Perché quella morte in The 100 è incomprensibile e rischia di lanciare un messaggio sbagliato

The 100 ha ormai abituato il pubblico a morti sconvolgenti, mai come quella nell'episodio 7x13 che rischia di sviare un messaggio morale

The 100

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Nato come survival show, The 100 ha ormai abituato il pubblico a colpi di scena strabilianti e morti inaspettate che hanno sollevato veri e propri polveroni mediatici.

Non è mai facile accettare l’addio di un personaggio amato, ma a volte è necessario affinché la storia prosegua. E in una serie come The 100 che fa della sopravvivenza una delle sue tematiche importanti, questo processo avviene spesso.

Se la morte di Lexa, uno dei personaggi secondari che il pubblico ha apprezzato e amato in passato (e continua avere una forte risonanza anche oggi), ha generato innumerevoli polemiche sui social, l‘addio di uno dei protagonisti di The 100 è stata accolta in maniera ancora più accesa.

SPOILER se non avete visto l’episodio 7×13 di The 100

Bisogna precisa che la settima e ultima stagione è partita al di sotto delle aspettative. Più volte abbiamo discusso di come la storia faccia fatica a decollare a causa di una trama confusionale e di una presenza assai massiccia di personaggi secondari che spesso oscura i protagonisti stessi.

The 100 cade quindi nello stesso errore de Il Trono di Spade. Per fare rumore, si predilige una storyline che rischia di sviare il messaggio stesso della serie. Sopravvivere in un mondo post-apocalittico non è facile. Nel mondo di The 100 non esistono buoni e cattivi, ma solo persone che cercano di fare del loro meglio per andare avanti. Anche a costo di uccidere, sacrificare qualcuno e stringere alleanze moralmente discutibili.

Il leitmotiv è sempre stato il sottile confine tra bene e male: “Be the good guys”, ripeteva Monty ai suoi amici. Il problema subentra quando ci si chiede cosa siamo disposti a fare pur di salvare le persone che amiamo? L’umanità, o quei pochi superstiti, è davvero pronta a sotterrare l’ascia di guerra per abbracciare una convivenza pacifica?

Il percorso di Bellamy Blake nella settima stagione è comprensibile fino a un certo punto. Disperso su un pianeta ostile, lotta con tutte le sue forze per sopravvivere e tornare dai suoi amici. È sull’orlo di una crisi esistenziale. E quando non riesce a trovare un appiglio, si aggrappa alla fede, in questo caso nel culto del pastore Bill Cadogan, l’antagonista di questa stagione e una religione in cui ogni affetto personale deve essere messo da parte per il bene dell’umanità. Bellamy ci crede fino in fondo e volta le spalle ai suoi amici e soprattutto a Clarke. Quando poi quest’ultima si trova davanti alla scelta di salvare Madi, la figlia acquisita, lei non batte ciglio e spara a Bellamy, ponendo fine alla sua vita. Un colpo di scena clamoroso, violento, com’è la natura umana, ma tuttavia incomprensibile.

Al di là di come si sarebbe sviluppato il loro rapporto, Clarke e Bellamy sono sempre stati il focus della serie. Clarke è la testa, Bellamy è il cuore. Una ragiona, a volte facendo scelte discutibili e avventate, l’altro affronta tutto sul piano emotivo. Bellamy ucciso da Clarke distrugge ogni buon proposito morale tanto sbandierato da The 100 e al tempo stesso affonda il percorso caratteriale del personaggio. Dov’è finito il “be the good guys”? Inoltre, l’espediente narrativo non funziona ed è mal gestito. Si vuole creare una reazione che provoca l’effetto contrario.

Questo non è il messaggio che The 100 deve inviare. Dopo aver visto l’oscurità deve esistere la speranza di una vita migliore. E specialmente in questo periodo storico ne abbiamo bisogno.