C’è un episodio di The Good Doctor nel quale mi sono ritrovato appieno. Cioè, mi sono ritrovato appieno in un comportamento del dottor Murphy, il Good Doctor del titolo. O meglio, mi sono ritrovato appieno in un ragionamento del Dottor Murphy, il Good Doctor del titolo. Senza spoilerare troppo, a meno che dire che Grey’S Anatomy è una serie ambientata in un ospedale non sia spolierare, The Good Doctor racconta le vicende professionali e personali di Shaun Murphy, un giovanissimo dottore. La peculiarità di Shaun Murphy, professione medico, risiede nel suo essere sì un medico, anzi, un medico con dei tratti assolutamente unici e geniali, ma al tempo stesso per il suo essere autistico, nello specifico la Sindrome di Savant.
In una puntata, vi consiglio di vedere la serie perché è davvero molto bella, a meno che non siate tra quanti si impressionano a guardare serie tv ambientati in ospedale, impressionabili al sangue o troppo ipocondriaci per riuscire poi a prendere sonno, per dire, a casa nostra non siamo riusciti a andare oltre le prime puntate di Dottor House perché Marina, che un po’ ipocondriaca è, poi si sentiva immancabilmente colpita da una di quelle malattie rarissime e soprattutto praticamente impossibili da diagnosticare, a meno che non si abbia di fronte dottor House, e il piacere dettato dal vedere la serie finiva poi per essere sommerso dalla rottura di scatole del doverla tranquillizzare, i medici dei nostri pronto soccorso tendono a essere meno platealmente geniali di dottor House, converrete, cosa che non è mai successa né con E.R. né con Grey’s Anatomy, immagino perché lì non è la rarità della malattia e la genialità del medico a riconoscerla al centro della narrazione, comunque sia, in una puntata di The Good Doctor, non è uno spoiler rilevante, a un certo punto Murphy, lì lo chiamano tutti per cognome, si incarta, termine non esattamente scientifico, parlando di autismo, ma termine che comunque rende l’idea, il passaggio è leggero, Murphy si incarta perché la sua amica e al momento coinquilina Lea, amica di cui è però innamorato, scusate se spoilero, mette la carta igienica nell’affare che regge la carta igienica attaccato al muro nel verso sbagliato. Lei, Lea, la mette con il rotolo che scorre verso il muro, lui, Murphy, lo mette col rotolo che scorre verso l’esterno. Questa cosa, il mettere il rotolo nel verso sbagliato sull’affare che regge il rotolo, immagino anche quest’affare abbia in realtà un nome, ma non è poi così fondamentale conoscerlo, né per scrivere questo capitolo del mio diario del lock down, né più in generale nella vita, questa cosa, ovviamente, fa letteralmente andare in tilt Murphy, già di suo portato per andare in tilt, tutta la serie ruota ovviamente sulla possibilità che un ragazzo affetto dalla Sindrome di Savant, altro personaggio piuttosto famoso che aveva la stessa sorte è il Dustin Hoffman di Rain Man, per capire, possa essere un medico che sta a contatto coi pazienti, non giriamoci intorno. Lea, la sua amica, ovviamente fatica a capire, e continua quindi a sbagliare, per lei la cosa è di poco conto, Murphy invece la trova centrale, perché, questo la serie lo mostra con estrema precisione, e essendo una serie tv americana immagino sia a riguardo piuttosto rigorosa e attinente al campo del vero o quantomeno del verosimile, suppongo che il suo essere affetto dalla sindrome di Savant abbia un peso a riguardo, i gesti che abitualmente Murphy compie sono sempre i medesimi, quasi un rituale, e interrompere quel rituale lo manda costantemente fuori registro, questo lo si può vedere lungo tutto il corso delle puntate.
Riguardo la carta igienica io la penso esattamente con Murphy, il rotolo deve scorrere verso l’esterno, non verso l’interno, non ho dubbi a riguardo, posso averne su tutto, sul senso della vita, sull’esistenza di Dio, sull’eutanasia, ma non su questo, il rotolo deve scorrere verso l’esterno, stop, mentre Marina, mia moglie, la pensa esattamente come Lea, cioè non la pensa affatto, non ci fa proprio caso, se ne disinteressa, come fosse cosa di poco conto, irrilevante, come capita capita.
