Polemica sul personaggio di Hopper in Stranger Things 3: se riconoscere comportamenti aggressivi diventa un problema

Se chi lamenta una rappresentazione di comportamenti maschili abusanti viene linciato in rete, abbiamo un problema...


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Da burbero ma affidabile sceriffo della città a papà super geloso e possessivo nonché corteggiatore insistente e malfidato di Joyce: il personaggio di Hopper in Stranger Things 3 ha preso una piega che non è passata inosservata nei primi episodi della stagione, salvo poi riscattarsi del tutto con un finale commovente.

Nei primi episodi della nuova stagione record di visualizzazioni su Netflix (stavolta, contravvenendo alla sua policy, la piattaforma ha reso noti i dati dei suoi flussi streaming), lo sceriffo di Hawkins eroe delle prime due stagioni è parso più esagitato che brontolone, più aggressivo che intraprendente e anche più rude che alla mano nei modi di fare (qui la nostra recensione).

A sollevare la questione sui social coraggiosamente – perché decisamente controcorrente – è stata Evan Rachel Wood, la star di Westworld, che ha stroncato il personaggio parlando di “comportamento aggressivo” da condannare e non certo da idealizzare. La sua critica ha innescato una discussione sui social che si è trasformata in un acceso dibattito sul personaggio di Hopper in Stranger Things 3.

Il botta e risposta è in corso da diversi giorni sul suo account Twitter, da quando l’attrice ha criticato il modo in cui è stato messo in scena il rapporto tra Hopper e Joyce Byers. Sotto la lente d’ingrandimento dell’attrice è finito il comportamento geloso e quasi ossessivo dello sceriffo, che ad esempio “controlla tutti i tipi” con cui Joyce interagisce e la accusa di respingere senza motivo il suo corteggiamento dopo che la donna gli ha dato buca ad un appuntamento a cena.

Questo il tweet che ha scatenato la reazione dei fan di Stranger Things.

Non dovresti mai uscire con un ragazzo come il poliziotto di #strangerthings. La gelosia estrema e le collere violente non sono lusinghiere o sexy come la tv lascia credere. Questo è tutto.

In molti hanno replicato che si tratta solo di finzione e che l’ambientazione negli anni ’80 più giustificare una cultura un po’ maschilista frutto di una mentalità non certo contemporanea. Ma l’attrice non ci sta e replica che la messa in scena di un personaggio con certe caratteristiche dovrebbe innescare un rifiuto di quella tipologia di uomo.

Sì, sono consapevole del fatto che è solo uno spettacolo ed è ambientato negli anni ’80 anche se anche questa roba era comunque inaccettabile, ma questo è esattamente il mio punto: è solo uno spettacolo e questo è un delicato promemoria per non cadere in questa merda nella vita reale. Bandiere rosse a bizzeffe (sic).

La quantità di commenti aggressivi e di prese in giro che le sono piovute addosso ha spinto la Wood a vedere proprio in quelle reazioni la conferma del proprio punto di vista: chi giustifica un comportamento offensivo e violento evidentemente non lo riconosce come tale o addirittura lo pratica nella vita.

Sarà che tutte le persone violente che mi attaccano su Twitter per aver postato un avvertimento a non cadere in comportamenti abusivi come un personaggio televisivo popolare esibito in uno spettacolo popolare è perché gli ricorda loro stessi e si sentono personalmente attaccati? Dai ragazzi. Non ho nemmeno detto che fosse un cattivo ragazzo o di smettere di guardare lo spettacolo, ho solo detto ‘non uscire con persone del genere.’ Ma ahimè, chi abusa avverte un attacco e vuole controbattere, dimostrando con la propria reazione che ho ragione.

Quando qualcuno ha provocato la Wood sostenendo che anche il suo personaggio dell’androide Dolores di Westworld non andrebbe frequentato perché potrebbe essere “autorizzato a ucciderti“, l’attrice ha sostenuto di interpretare “un robot che uccide la gente perché non smettono di stuprarla e ucciderla da 30 anni“, pur non invocando l’alibi dell’autodifesa per il suo personaggio.

https://twitter.com/evanrachelwood/status/1147213677247860737

https://twitter.com/evanrachelwood/status/1148278877623480330

https://twitter.com/evanrachelwood/status/1148307028483485696

Il punto della discussione non è certo la rappresentazione di comportamenti abusanti, che in quanto tristemente reali e diffusi non possono essere completamente esclusi da universi narrativi che hanno un’ambientazione verosimile (e d’altronde ne esistono perfino nelle fiabe, come pretendere che non ve ne siano in racconti che hanno un qualche fondamento di verosimiglianza). Il punto sollevato dalla Wood, e che ha una sua indiscutibile fondatezza, è questo: osservare i comportamenti tossici (manipolatori, aggressivi, ossessivi), riconoscerli come tali e usare la loro rappresentazione come monito per evitarli nella vita reale. E per aver detto questo, è stata linciata e schernita.

Purtroppo per chi a quel tipo di comportamento ha assistito, o peggio l’ha subito sulla propria pelle, e ha preso consapevolezza di quanto fosse sbagliato e ingiusto, il riconoscimento è immediato: si sviluppa una sorta di radar che consente di accorgersene prima che l’abuso diventi manifesto, anche quando è ancora allo stadio della sottile pressione psicologica. La Wood non ha fatto mistero di aver subito abusi sessuali, dunque la sua sensibilità sul tema è particolarmente acuta, ma non c’è bisogno di essere necessariamente vittime di violenza per riconoscere come malsane una gelosia incontrollata (quella di Hopper nei confronti dell’adolescente figlioccia Eleven), una reazione aggressiva ad un rifiuto da parte di una donna o la tendenza a dubitare senza motivo della sincerità e della buona fede altrui insinuando sospetti infondati (sempre Hopper, ma nei confronti di Joyce).

Questo è quanto si è visto nei primi tre episodi di Stranger Things 3, prima che la trama entrasse nel vivo e la sceneggiatura si concentrasse più sui misteri del Sottosopra che sui rapporti tra i personaggi, per poi dedicare ad Hopper un finale straziante dal tono decisamente diverso rispetto all’incipit della stagione. Ma dire che certi atteggiamenti rendono un personaggio quantomeno discutibile dovrebbe essere un diritto riconosciuto a tutti e un certo un motivo di scherno o di aggressione da parte di chi non interpreta la realtà allo stesso modo.

Probabilmente la stragrande maggioranza degli spettatori di Stranger Things si sarà fatta grasse risate di fronte ad Hopper che chiude in macchina Mike e urla contro un ragazzino per separarlo da Eleven, che lo costringe a mentirle minacciandolo di non permettergli più di vederla, che alza la voce con Joyce insinuando che l’abbia mollato per andare con un altro e controlli i suoi contatti maschili. In molti avranno riso, certo. E in molti, invece, assolutamente no.

Accettare che esistano sensibilità diverse su certi temi dovrebbe essere scontato, anzi, semmai il problema è che questa sensibilità non sia abbastanza diffusa anche tra chi non ha avuto esperienze personali tali da renderlo particolarmente recettivo nel percepire questi pericoli. Il che non vuol dire spegnere la tv, interrompere lo streaming o uscire da una sala quando sullo schermo si presenta un personaggio maschile dai tratti preoccupanti, ma perlomeno ammetterne la problematicità e non liquidarla con quattro risate e coi soliti luoghi comuni maschilisti dell’uomo geloso, innamorato e preoccupato cui tutto è concesso in nome del suo presunto ruolo di padre, compagno, amico nei rapporti con l’altro sesso. Qualcosa che speravamo invano fosse ormai assodato.