5 segreti de La Casa di Carta svelati dai creatori, dall’assenza di Nairobi e Berlino alla maschera di Dalí

Come sarebbe stata La Casa di Carta senza Nairobi o Berlino? Ecco alcune curiosità sulla serie rivelazione di Netflix


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Insieme alla quarta parte de La Casa di Carta, il 3 aprile arriva su Netflix anche un documentario dedicato alla serie spagnola, che racconta questo sorprendente fenomeno mondiale diventato il titolo non in lingua inglese più visto in assoluto sulla piattaforma.

Per celebrare l’uscita della quarta stagione (qui la nostra recensione in anteprima), Netflix renderà disponibile in contemporanea La Casa di Carta: Il Fenomeno, documentario che porta il pubblico alla scoperta di curiosità inedite sulla serie grazie ad approfondimenti ed interviste ai suoi sceneggiatori e produttori esecutivi.

Alcuni di questi segreti sono già stati svelati proprio dai creatori de La Casa di Carta sui canali social di Vancouver Media, la società di produzione madrilena creata da Álex Pina, lo showrunner dalla serie sui rapinatori in tuta rossa che cantano Bella Ciao. Riguardano perlopiù i personaggi della serie, ma anche alcune scelte simboliche come l’uso della maschera di Salvador Dalí come parte integrante dei costumi per i protagonisti.

E ci sono effettivamente delle chicche curiose. Come sarebbe stata La Casa di Carta senza Nairobi? Impossibile immaginarla ora che proprio la rapinatrice gitana è al centro dell’enorme cliffhanger con cui si è conclusa la terza stagione e si aprirà la quarta, nel dubbio che possa morire per un colpo d’arma da fuoco. E quale vuoto avrebbe lasciato Berlino, personaggio amato ma controverso, che ha rischiato la censura? Ecco cosa hanno raccontato Álex Pina, Esther Martínez Lobato, Jesús Colmenar e Migue Amoedo.

Berlino

Criminale, misogino, narcisista patologico: Berlino è risultato il volto più affascinante della rapina insieme al Professore, ma lo stesso interprete Pedro Alonso si è più volte assicurato che il pubblico ricordasse che si tratta di uno dei personaggio assolutamente negativo. Proprio per le sue caratteristiche, è stato quasi censurato dagli stessi sceneggiatori che lo avevano creato, come ha ricordato Esther Martínez Lobato: “Abbiamo valutato di rimuovere questa figura, la chiave in cui è scritto il personaggio è stata molto dolorosa. Ma alla fine abbiamo combattuto perché rimanesse e sembra che sia stato un successo“.

Nairobi

Il personaggio non era previsto nel primo script, di fatto non esisteva. Lo ha raccontato la stessa interprete Alba Flores, che è stata scritturata da Pina dopo aver lavorato con lui in Vis a Vis, l’epopea carceraria creata da Ivan Escobar. “La prima volta che ho letto la sceneggiatura dei primi due capitoli, Nairobi non esisteva. Non era un personaggio della serie. Alex Pina voleva che io fossi nella serie, ma il personaggio non era stato scritto“. Di fatto, dunque, quello di Nairobi è un personaggio cucito addosso alla Flores, pur di averla nel cast.

La voce narrante

Non è sempre stata quella di Tokyo, nelle intenzioni dei produttori, la voce narrante dell’intera storia. Sono stati fatti vari tentativi, prima di eleggerla onnisciente narratrice della saga. La sua voce fuori campo che accompagna ogni episodio, spesso anticipando ciò che accadrà, sembra preludere al fatto che il ​​personaggio di Úrsula Corberó uscirà viva e vegeta dalla rapina e sarà – forse l’unica? – in grado di raccontarla dall’inizio alla fine. In principio gli autori avevano provato ad affidare questo ruolo ad altri due membri della banda, prima al Professore e poi a Mosca. Entrambi si sono rivelati inadeguati per motivi diversi: “Far parlare Il Professore, che è una sorta di perdente, un timido e quasi sociopatico, sarebbe risultato troppo egocentrico: il Professore che parla del suo stesso piano perfetto, sarebbe risultato contraddittorio con la sua personalità“, ha spiegato Álex Pina. Nemmeno il tentativo di Mosca ha funzionato: la voce di Paco Tous era stata scelta per dare alla rapina un punto di vista più semplice, quello della persona più umile del gruppo. Poi però la scelta è caduta su Tokyo, anche per “controbilanciare in termini femminili” la narrazione (sono solo due le rapinatrici della banda) e per renderla più calda ed emozionante.

I nomi dei personaggi

Il regista e produttore Jesus Colmenar ha rivelato che nelle prime bozze del progetto, con le indicazioni preliminari sui personaggi che avrebbero composto la banda, i nomi erano molto diversi. I ladri non si sarebbero chiamati con nomi di città: Denver nella bozza del soggetto de La Casa di Carta era El Liti, Berlino avrebbe dovuto essere El Dandi, Mosca Agustín, Rio El niñoTokyo Silene.

La maschera di Dalí

Quello che è diventato uno dei simboli della serie avrebbe potuto essere diverso, ma comunque identitario. La maschera Dalí che la banda usa per coprirsi il viso durante la rapina avrebbe potuto raffigurare Picasso o Don Chisciotte. Il perché lo ha spiegato Migue Amoedo, il direttore della fotografia de La Casa di Carta: “Abbiamo considerato la possibilità che fossero altri personaggi come Pablo Picasso, che era una maschera cubista, o Don Chisciotte, che rappresentava molti valori tipici spagnoli e anche quella follia e la spinta verso l’impossibile che alcuni personaggi avevano“.