Come succede a Murphy, ovviamente, il fatto che per Marina la cosa non implichi nulla, non sia una sorta di offesa al genere umano, non sia punibile con nessun tipo di ammenda, contribuisce a innervosirmi, quando mi capita di vedere la carta infilata sull’affare che la deve reggere, quello di cui ignoro il nome, nel verso sbagliato, mi arrabbio manco fossi in presenza di uno di quei cialtroni che ritengono Lukaku più forte di Ibrahimovic.
Ho provato anche a dirglielo, usando pure le dovute maniere, i toni conciliatori che uso quando voglio rimarcare qualcosa senza correre il rischio di risultare troppo polemico, fatto che renderebbe vano il mio parlare, innalzando muro contro muro, ma niente, esattamente come nell’episodio di The Good Doctor, quella per la carta igienica infilata nell’affare che deve reggerla nel verso giusto è una battaglia persa in partenza.
Ora, so già che qualcuno di voi avrà fatto un facile collegamento, Murphy e l’ossessione per la carta igienica infilata nel reggi carta igienica, chiamiamolo così, nel verso giusto + Monina e l’ossessione per la carta igienica infilata nel reggi carta igienica nel verso giusto = Murphy con la Sindrome di Savant + X, dove X, l’incognita facilmente risolvibile di questa equazione è ovviamente una risatina sotto i baffi per un mio presunto autismo. E so anche, leggete me, mica Paolo Giordano sul Giornale, che chi avrà fatto questo pensiero se ne sarà immediatamente pentito, non tanto per la faccenda del politicamente scorretto, figuriamoci, ma perché sorridere compiaciuti di argomenti seri come questi è da perfetti idioti, anche peggio. Avrà quindi rimosso il pensiero, anche se rimuovere il pensiero è impossibile, diciamo che ci avrà provato, il senso di colpa a fare leva da una parte, il benevolo agire del subconscio a fare leva dall’altro, provando immediatamente a andare con la mente a qualche propria ossessione riconducibile senza troppo sforzo a quell’equazione, come a voler dire che tutti abbiamo i nostri incartamenti, i nostri problemi.
Non sono uno psicologo, ma conosco perfettamente quei meccanismi mentali lì, e li conosco perché sono meccanismi naturali, anche comodi, li ho usati anche io, quindi tana per voi, non nascondetevi dietro a un dito.
Del resto mi succede spesso, per dire, quando mi capita di parlare di DSA, i Disturbi Specifici dell’Apprendimento, quelli che genericamente vengono trattati usando la microcategoria della Dislessia, e so di continuare a parlare per parlare, questo faccio, parlo per parlare, di argomenti che pretenderebbero un rigore scientifico che non solo non posso permettermi, ma non mi interessa permettermi, questo è proprio il tema che ho deciso di affrontare oggi.
Parli di Dislessia, magari anche con gente che usa espressioni tipo: “Cosa sei un dislessico?” per apostrofare chi ritengono abbia problemi relativi a una carenza, vera o presunta, di quoziente intellettivo, quindi non propriamente gente che meriterebbe un porsi nei loro confronti con la benevolenza che in genere invece si concede a chi si ritiene abbia dei problemi relativi a una carenza, vera o presunta, di quoziente intellettivo, e appena inizi a parlare di DSA innanzitutto chiamandola così, DSA, e non Dislessia, e lasciando intuire che è un argomento che maneggi, seppur non professionalmente, perché in qualche modo ti riguarda, senza andare a specificare in che modo, ecco, parli di DSA e immediatamente il tuo interlocutore, qualsiasi interlocutore sia, si sente in dovere di dirti che in fondo abbiamo tutti un qualche tipo di disturbo del genere, tirando in ballo il suo modo di scrivere incomprensibile, peggio di quello che i medici usano nei ricettari, o una qualche difficoltà di calcolo, motivo per cui si è a suo tempo iscritto al calcolo.
Atteggiamento interessante, volendo anche petaloso, perché quantomeno si dimostra meno violento di chi pensa che essere dislessici, uso anche io ora questa generalizzazione e la uso perché sto parlando a quei minus habens che ragionano così, sempre che quei minus habens siano tra i miei lettori, abituali o anche solo casuali, e che quei minus habens siano riusciti a arrivare fin qui, il troppo utilizzo di relative suppongo per loro sia sofferenza peggiore delle emorroidi, ma comunque atteggiamento sbagliato, perché in parte equiparabile all’ “anche io ho amici gay” o comunque a quella deriva tutta buonista che vuole il ritenersi parte di una minoranza qualcosa cui ambire, vessillo da esibire, deriva ovviamente sempre esercitata da parte di chi di nessuna minoranza, a parte quella anche piuttosto circoscritta delle “sciure con le biciclette coi fiori nel cestino davanti e vestite come si fosse tutti dentro il mercatino dell’usato di Camden”, chiunque abiti a Milano sa di cosa parlo, signora mia, ha mai fatto parte.
