È facile immaginare Marc Cherry chiuso nel suo studio, o a colloquio con autori e portavoce dei grandi network, alla ricerca di uno stimolo, di un indirizzo, di una nuova direzione da imprimere alla propria carriera. Perché concepire Desperate Housewives può essere davvero l’orgoglio di una vita e il più straordinario dei trampolini verso la fama, ma a quanto pare anche una potenziale gabbia dorata.
La nuova miniserie di Marc Cherry ha debuttato su CBS All Access il 15 agosto con un pilot visivamente straordinario, ma narrativamente meno convincente. La trama in Why Women Kill segue i tre binari paralleli delle vite di Beth Ann (Ginnifer Goodwin), Simone (Lucy Liu) e Taylor (Kirby Howell-Baptiste), donne diverse in decenni diversi, accomunate da un unico e sconvolgente evento: la morte del marito.
Beth Ann è una tipica casalinga degli anni ’60. Trascorre il suo tempo in casa, perlopiù ai fornelli, con l’unica vocazione di prendersi cura del marito, un uomo realizzato e pieno di sé secondo i più tipici canoni del tempo. Simone è una donna dell’alta società negli scintillanti anni ’80, sposata a un uomo ricco e di classe con il quale intrattiene un rapporto di mutua convenienza a base di party ultra chic e frivolezza. Taylor, infine, è un avvocato di successo in pieno 2019, una donna bisessuale, femminista ed emancipata, felice in un matrimonio aperto all’apparenza inattaccabile.
Il pilot ce le presenta così, perfette rappresentanti del proprio tempo, ciascuna caratterizzata da un’identità autonoma e altrettanto autonomamente in grado di raccontare la propria storia. Le premesse sono accattivanti, ma ciò che più salta all’occhio nell’intero primo episodio di Why Women Kill sono i palesi rimandi a Desperate Housewives. Anzitutto nei titoli di testa, anche in questo caso una deliziosa sequenza animata in salsa pop. In secondo luogo, nella scelta dei tipi femminili.
Beth Ann, con il suo imperturbabile aplomb, i gustosi manicaretti serviti al marito e l’attenzione maniacale all’economia domestica, è il più chiaro richiamo nostalgico alla Bree Van De Kamp di Desperate Housewives. La sottomissione allo sposo e il senso di una vita riposto nella cura del suo benessere e dei suoi bisogni sono chiari punti di contatto fra le due. Per non parlare dell’immancabile chioma rossa e del prevedibile crollo nervoso che attende anche la perfetta casalinga anni ’60 interpretata da Ginnifer Goodwin.
Simone, invece, è una Gabrielle Solis alle cui origini latine si sostituiscono quelle asiatiche. Proprio come la splendida, giovane inquilina di Wisteria Lane, il personaggio di Lucy Liu è una donna egocentrica e autoindulgente, irresistibilmente attratta dal lusso e dai piaceri della vita. Simone è fisicamente bisognosa del senso di affermazione assicurato dalla posizione sociale del marito, da una casa riccamente arredata, da una cerchia di conoscenze falsamente cordiali dinanzi alle quali ostentare la propria vita esemplare. In ultimo, proprio come Gabrielle, anche Simone nasconde dietro questo patina di perfezione un vago senso di inadeguatezza e la propensione alle relazioni con uomini più giovani.
Taylor, infine, occupa il punto di massima distanza dalle casalinghe di Desperate Housewives e dalle domestiche di Devious Maids. Quest’inconfondibile millennial perde il delizioso accento britannico di Kirby Howell-Baptiste, ma sfuma l’onnipresente nostalgia di Marc Cherry per i tempi andati. Taylor è infatti una figlia perfetta del momento storico attuale, un’epoca di emancipazione in cui è del tutto accettabile che la donna sia il motore economico della famiglia e la coppia possa scegliere di abbracciare uno stile di vita alternativo. Taylor e il marito basano infatti l’armonia del proprio rapporto su un matrimonio aperto e relazioni indipendenti. Perlomeno fino alla comparsa di un’innegabile minaccia con le fattezze di Alexandra Daddario.
Come in Desperate Housewives, anche in Why Women Kill torna il tema dell’omicidio, più che altro un espediente utile ad alimentare gli sviluppi narrativi della serie. Pur essendo evocata già nel titolo e nel trailer, qui la morte non è un punto di partenza, ma una conclusione inevitabile di cui sarà curioso scoprire tempi e motivazioni. Il percorso sembra essere tracciato già dal pilot e indirizza lungo un cammino – tre, per essere precisi – che osserva il grado di emancipazione femminile fra il 1963, il 1984 e il 2019 con frequenti salti temporali.
È davvero troppo presto per promuovere o bocciare Why Women Kill. Ignorando i tartassanti déjà vu dei primi 10-15 minuti, ad ogni modo, diventa molto, molto più semplice godere delle minuziose rievocazioni di due decenni cruciali e appassionarsi all’ennesima storia di donne che l’estro di Marc Cherry saprà senz’altro rendere irresistibile.
Ecco il trailer di Why Women Kill, in onda ogni giovedì su CBS All Access.