È inequivocabilmente una serata nostalgia quella che offre stasera Canale 5 alle 21.20 con Grease, il celebre musical del 1978 diretto da Randal Kleiser, con John Travolta e Olivia Newton-John. La nostalgia però non è solo quella che proverà la generazione di cinquantenni, a cui un film che avranno visto al cinema quarant’anni fa attiverà ricordi e sensazioni della loro adolescenza. La nostalgia è l’elemento quintessenziale di un film tutto impostato sulla ricostruzione di un passato mitico, i magici anni Cinquanta, che per l’immaginario americano rappresentano una terra promessa, o meglio un paradiso perduto, l’epoca in cui tutto sembrava più autentico, semplice e la gente era felice e spensierata.
Grease, si sa, nasce dall’intuizione di un duo di giovani commediografi, Jim Jacobs e Warren Casey, che s’inventarono questa commedia musicale messa in scena nel 1971 a Chicago e poi importata a Broadway e in tutto il mondo, per un numero infinito di repliche e un successo che continua tuttora. Tantissime le edizioni, con sorprese curiose: non in molto sanno, per esempio, che la parte del protagonista Danny Zuko nella versione teatrale londinese del 1973 fu interpretata da un giovanissimo Richard Gere; e persino in Italia Grease è stato portato in scena moltissime volte, a partire dalla prima fortunata edizione del 1997 con Giampiero Ingrassia e Lorella Cuccarini.
Viste le premesse era più che naturale che il cinema si facesse allettare dall’idea di una trasposizione su grande schermo, soprattutto in un momento in cui, dopo il successo de La Febbre Del Sabato Sera, sembrava che ci fosse nuovamente spazio per un genere che aveva fatto la storia di Hollywood, il musical. Infatti dietro Grease c’era lo stesso produttore del film che aveva lanciato la stella di John Travolta, l’impresario musicale Robert Stigwood, che ricompose la stessa squadra. In realtà Travolta non fu esattamente la prima scelta: si era pensato piuttosto a Henry Winkler, il Fonzie di Happy Days, ritenuto ideale per un film ambientato negli anni Cinquanta. E in ballo ci fu anche Patrick Swayze, che rinunciò per problemi fisici – per lui il successo sarebbe arrivato un decennio dopo con un film per certi versi simile, Dirty Dancing.
Alla fine si giunse a John Travolta, al quale venne accostata come partner femminile l’inedita Olivia Newton-John, apprezzata come cantante ma con trascurabili trascorsi da attrice. Per questo i produttori organizzarono un provino – scegliendo la sequenza del drive in – per capire se i due come coppia sullo schermo potessero funzionare, anche perché la Newton-John era quasi trentenne all’epoca e più grande di cinque anni di Travolta.
I risultati dicono che la coppia funzionò eccome. La storia era semplice, esilissima: Danny e Sandy amoreggiano per un’estate e poi si lasciano. Il destino però li fa rincontrare a sorpresa nello stesso liceo, la Rydell High School. Però dato che Danny è il tipo del macho sciupafemmine, teme di rovinare la sua reputazione mostrandosi svenevole e sdolcinato – in realtà è innamoratissimo – con la ragazzina acqua e sapone appena arrivata dall’Australia – si scelse l’Australia perché la Newton-John col suo accento non sarebbe mai stata credibile come statunitense. Così il film segue il filo d’un tira e molla tra innamorati con numeri di ballo e canzoni – alcune composte appositamente per il film, come Hopelessly Devoted To You, che ebbe la nomination all’Oscar – e soprattutto, una ricostruzione affettuosa dei “favolosi” anni Cinquanta, coi ragazzacci (dal cuor d’oro) in giubbotto di pelle, le disinibite Pink Ladies che non vogliono essere da meno, il profumo del college con la squadra di football americano e le ragazze pon pon e un variegato gruppo di adulti, presidi professori allenatori, che si fingono burberi ma in fondo guardano con bonomia (e un po’ d’invidia) quella nuova generazione d’americani belli, simpatici e destinati a grandi cose.
Il successo, dicevamo, fu travolgente, l’incasso fu di quasi 400 milioni di dollari globalmente, quasi il doppio de La Febbre Del Sabato Sera. Ma i due film non potrebbero essere più diversi. La Febbre Del Sabato Sera profuma di New Hollywood e mette in scena una New York credibile, quotidiana, un mondo fotografato e raccontato per quello che era, ingentilito e reso più elettrizzante dal ritmo di una colonna sonora cult.
Grease è palesemente una favola rétro, che richiama non tanto i veri anni Cinquanta, bensì un’epoca immaginaria, mai davvero esistita, che corrispondeva all’idea che di quel decennio avevano fabbricato il cinema, la musica e la tv dell’epoca. Dietro La Febbre Del Sabato Sera c’è la realtà – opportunamente riadattata –, dietro Grease, come scrisse lo studioso Franco La Polla, c’è “un cinema del tutto svincolato da qualsiasi riferimento che non sia la pura gratuità dello spettacolo”.
Capita spesso che la nostalgia non sia indirizzata verso un tempo passato reale, ma accarezzi piuttosto il sogno che abbiamo sognato quando eravamo giovani. E nell’era postmoderna dominata dai mezzi di comunicazione di massa, quel sogno, in gran parte, è stato modellato da film, programmi tv e canzoni. Infatti Grease attinge a piene mani non dalla storia ma da tutte le forme dello spettacolo degli anni Cinquanta (e non solo). Nel prologo, Sandy e Danny amoreggiano al suono de L’Amore È Una Cosa Meravigliosa, colonna sonora del film di culto omonimo del 1955. E i riferimenti vintage alle icone dell’epoca abbondano, da Sandra Dee a Troy Donahue, The Blob e Dean Martin e Jerry Lewis, Debbie Reynolds e le gare di corsa in auto modello Gioventù Bruciata.
Poi c’è il cast, che nei ruoli secondari è ricco di vecchie glorie soprattutto della tv degli anni Cinquanta-Sessanta: Joan Blondell, l’ex teen idol Frankie Avalon, Edd Byrnes del famoso (negli Usa) 77 Sunset Strip, la Alice Ghostley di Vita Da Strega, Dody Goodman del Tonight Show. In verità tra i protagonisti ci sarebbe dovuto essere anche Harry Reems, uno dei più celebri pornoattori degli anni Settanta, ma l’idea dovette sembrare stravagante e troppo provocatoria. Per cui alla fine si optò, ovviamente, per un’altra leggenda della tv, Sid Caesar. Gli anni Cinquanta idealizzati da cinema e tv non potevano prevedere, mosse di bacino alla Elvis Presley a parte, la presenza del sesso.