Ho usato due registri diversi, fin qui.
Li avete letti, lo sapete già.
Ma mi sento di ripeterlo, come di chi facendo la telecronaca di una partita ogni due per tre ripete il risultato, anche se il risultato è ben visibile sul banner che si trova genericamente in alto a sinistra.
Ho iniziato parlando di una fissazione, uso una parola gergale, perdonatemi, una fissazione mia, che ho ritrovato nell’ossessione, altra parola gergale, del protagonista di una serie tv, il Murphy di The Good Doctor. Ho raccontato di quella fissazione, oggetto il verso giusto col quale porre il rotolo di carta igienica sul reggi rotolo di carta igienica, quindi qualcosa di leggero, e l’ho fatto giocando appunto sulla leggerezza, ponendo semmai il mio esserne coinvolto come qualcosa di cui non vergognarsi, cercando quindi la vostra empatia. Poi ho cambiato totalmente il mio modo di pormi. Usando una piccola crepa, quell’associarmi all’autismo, meccanismo indotto dal mio modo di esporre i fatti, per altro, e il vostro sentirvi a disagio per averne dato seguito sono passato su un’altra posizione. Ho usato un tono sarcastico, ostile. Ho usato, pur non includendo ovviamente voi nel discorso, parole come “minus habens” un numero eccessivo di volte, parole che quindi in qualche modo vanno a imitare chi sto criticando, dire “minus habens”per dire idiota non è poi tanto diverso da dire “dislessico” per dire idiota, seppur il binomio “minus habens” sia atto proprio a stigmatizzare un certo modo di comportarsi, e questo io ho fatto, ho stigmatizzato chi non è in grado di comprendere cosa sia la DSA, certo, facendo capire che è argomento che mi sta a cuore, quindi in qualche modo ponendo una mia difesa di ufficio, ma comunque rovesciando la modalità precedente, accusando e quindi attaccando invece che cercando compagnia.
Vi ho un po’ sballottati, lo so, ma era per il vostro bene, come stando alla vulgata certi sganassoni che qualcuno si beccava da piccoli, in epoche nelle quali beccarsi una sberla non avrebbe comportato né una pubblica gogna né una denuncia per violenza privata.
L’ho fatto di nuovo.
Ero partito con quel termine, “sballottati”, che in qualche modo provava a infondere tenerezza, mia verso di voi, quasi un volermi giustificare, un chiedere scusa, seppur chiedere scusa alla Fonzie, mai pronunciato fino in fondo, ma subito dopo sono passato a parlare di sganassoni, non “calci e pugno”, sganassoni, una parola dialettale, ben comprensibile però in ogni parte d’Italia, quasi rievocando un passato nel quale alzare le mani non fosse poi questo gran problema, il rimpianto lì, dietro quella parola, sganassoni, e dietro l’angolo.
Lo faccio spesso, questo forzare i lettori, voi, quindi, provando a stabilire a priori in che modo passare ai vostri occhi, così come faccio spesso questo star qui a spiegarvi cosa faccio o ho appena fatto, finendo, come in un loop, per creare antipatia o simpatia, come fosse una questione meccanica più che emotiva.
Potrei ora addurre a mia giustificazione, sempre che sia necessaria una giustificazione per scrivere come scrivo o per aver scritto quello che ho scritto, il fatto che, come per la carta igienica, io non possa fare a meno di dar seguito a certe mie fissazioni. Spiegherebbe il perché io sia partito da lì, da come io e Murphy, il protagonista di The Good Doctor, abbiamo quest’idea fondamentale e inoppugnabile che la carta igienica vada infilata nell’affare nel quale si infila la carta igienica verso l’esterno, attenzione, non verso l’interno, è questione di vita o di morte, ci sta, ma mi infilerebbe, o meglio, infilerebbe questo capitolo del mio diario del lock down, e quindi di conseguenza anche me che questo capitolo ho scritto, come tutti gli altri, nel cul de sac di chi scrive tanto per scrivere, ho su dichiarato che parlo per parlare, ma l’ho fatto con compiacimento, era evidente, dubbio che magari vi ha colto in più di una occasione, ma che suonerebbe sinistramente come la più classica delle excusatio non petita, quelle che sono sintomo di accusatio manifesta, ottenendo quindi esattamente il risultato opposto a quello che, non fatemi così sciocco, avrei dovuto raggiungere.
