La sinistra istituzionale ha superato il complesso snobistico, ha adottato la mercante di selfie Ferragni come nuova stella polare. Una che è qui per fare soldi per fare soldi per fare soldi, che insieme al marito, il cantante sanremese Fedez, concepisce figli, si sarebbe tentati di sospettare, come piani quinquennali: virati in investimento social già dall’ecografia, poi dal reparto di ostetricia, poi con le tutine su misura da 90 a 290 euro. Dicono i follower, perché questa è gente che ha milioni di follower: se non vi piace, se siete dei poveracci, non compratela la tutina. A questo punto il cortocircuito ideologico è definitivo: la sinistra non si limita più a schifare il sottoproletariato suburbano, da cui gira alla larga: sceglie con decisione tutto ciò che rutilante, affaristico e ci si identifica. Non c’è abiura più drammatica, o forse siamo al redde rationem, alla sconfessione di duecento anni di bei proclami e alla prova provata che la lotta di classe teorizzata da Marx riposava non sull’equità ma sul cambio di passo, come nella freddura di Woody Allen: i rivoluzionari che fanno fuori tutti e cambiano le chiavi dei palazzi.
E va bene che la democratica americana Hillary diceva nelle mail riservate “io me ne frego di quegli straccioni del popolo, io penso alle banche”, ma qui andiamo oltre, qui siamo a una che senza l’ultramercato delle chimere non esiste. Chiara Ferragni come Rosa Parks? Come Dolores Ibàrruri? Ma che razza di circo equestre è sorto sulle ceneri del populismo socialista? C’è una collega della Ferragni dagli occhi di cerbiatta e dalle grandi tette che è disperata perché di colpo le hanno chiuso il profilo su Instagram e lei si è trovata senza i 400mila follower “che erano tutta la mia ricchezza”. Come fa la sinistra parlamentare a identificarsi con gente simile? Ma lo fanno, le sussiegose deputate e senatrici di sinistra ricordano immancabilmente la riccanza social e non si distinguono più dalle allegre comari berlusconiane, è gente che si filma mentre sfreccia a bordo di un monopattino cinese elettrico, ultimo grido in fatto di snobismo classista. Contenti loro. Questa coppia di influencer, detti “Ferragnez”, hanno capito come va il mondo e fanno come Bill Gates signore dei vaccini: solidarietà, ma che la sappiano subito tutti. Lui, il rapper, va in giro a distribuire buste di banconote a bordo della Lamborghini da 300mila euro, si filma o si fa filmare e tutti: come è generoso, come è buono. Ma non sono soldi suoi, sono le solite raccolte dei poveri per i poveri, cui i ricchi prestano la faccia e ci guadagnano molto più dei poveri. Un comportamento che la sinistra dal populismo duro degli anni Settanta avrebbe marchiato con parole feroci: adesso lo esaltano, gli danno l’Ambrogino d’Oro.
Se mutazione è, non è solo genetica, è anche politica, è economica: il capitalismo virtuoso degli influencer che va bene alla sinistra liberal delle transizioni verdi non crea niente, è una colossale vetrina pubblicitaria dove il prodotto è il corpo del testimonial. Sotto si smercia la paccottiglia di lusso, le bottigliette d’acqua a 8 euro, le tutine a trecento e i seguaci ammazzerebbero i parenti per averle anche se non fanno figli. Il prodotto perfetto per essere seguito: vanesio, aproblematico, avulso da qualsiasi implicazione che non sia fare soldi per fare soldi. Ai tempi dell’orrendo omicidio del giovane Willy, la politologa Ferragni, bocconiana interrupta, si scagliò contro la “subcultura fascista”, poi si scoprì che gli omicidi ascoltavano il marito, erano antropologicamente figli di quella subcultura, fascista non si sa, dell’apparenza arrogante sottovuoto spinto senz’altro. Ma pare vada molto di moda, ci sono influencer del giornalismo che fanno la morale a tutti, chiamano tutti cazzari, poi quando vengono sgamati come fregnacciari non trovano di meglio che rispondere: che cazzo volete? Chi siete? Io sono ricco, sono famoso e ho un milione di follower. Ogni tanto affiora come un refolo di autocritica, la Fiorella Mannoia, che a suo tempo si era incaricata, non si sa per conto di chi, di “favorire l’intesa fra grillini e PD”, ha cinguettato, mesta: “Abbiamo perculato il pannocchione inglese, lo abbiamo sbeffeggiato…Intanto quello ha vaccinato già quasi tutta l’Inghilterra. Stamose zitti che è mejo“.
Abbiamo, dice Fiorella, perché si riferisce alla sua clientela, alla sinistra che percula tutti ma le sbaglia rigorosamente tutte. Ma non dura, la pulsione a dare lezioni sbagliate è irresistibile, tempo due giorni e tornerà anche lei a vaneggiare. Un po’ come il collega Antonello Venditti, che, per dare l’esempio, ha fatto sapere di essersi fatto il vaccino “ma quello proletario”. L’avrà fatto a pugno chiuso.
Discettare di cose che non si sospettano, a costo di figure barbine, è diventato un trampolino per la notorietà. Una è la cantante Elodie dei tormentoni estivi, tutti uguali, uno suona come “tachipirina, ah ah”, invece è tequila e guaranà, un cocktail, un aperitivo. Cosa dice la nostra Elodie? Dice che i leghisti essendo indegni non debbono stare in Parlamento. Si riferisce al dibattito sulla legge Zan, ma quello che conta è la peculiare concezione della democrazia nel quadro di una rigorosa formazione politologica. Elodie meglio di Giovanni Sartori, in fondo a che serve la noia del sudare sui libri, del cogliere l’algebra delle idee, dei meccanismi di potere? Basta il cambio di look, particolarmente esaltato a Sanremo. Difatti fioccano le copertine e gli articoli agiografici: Elodie paladina delle minoranze, dei discriminati, dei deboli. Una Giovanna d’Arco di borgata, secondo la sinistra mediatica e twittarola che l’ha adottata. Poi su un sito di gossip trovi la seguente drammatica notizia: “Sanremo, Elodie perde l’orecchino di Bulgari da 50mila euro”. Cerchio chiuso, e tutti contenti.