ne abbiamo già parlato, è l’altra metà insieme a Chloé Zhao della vera rivoluzione di quest’anno degli Oscar 2021. Britannica, 35 anni, più nota come attrice (The Crown) e sceneggiatrice (Killing Eve), firma un esordio alla regia, anche sceneggiato, Una Donna Permettente, che ha ottenuto cinque nomination prestigiose, film, regia, migliore attrice (la coproduttrice Carey Mulligan), sceenggiatura originale (sempre Fennell), montaggio. E questa storia non conciliata e non conciliante che parla di un mondo in cui la violenza sulle donne è un dato stabile, orrendamente “culturale”, forse immodificabile, è destinata, appena riusciremo tutti a vederla in sala – arriva il 29 aprile – a suscitare un vivace dibattito. Intanto sono arrivate le nomination, con quella alla regia sempre in condominio con la Zhao a segnare una discontinuità storica nella tradizione hollywoodiana. La sceneggiatura ha già vinto il Bafta, e nella notte degli Oscar 2021 potrebbe giunger anche il premio per la Mulligan in una cinquina agguerritissima. L’assenza nel Miglior Cast dei SAG Awards è uno dei segnali delle sue limitate possibilità in ottica Miglior Film. resta un outsider di pregio. In ogni caso Una Donna Promettente le sue sfide le ha già vinte tutte.

3. Minari di Lee Isaac Chung

L’anno scorso trionfò il film sudcoreano di Bong Joon-ho Parasite. Perché dunque agli Oscar 2021 non potrebbe toccare a un film che racconta di una famiglia coreana che si trasferisce negli anni Ottanta negli Stati Uniti a caccia di fortuna? Comprano una fattoria nell’Arkansas, per coltivare ortaggi tipici del loro paese di provenienza (il minari del titolo, ossia il crescione o sedano cinese). Lee Isaac Chung, americano di seconda generazione, ha confezionato un racconto apertamente autobiografico in un film attraversato da un nutriente ottimismo che mescola sogno americano, gli spazi del paese profondo, emozioni famigliari, spirito inclusivo. Che trova il suo equilibrio nel toccante personaggio della nonna Yoon Yeo-jeong, che sta facendo incetta di premi come attrice non protagonista. Le nomination totali sono 6, tutte importanti. Un cinema pacato e umanista, che piace perché, specchiandocisi dentro, l’America può ritrovarsi l’immagine migliore di sé stessa. Per questo è un candidato molto credibile. La Plan B di Brad Pitt, che produce, di solito ci vede lungo.

2. Il Processo Ai Chicago 7 di Aaron Sorkin

Il film ha tutte le caratteristiche per piacere: una scrittura scoppiettante (nessuno è più bravo di Aaron Sorkin nell’orchestrare dialoghi che rimpallano tra personaggi una tensione vibrante), una ricostruzione d’epoca croccante – gli anni Sessanta –, un tema impegnato, la giusta distribuzione tra buoni e cattivi in una visione passabilmente semplificata e, infine, un gruppo di interpreti da togliersi il cappello (il giudice fazioso di Frank Langella! l’avvocato delle cause perse Mark Rylance!). Il pezzo di storia è scomoda, Sorkin un po’ la riaccomoda, senza perdere d’occhio una confezione che rende un legal drama parlatissimo uno spettacolo di prima classe. E il pubblico torna a casa con la sensazione di aver visto un film importante che gli ha insegnato qualcosa. Si può chiedere di più? Obbiettivamente no: ecco perché il film su cui Netflix ha scommesso tutte le sue carte è il più credibile avversario di Nomadland per la vittoria finale. Lo confermano i bookmarkers, lo dicono i SAG Awards, dove il film ha vinto il premo per il Cast. Una volta su due questo vuol dire Oscar per il miglior film. Siamo avvisati.

1. Nomadland di Chloé Zhao

Il solo problema di Nomadland è che è un vincitore annunciato da troppo tempo. La sua galoppata è cominciata a settembre dell’anno scorso alla Mostra di Venezia dove ha vinto il Leone d’Oro (a proposito, la lista di film passati in Laguna negli anni della direzione Barbera che poi hanno vinto l’Oscar per il miglior film è incredibilmente lunga). Poi sono arrivati Golden Globe, Bafta, Critics’ Choice Award, PGA Award (sindacato dei produttori). E si sono appena aggiunti anche gli Independent Spirit Awards. C’è solo una macchia: Nomadland non ha ottenuto la nomination al miglior cast dei SAG. Comprensibile, visto che gli interpreti, McDormand e Strathairn a parte, sono soprattutto non professionisti. Però solo tre film hanno vinto l’Oscar per miglior film senza essere nella cinquina dei SAG: Braveheart (1996), La Forma Dell’Acqua (2018), Green Book (2019). Resta comunque l’impressione che questa storia allo stesso tempo umanamente intimista e paesaggisticamente grandiosa tocchi delle corde perfettamente sintonizzate sull’identità dell’America di oggi e sui suoi lutti da metabolizzare. Il film giusto al momento giusto. Pronto per l’Oscar.