Norman Fucking Rockwell di Lana Del Rey è il disincanto pulp del sogno americano (recensione)

La cantautrice statunitense guarda il mondo con una telecamera 8mm per riportarcelo con i suoi colori sbiaditi e i suoi suoni consumati dal tempo


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Norman Fucking Rockwell di Lana Del Rey è la conferma che cercavamo: Elizabeth Woolridge Grant è la voce pulp del disincanto americano, dell’isteria vintage e della nictofilia crepuscolare necessaria in un tempo in cui le star sfoggiano finti sorrisi per esorcizzare le paure di questo tempo. L’avevamo adorata dai tempi di Born To Die (2012), forte di pezzi come la title-track, Summertime SadnessVideo Games.

Insieme a lei abbiamo scoperto una California che non era il sogno oltreoceano, ma un lungo addio alle cose e alle persone, fotografato con la luce di un tramonto in cui la tempesta minacciava le nostre teste. Norman Fucking Rockwell è una sigaretta abbandonata sul posacenere che brucia, solitaria, mentre noi guardiamo fuori dalla finestra quando stiamo al telefono per pregare qualcuno di restare. Numerose le anticipazioni lanciate nell’arco di un anno: l’album è uscito ieri, 30 agosto, in contemporanea con l’annuncio a sorpresa del lancio di un nuovo album per il 2020.

Per questo disco, la cantautrice di New York ha lavorato insieme a Jack Antonoff, lo stesso produttore che ha firmato alcune tracce dell’album Lover di Taylor Swift e di fronte al quale ha trovato l’ispirazione per il titolo: Norman Rockwell è l’illustratore americano che negli anni è stato definito come il padre del realismo romantico. Rockwell firmò più di 300 copertine per il Saturday Evening Post dal 1916 al 1963. Le sue opere mostravano, nei primi tempi, la famiglia americana felice e sorridente, ma le cose cambiarono con la minaccia della Seconda Guerra Mondiale, quando le sue illustrazioni si fecero più oscure e sofferte.

Lana Del Rey, a proposito del titolo, ha spiegato la genesi in un’intervista a Vanity Fair:

Stavo riflettendo su un paio di accordi che Jack Antonoff stava suonando – per la canzone che alla fine abbiamo intitolato Norman Fucking Rockwell – ed è lì che mi sono trovata a riflettere e scherzare sul sogno americano. E mi son detta: “Ecco, qui è dove siamo ora. Norman che sc**a Rockwell. Andremo su Marte e Trump è Presidente, ok. Per quanto riguarda il titolo, beh, io e Jack scherziamo costantemente su tutti i titoli di giornale che ci vengono in mente e che potremmo leggere, ci diverte, quindi se vogliamo è anche un leggero riferimento culturale. Ma non è una cosa cinica, davvero. Cerco di vedere tutto come un po’ più divertente di quanto non sia in realtà. Il caos della cultura è interessante, mi affascina.

Un poker d’archi (non me ne voglia Checco Zalone) apre la title-track, poi è un girotondo di note al pianoforte che accompagna un testo rivolto a un “man-child”, un uomo che parla ai muri, osservato dagli occhi di una poetessa scanzonata e disillusa. Il sipario è polveroso e consumato e si apre con la lentezza nobile di Lana Del Rey, mentre in Mariners Apartment Complex siamo nel pieno del club, con sound acustici e atmosfere che sono proprie dei luminosi ’60 in questa malinconica ballata nella quale Lana è la guida di un’anima in difficoltà: “Sei disperso nel mare, farò in modo che la tua barca arrivi a me. Non guardare lontano, guarda dove ti trovi. Lì ci sono io”Venice Bitch, con un chiaro gioco di parole nel titolo, è una suite che coniuga soft-rock, pop, ballata e – ovviamente – tutto il pulp che è proprio di Lana, lo stesso che in Italia troviamo in Strategie degli Afterhours: amore, passione, frivolezza ed erotismo.

Gli strumentisti giocano con il synth e con la chitarra in fuzz, quando tutto si fa psichedelico e viene abbellito dai vocalizzi di Lana, musa acida che mette un trip nel nostro drink al sapore di Pink Floyd e King Crimson. La cantautrice ripete ossessivamente: “Cremisi e trifoglio, tesoro” mentre tutto si fa sempre più onirico, fino al riposo su Fuck It I Love You, lanciata come doppio singolo insieme a The Greatest. Dolcissime come il sonno pre-morte, entrambe le canzoni riportano una Lana ispirata e profonda, nei panni della diva maledetta che guarda verso i riflettori con gli occhi lucidi e il trucco sbavato, travolta dalla voglia di scomparire e da ricordi che la divorano dall’interno. La prima è la ballata nel tipico stile della cantautrice, la seconda si colora di strumenti acustici nello stile di Mariners Apartment Complex.

Dub e intensa, tanto da rasentare il trip hop, è la versione di Doin’ Time dei Sublime: la voce calda di Lana ondeggia su un beat sensuale, ora con il fiato pieno e ora con un mugugno in falsetto. Una Love Song nel repertorio della Del Rey non poteva mancare: romantica e innamorata, la cantautrice canta mentre giace sul petto del suo amore, accompagnata da un pianoforte e dal suono secco del mellotron. Ritorna lo strazio di vivere in Cinnamon Girl, accordi in minore che dipingono la cannella che in questo brano diventa il sapore speziato di un amore tossico. I 6/8 di How To Disappear, il beat acido e la voce di Lana ci ricordano Sia, ma anche un piano sequenza che si allontana da una donna in lacrime, sulla porta della sua stanza, alle prime luci del mattino dopo una notte trascorsa a tirare le somme con gli anni trascorsi a mentirsi.

Lo avevamo già detto: la California di Lana Del Rey è una fotografia scattata al tramonto mentre la tempesta minaccia le palme. California è proprio questo, una ballata straziante e nostalgica alla pari di The Next Best American Record, un ritratto del dolore filmato con un apparecchio a 8mm durante il quale Lana scomoda i Led Zeppelin e gli Eagles come colonna sonora di una relazione consumata tra le lenzuola, al di là dello spazio e del tempo.

I rintocchi di pianoforte di Bartender diventano una danza nel ritornello, note poetiche che accompagnano una Lana Del Rey che racconta al suo barista quanto la sua vita sia cambiata tanto da passare dal vino alla Cherry Coke. Se la felicità era una calda pistola per i Beatles, per Lana è una farfalla: Happiness Is A Butterfly è un prestito del romanziere Nathaniel Hawthorne ed è un’altra canzone nel pieno stile di Lana Del Rey e la stessa coerenza ritorna in Hope Is A Dangerous Thing For A Woman Like Me To Have – But I Have It. Siamo nel suo mondo crepuscolare e ovattato e la puntina del disco sta per decretare la fine dell’ascolto: c’è un pianoforte, c’è la voce di Lana e ci siamo noi, silenti, rapiti dal suo lamento gelido e intenso, che non chiede empatia ma adorazione.

Con immancabili parallelismi con Born To DieUltraviolenceNorman Fucking Rockwell di Lana Del Rey si colloca tra le novità più interessanti ed eversive di quest’anno: abbiamo Madonna e Taylor Swift, dissidenti e belle, ma sopratutto energiche e attive. Lana è Lana, si bea della sua unicità e ci propone una resistenza più fredda, coniugata con l’amore tormentato e logoro senza corpi di ballo né scenografie: Norman Fucking Rockwell di Lana Del Rey è il disincanto del sogno americano, tradotto in musica da chi non ha bisogno di serotonina per fare musica.