La Forma Dell’Acqua –The Shape Of Water di Guillermo del Toro, che stasera, 1 ottobre, Rai Tre propone in prima tv alle 21.20, è stato l’asso pigliatutto della stagione 2017-2018. Un film capace tanto di convincere il palato più esigente – da cui il Leone d’Oro della Mostra di Venezia – quanto di assecondare il gusto maggioritario, cosa che gli ha permesso di issarsi sino all’Oscar, dove ha ottenuto quattro statuette su ben 13 nomination, tra cui, pesantissime, miglior film e regia.
Guillermo del Toro appartiene a quella straordinaria nidiata di autori messicani trapiantati a Hollywood che comprende Alejandro González Iñárritu e Alfonso Cuarón, tutti e tre vincitori degli Oscar maggiori negli anni Dieci. E più ancora dei suoi prestigiosi conterranei è riuscito, con quella che, in attesa dell’annunciato Nightmare Alley, costituisce ad oggi la sua ultima regia, a firmare un racconto all’insegna di un accorto equilibrismo culturale, perfetto per soddisfare qualunque palato.
La Forma Dell’Acqua è un film fantastico e realistico, colto e spettacolare, di genere e d’autore, cinefilo e di massa, con al centro un messaggio positivo – un prevedibile panegirico della diversità – e una storia d’amore romantica a lieto fine, che per non essere tacciata di melensaggine si concede qualche timida accensione erotica. Un’opera insomma che contiene, ben amalgamati, ogni tipo di ingredienti, priva di spigoli, politicamente corretta, costruita per creare consenso, oltretutto confezionata con uno stile caramellato che rimanda pesantemente a quello stucchevole trionfo del carino che è Il Favoloso Mondo Di Amélie, con cui La Forma Dell’Acqua contrae più d’un debito.
Il mix fiabesco-realistico, non nuovo per l’autore de La Spina Del Diavolo e Il Labirinto Del Fauno – ma lì con ben altri risultati – è sviluppato in maniera elementare e tranquillizzante. Al centro della vicenda c’è una misteriosa creatura anfibia (Doug Jones) che viene catturata dagli americani negli anni della Guerra Fredda, sballottata tra le feroci mire di ottusi militari a stelle e strisce (su tutti un maligno Michael Shannon che pare l’orco delle fiabe) e non meno crudeli spie sovietiche. Nel laboratorio in cui l’essere è tenuto prigioniero, sboccia l’amore a prima vista con l’inserviente muta Elisa (Sally Hawkins), che però stavolta non prevede la trasformazione dello spasimante ranocchio in bellissimo principe, semmai il contrario.
A rendere ancora più esplicito il messaggio intervengono una serie di personaggi in funzione di aiutanti della protagonista. Tutti, guarda caso, socialmente discriminati: l’inserviente donna e di colore (Octavia Spencer), un disegnatore che perde il lavoro perché omosessuale (Richard Jenkins), uno scienziato sovietico con rimorsi di coscienza (Michael Stuhlbarg), che ritrova le ragioni del cuore sepolte sotto la fredda razionalità da tecnocrate fedele alla causa.
La meccanicità e il semplicismo della vicenda però non aliena a La Forma Dell’Acqua le simpatie dello spettatore colto, grazie a una confezione che trasuda cinefilia e che usa in maniera smaliziata i dispositivi di genere, dalla creatura che rimanda alla fantascienza anni Cinquanta (Il Mostro Della Laguna Nera) all’improvvisa impennata musical e le insistite, pedanti citazioni di vecchi film, dai peplum a Shirley Temple, con la casa stessa della protagonista installata sopra un cinema dagli arredi rétro e programmazione pure.
Tutte scelte che accarezzano la propensione nostalgica del pubblico, cullandolo con l’immaginario della Hollywood classica di cui La Forma Dell’Acqua finisce per costituire una convinta apologia. Un dispositivo narrativo artificioso e artificiale, che l’elaborata fotografia su tonalità croccanti verdi e marroni e la musica smorfiosa di Alexandre Desplat rendono ruffiano oltremisura, annegando il film in una romanticheria in cui risulta quasi irriconoscibile la cifra migliore del cinema di Del Toro, quella in cui la fiaba fa rima col senso del macabro e il lieto fine è solo una falsa pista.