Le nuove frontiere dell’animazione si svelano con l’arrivo di The Liberator su Netflix, attesa l’11 novembre. Si tratta di una serie drammatica in quattro episodi ideata da Jeb Stuart (Die Hard – Trappola di Cristallo, Il Fuggitivo) e basata sul libro The Liberator: One World War II Soldier’s 500-Day Odyssey di Alex Kershaw.
La storia, ambientata negli anni della seconda guerra mondiale, è un avvincente racconto della più sanguinosa e drammatica marcia verso la vittoria del conflitto. Al centro, l’odissea sul campo di battaglia dell’ufficiale dell’esercito americano Felix Sparks e della sua unità di fanteria, i cosiddetti Thunderbirds, coinvolti in oltre 500 giorni di combattimento per liberare l’Europa. Gli interpreti principali della serie sono Bradley James (Felix Sparks), Martin Sensemeier (Samuel Coldfoot), Jose Miguel Vasquez (Able Gomez).
The Liberator su Netflix punta a espandere i confini dell’animazione. La serie è infatti la prima mai prodotta in Trioscope™ Enhanced Hybrid Animation, una nuova tecnologia in attesa di brevetto in cui computer grafica all’avanguardia e immagini dal vero assicurano alla drammaticità della storia un livello di emozione e accuratezza senza precedenti. Un po’ come la materia di cui tratta, anche l’approdo di The Liberator su Netflix racconta di lungaggini e travagli. Concepita inizialmente come una serie live action di otto ore per History, si è evoluta poi in un esperimento d’animazione senza precedenti per la principale piattaforma di streaming. E il merito va alla tenacia e alla perserveranza del creatore e dei produttori coinvolti.
A tenere vivo il desiderio di Jeb Stuart di vedere infine The Liberator su Netflix è stata la diversità all’interno dell’unità di Felix Sparks, si legge in un’intervista concessa a Variety. Ero molto sensibile a tanti dei modi in cui raccontavamo storie sulla diversità. C’era qualcosa, nel modo in cui The Liberator affrontava il tema, che mi ha trasmesso davvero molto sul potenziale di una storia ricca di azioni eroiche da parte di gruppi di persone a cui in genere non si pensa quando si parla della seconda guerra mondiale, ha rivelato.
La composizione dei Thunderbirds riflette il loro arrivo tardivo sul campo di battaglia, in un momento in cui la necessità di dispiegare il maggior numero possibile di uomini aveva convinto i vertici dell’esercito a rilassare i criteri di reclutamento. È così che nell’unità protagonista della storia sono confluiti cowboy bianchi, messicano-americani e nativi americani da oltre 52 tribù, pescati nell’Ovest degli Stati Uniti. Penso che in questa storia ci sia qualcosa di incredibilmente attuale rispetto ai tempi in cui viviamo, ha aggiunto il produttore Barry Jossen.
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Alla rilevanza della storia è corrisposta dal principio una grande ambizione nel darvi vita. The Liberator, come detto, è stata venduta a History e annunciata già nel 2013, ma la produzione, avviata nel 2014, ha reso evidente la necessità di un budget corposo. La The Liberator immaginata da Stuart, infatti, sarebbe costata 15 milioni di dollari l’ora, in un periodo di produzione di 14 mesi. Per quanto il progetto ci appassionasse, nessuno sarebbe stato disposto a investire tra i 100 e 150 milioni di dollari perché finisse su History, ha ammesso Jossen, e così il progetto è stato messo in stand by.
È a questo punto che l’animazione è parsa una soluzione innovativa e audace per salvare la serie. Siamo grandi fan degli anime e dell’animazione di tutto il mondo, e in particolare quella asiatica, in cui è vista più come un mezzo e dunque è usata in tutti i generi possibili, ha spiegato L.C. Crowley, cofondatore di Trioscope Studios. In America l’animazione è stata vista a ungo come un mezzo comico o un genere comico per adulti, bambini e famiglie. […] Quindi abbiamo iniziato a cercare un modo di sviluppare la tecnologia attorno alla prestazione [attoriale] umana […] e The Liberator è la prima grande opportunità che abbiamo avuto per mettere alla prova queste idee. La storia colpisce nel segno tutti i nostri sogni e speranze di spingere l’animazione verso un’espressione drammatica.
Cosa aspettarsi, dunque, dalla The Liberator di Netflix rispetto a una qualsiasi serie animata? Un progetto di animazione tradizionale richiede molto tempo perché bisogna animare e simulare i personaggi, i tessuti e i capelli, le espressioni facciali e altro, ha spiegato ancora Crowley a Variety. [In The Liberator] tutto questo non serve perché lavoriamo con attori veri e manteniamo le loro interpretazioni reali e i costumi.
La palla passa ora al pubblico, che a poco meno di dieci anni dall’elaborazione dell’idea per la serie ha l’opportunità di goderne i sudati frutti. The Liberator è attesa su Netflix l’11 novembre.