Meglio semmai non dare spiegazioni, come del resto faccio spesso, sono quello estroso, bizzarro, che parla di strane caratteristiche mutuate dal mondo animale, che sbatte la propria famiglia in ogni pezzo scritto, che parla di essere antisistema dai microfoni del più grande network radiofonico italiano, esempio massimo di sistema, che usa iperboli e paradossi, perché mai dovrei star qui a spiegare perché, volendo parlare di Morgan io mi sia sentito in dovere, o anche semplicemente libero di partire dall’autismo del protagonismo di The Good Doctor, scivolando altrove per poi arrivare finalmente qui, al tema centrale di questo capitolo?
Nei fatti una spiegazione c’è, c’è sempre.
So che potrebbe non sembrare così, che a volte la situazione sembra costruita a fatica, come quando da piccoli ci si ritrovava a dover fare una determinata costruzione coi Lego, e in assenza dei pezzi giusti, cinque minuti dopo che si è aperta una scatola dei Lego, è una legge di natura, i pezzi giusti scompaiono, senza mai più tornare alla luce, e non si aveva altra scelta che sopperire a quella immancabile assenza che utilizzare altri mattoncini, a volte affatto simili a quelli persi, col risultato che quella che sarebbe dovuta essere una macchina, faccio un esempio, appariva più come una casa su ruote di quelle che si vedono in certi film americani ambientati nel Mid-West abitato White Trash, evidentemente zona del panorama americano con alto tasso di casa con le ruote, Harmony Korine questo ci ha insegnato, ma giuro che so sempre dove sto andando a parare, che il flusso di coscienza, quello che sembra un flusso di coscienza, appunto sembra un flusso di coscienza, non lo è affatto.
Sono partito da una fissazione, ascrivibile a altro, la sindrome di Savant non è una faccenda da prendere alla leggera, per intendersi, perché volevo mettere qui sul piatto non tanto una mia debolezza, ma una debolezza irrazionale, di nuovo non prendete le mie parole per altro da quel che sono, non pretendete quindi un linguaggio scientifico da chi competenze scientifiche non ha, e l’ho fatto in questo modo specifico perché sto per esporvi, già mi sono autospoilerato, lo so, per mettere sul medesimo piatto un’altra debolezza apparentemente irrazionale, il mio totale sentirmi dalla parte di Morgan, sempre e comunque.
Sapete tutti, immagino, cosa è successo recentemente. No, non sto parlando della lite sul palco con Bugo, quello ormai è oggetto di modernariato, forse addirittura roba da archeologi. Parlo di cosa è successo nelle ultime settimane. Morgan ha tirato fuori un audiolibro, dal titolo L’audiolibro di Morgan, un progetto discografico, nonostante il nome lascerebbe intendere più un progetto editoriale, che arriva a tredici anni dall’ultimo album ufficiale Da A ad A.
Nel mentre, è noto, c’è stato di tutto, dalla sua partecipazione come giudice a X Factor al veloce passaggio per Amici, dall’estromissione vergognosa da Sanremo 2010 per quella non-intervista estorta da Panizza su Max ai tanti progetti annunciati e abortiti, dalla momentanea reunion coi Bluvertigo a un ennesimo ruolo da giudice in un talent, The Voice, per arrivare alla ormai epica lite con Bugo direttamente sul palco dell’Ariston, in diretta tv, uno dei momenti più alti della storia del Festival, per altro, sia messo agli atti. Nel mentre anche un sacco di progetti, canzoni su canzoni incise e mai pubblicate, album di cover di cantautori italiani quali Lauzi, Endrigo, Bindi, riletture di compositori classici, sperimentazioni di vario tipo, un paio di figlie avute da due donne differenti, la prima, Anna Lou, avuta da Asia Argento, nel mentre è diventata una attrice per Netflix, problemi col fisco, l’espropriazione della sua amata casa Gialla, i libri, le partecipazioni a programmi tv, programmi suoi in radio, un modo bulimico di affrontare la vita come l’arte.
Proprio recentemente recentemente Morgan ha avuto anche uno scazzo con Amadeus, e questo potrebbe essere la sola azione banale omologata della sua carriera, perché recentemente sembra che Amadeus stia sulle palle a tutti.
