Tolo Tolo (ora sappiamo che vuol dire “solo solo”) sta per arrivare, il primo gennaio. Stessa strategia vincente del precedente Quo Vado?, uscito lo stesso giorno di quattro anni fa, che portò a casa la bellezza di 65 milioni di euro. Stavolta la Taodue di Pietro Valsecchi che produce e la Medusa che distribuisce, in oltre 1200 copie, osano persino il “Capodanno con Checcho Zalone”, la possibilità di vedere il film già cinque minuti dopo la mezzanotte. In Puglia è già sold out.
Intanto, dopo l’anteprima per la stampa sono giunte le prime recensioni, che accendono o meglio rilanciano il dibattito, già esploso dopo il lancio di Immigrato, la canzone che ha sostituito il trailer scatenando un putiferio. Da un lato è stato tacciato di qualunquismo e anche peggio – il più duro di tutti Roberto Zaccaria, costituzionalista ex numero uno della Rai ed ex parlamentare del Pd, che ha parlato di “istigazione al razzismo” –, dall’altro c’è stato chi, come Salvini, ha detto che vorrebbe Zalone “senatore a vita, altro che certi reperti”, invitato a nozze, o ingannato, dal politicamente scorretto del videoclip.
Luca Medici in arte Checco Zalone ha giocato in contropiede: nel film non c’è nessun immigrato che si installa in casa dell’italiano medio frustrato. Al contrario, c’è un italiano affetto da manie di grandezze e sogni di benessere esagerato che prima se la dà a gambe in Africa dopo il fallimento del suo ristorante di sushi nelle Murge, lasciando i debiti ai suoi familiari, poi quando arriva l’Isis è obbligato a un rientro in Europa insieme agli ultimi, da migrante. Un destino che curiosamente condivide con i Ficarra e Picone de Il Primo Natale e, soprattutto, con il serio e bellissimo Lamerica di Gianni Amelio, che a metà dagli anni Novanta raccontava la storia di un traffichino che andava a far soldi e truffe in Albania, ritornando da disperato su un barcone con i più poveri tra i poveri.
Già da questo si capisce che Zalone, per la prima volta anche regista e autore della sceneggiatura insieme all’unico vero erede della commedia all’italiana, Paolo Virzì, ha scommesso ancora più in alto dei film precedenti. “Il film politico italiano dell’anno” ha commentato Emiliano Morreale su La Repubblica, che “conferma la sua unicità di comico civile”. Una costruzione narrativa, sottolinea Paolo Mereghetti sul Corriere della Sera, da “apologo”, che segue il percorso al contrario di un personaggio “meravigliosamente mediocre, che si ostina a non crescere, in sintonia con l’Italia più superficiale e opportunista”. Un italiano cattivo, con rigurgiti autoritari e pose mussoliniane – “ce l’abbiamo tutti dentro il fascismo, è che col caldo viene fuori, come la candida”, è una battuta del film – e un egoismo che resta tale anche nel viaggio di ritorno insieme ai disperati.
Tolo Tolo insomma sembra puntare a una comicità paradossale, a una risata problematica da autentica commedia all’italiana, dove il divertimento scatta nel bel mezzo della sgradevolezza, sempre partendo dall’osservazione della realtà. E se in un film come Quo Vado? si fotografava la nostalgia del posto fisso, qui si getta lo sguardo verso l’antropologia degli italiani in un momento in cui, a causa anche della maggiore insicurezza economica, il fragile velo di buone maniere s’è dissolto, e si manifesta una crudeltà cui talvolta si dà il nome di “pancia degli italiani”.
L’una e l’altra, la realtà e la pancia, trovano una sintesi nella figura di un altro personaggio, l’arrampicatore Gramegna: “ha fatto carriera come Di Maio, l’ho vestito come Conte, gli ho dato il linguaggio di Salvini, insomma un mostro dei nostri tempi”, dice l’attore e regista. E il riferimento a questo mostro o “eroe dei nostri tempi”, subito fa scattare il parallelo con un nome che sempre più spesso compare quando si parla di Zalone – lo citano sia Mereghetti che Morreale –, il cattivo per antonomasia della nostra commedia classica, Alberto Sordi.
Zalone insomma gioca sul filo dell’ambiguità, rischiando parecchio – un numero musicale durante il naufragio – ed è questa la sua forza. Però in conferenza stampa puntualizza e rispedisce al mittente le accuse di sessismo: “Sessismo e maschilismo non mi appartengono, potete stroncare il film come volete, ma non ho mai spogliato la protagonista”. E quando gli chiedono di Salvini aggiunge: “Non c’è proprio nel film e comunque non volevo fare un film contro di lui”, supportato dal produttore Valsecchi, che aggiunge “non avrei investito venti milioni di euro per fare un film contro Salvini”.
Le rassicurazioni non devono essere bastate, perché a destra Tolo Tolo è stato recepito in ben altro modo: “Un film terzomondista”, titola Il Giornale e l’articolista Cinzia Romani aggiunge “sembra girato da Papa Bergoglio”, con “un bambino bellissimo e una rifugiata che pare una modella”, i cameo dei “giornalisti politicamente corretti Chicco Mentana e Massimo Giletti”, persino Nichi Vendola.
Il dibattito insomma, è appena partito. Per capire quale piega prenderà bisognerà attendere il responso del pubblico. “Quanto sono in ansia da prestazione? – si è chiesto Medici-Zalone in conferenza stampa – Da uno a dieci direi dieci. Inutile fare gli ipocriti: bisogna fare i soldi e speriamo di riempire le sale anche questa volta“. Tutto il sistema cinema attende al varco il film. Ricordiamo che il 2016 è stato, tra quelli recenti, l’unico, a superare i cento milioni di biglietti venduti (105, per la precisione), solo grazie all’exploit di Quo Vado?, che da solo portò a casa il 10 percento degli incassi dell’annata. La questione però non è solo di numeri. Perché Zalone ormai è diventato quasi una cartina di tornasole del carattere degli italiani. Il successo o meno del suo film potrebbe aiutarci a capire chi siamo. O cosa stiamo diventando.