Nel suo caso il motivo è stato reso ovviamente pubblico dallo stesso Morgan, dopo aver partecipato alla giuria di Sanremo Giovani, in un triste programma dal titolo AmaSanremo, primo chiaro sintomo della megalomania del presentatore e direttore artistico di Sanremo 2021, Morgan, convinto di essere parte del cast del prossimo Festival, scopre di essere stato estromesso dal cast, questo a fronte di cinque brani presentati. Ne esce uno scambio abbastanza violento con Amadeus, scambi su Whatsapp resi pubblici, oltre che una diretta IG tenuta durante la finale di Sanremo Giovani, lui cacciato anche dalla giuria che lo aveva visto partecipe fino a quel passaggio.
Passato qualche giorno, ecco che Morgan ha una idea, Il Fronte di Liberazione di Morgan. Chiamarla idea potrebbe suonare strano, eccessivo, perché Morgan sembra spesso agire di pancia più che di testa. Nei fatti decide di mettere in qualche modo all’asta le cinque canzoni escluse dal Festival, una alla volta, a fronte di una specie di crowdfunding che procederà di step in step, ogni volta che verrà raggiunta la cifra di cinquemila euro Morgan pubblicherà in rete un altro brano.
Il primo si chiama Il senso delle cose, e va detto che è un brano rock che gioca, sul fronte del testo, proprio sulla biografia del nostro. Una gran bella canzone, forse una delle migliori uscite dalla sua penna. Nel mentre, tanto per mettere definitivamente a tacere quella noiosissima voce che lo vuole riottoso a pubblicare nuova musica, inizia a sfornare brani sperimentali, chiedendo prima su Instagram il via libera ai fan, ogni mille Lo voglio, ogni duemila Mi piace, e via così, tre brani fin qui, appartenenti a un progetto tutto incentrato sull’elettronica e sull’utilizzo di sintesi vocale dal titolo Mr Agon e il Sacro Silenzio, dove Mr Agon è lui, anagramma del suo nome, e il Sacro Silenzio quello che Morgan va a destrutturare attraverso una serie di canzoni da lui definite canzoni assurde, di genere spiazzante. Ano, la prima, dedicata a decodificare il ritmo attraverso una serie infinita e reiterata di parole recitate da una voce sintetica che finiscono in “ano”, appunto, poi Sottochiave Spazionave, dove l’attenzione del nostro si concentra sul testo e le parole, poi Che succede, cerebralissima nel rielaborare timbricamente un’unica nota, e infine Klaptzikal, nella quale la solita voce sintetica canta, diciamo così, un testo scritto in una lingua inesistente, completamente inventata. Tutta roba piuttosto distante dal Morgan di Da A ad A, datato 2007, ma comunque prova di una ricerca continua, vorace, indefessa.
Il tempo di leggere di tutto online, da chi lo ritiene un genio a chi un cialtrone, che arriva la seconda canzone scartata da Amadeus, Cuore in polvere, e dopo poco anche la terza, Pensiero e veleno. Una canzone, la prima, intrisa di malinconia, una ballad classicheggiante, nella falsa riga del nostro cantautorato anni sessanta, Bindi in testa, una ballad che si sposta nel decennio successivo, sempre lato cantautorale, romantico, assolutamente non banale in quel suo emulare suoni e mood di un tempo andato, nel quale melodia e armonia erano centrali nella composizione, assolutamente canzoni di grande pregio, degne non solo di un palco come quello del Festival, ma anche di tutta l’attenzione che un paese anche meno legato come il nostro alla melodia dovrebbe tributare loro, due canzone che per altro dimostrano due semplici cose: Morgan è un grande autore di canzoni, certo non solo quello, fatto che rende il suo essere un grande autore di canzoni a volte difficile da decifrare, nel mare di input che è solito gettarci addosso, un genio, sì, usiamo le parole giuste e usiamole con perizia, un genio dadaista, a volte, comunque uno che non si tira mai indietro, mettendoci il cuore, la testa e la faccia, uno, ci scommetto, che andrebbe fuori di testa se trovasse il rotolo della carta igienica infilata nell’affare che regge la carta igienica nel verso sbagliato, l’altra cosa Cuore in polvere attesta è che Amadeus, il megalomane che ormai abbiamo stanato, di musica continua fondamentalmente a non capire una fava, ma del resto su questo, a dirla tutti, eravamo tutti più o meno già d’accordo.