“Niente è peggio dei broccoli“. Alex Karev sembra parlare a se stesso quando nel secondo episodio di Grey’s Anatomy 13 spiega ad un giovane paziente che non importa quanto spaventosa sia una situazione, perché c’è sempre qualcosa di ancor più terrificante. E in effetti Alex lo sa bene: uscito di prigione su cauzione, è stato accusato di aggressione non premeditata ai danni di Andrew DeLuca e rischia di tornare dietro le sbarre per restarci diversi anni. La sua dichiarazione di non colpevolezza in aula lo pone nella condizione di doversi difendere dall’accusa di aver commesso un crimine negando un fatto incontrovertibile: l’aggressione c’è stata e per Alex non sarà facile dimostrare che non vi era un’intenzione dolosa.
GREY’S ANATOMY 13: RECENSIONE PREMIERE DI STAGIONE
Intanto un frastornato Karev continua a visitare i suoi pazienti, cercando di bilanciare l’irascibilità dovuta alla situazione personale e la necessità di mantenere in piedi la sua vita a partire da quel lavoro che lo ha nobilitato e reso una persona migliore: gli amici di Alex hanno preso brutte strade, invece Karev è riuscito a diventare un ottimo professionista e un uomo stimato grazie alla medicina. La possibilità di esercitate quella stessa passione per la medicina che gli ha salvato la vita sottraendolo ad una realtà di degrado ora potrebbe essergli negata a causa dello scatto d’ira di un momento. L’errore commesso nel sottovalutare il caso del piccolo paziente Zach gli costa l’impossibilità di operarlo e la conseguente decisione della Bailey di escluderlo da chirurgia, vista la sua condizione di imputato. Proprio grazie alla storyline di Alex, quest’episodio ha anche resuscitato l’ambulatorio intitolato alla memoria di Danny Duquette (e con lui il ricordo di Izzie Stevens mai sopito in una parte degli spettarori), accantonato per diverse stagioni e miracolosamente riapparso come nuova destinazione per Alex. Lì dovrà espiare la sua pena prima di conoscere quella inflittagli dalla giustizia. Sarà il suo purgatorio in vista della sentenza che potrebbe porre fine alla sua carriera, intanto già segnata dalla retrocessione da chirurgo a clinico, mentre l’incomunicabilità con Jo raggiunge livelli mai visti prima.
L’unica che sembra porsi dalla sua parte senza riserve è ancora Meredith: “Perché tutti si comportano come se non avessero mai fatto errori?” si chiede la Grey. E in effetti di medici che hanno sbagliato è pieno il Grey Sloan Memorial Hospital: da chi ha esercitato la professione da alcolista a chi ha sabotato ricerche mediche come la stessa Meredith, nessuno può dirsi immune da sbagli clamorosi. Eppure tutti ora sono pronti a prendere le distanze da Alex, a sorvegliarlo come se fosse improvvisamente diventato pericoloso.
La tensione emotiva tra il senso del dovere di ciascuno e il trasporto emotivo nei confronti di un collega è perfettamente esemplificata dal discorso della Bailey, che esclude Karev dalla chirurgia, ma gli ricorda che lui è il golden boy dell’ospedale: “Tu eri la sorpresa inaspettata. Sei quello che è migliorato più di tutti. Pensavo che ti fossi lasciato alle spalle la persona che ha picchiato DeLuca”. Ed è sempre Meredith a ricordare che “come chirurghi siamo guardiani dei nostri fratelli. Vita o morte. Dalla culla alla tomba. Vediamo le rispettive paure, il terrore di fallire. Ci vediamo dentro“: nell’incipit di quest’episodio è riassunta l’essenza di 13 stagioni di Grey’s Anatomy, nonostante oggi a ricordarselo pare sia solo il personaggio della Grey.
Sul fronte del triangolo profilato già nel season finale della dodicesima stagione, è ormai chiaro come gli autori abbiano deciso di rendere assolutamente insopportabile il personaggio di Maggie: avvertita come un corpo estraneo fin dall’inizio, la Pierce rischia di risultare fastidiosa oltre che assolutamente superflua. La sua totale incapacità di rendersi conto di ciò che la circonda la rende irritante all’occhio di chi guarda. E la sensazione è che l’illusione di Maggie durerà a lungo, come ha lasciato intendere Martin Henderson a EW:
Maggie inizierà a pensare che Riggs si stia solo trattenendo. In questa farsa di triangolo nessuno crede alle parole dell’altro. Ognuno ha intenzioni diverse e sono tutti imprigionati e nessuno sa chi ama davvero l’altro e per quale motivo. Quindi diventerà davvero molto divertente.
L’ingrediente dolcificante di questa tredicesima stagione è rappresentato certamente dai Japril: dopo aver dato alla loro bambina il nome improbabile di Harriet e aver superato i timori generati dal parto d’emergenza, April e Jackson sono alle prese con i primi giorni da genitori. Dopo tanto patire, sembra quasi strano che siano proprio loro a regalare i pochi momenti di tenerezza presenti in questa stagione, il pubblico dovrà farci l’abitudine. Intanto April che canta Faith nella versione di Sleeping at last è un bel preludio ad una storyline finalmente senza troppi drammi per questa coppia già fin troppo martoriata.
https://www.youtube.com/watch?v=dcL–dR9mVw
Ora le aspettative si fanno importanti: col ritorno di Arizona Robbins nel terzo episodio e l’iter giudiziario del processo che entrerà nel vivo, Grey’s Anatomy 13 è tenuto a regalarci perlomeno un episodio della caratura (per qualità della sceneggiatura e della regia) di Mama Tried, in assoluto il più toccante della scorsa stagione. Lo merita il personaggio di Alex Karev, ormai il migliore rimasto sulla scena dopo l’addio di Cristina Yang, e lo merita il pubblico, che dopo 12 anni continua a premiare Grey’s Anatomy come lo show più visto del giovedì sera negli Stati Uniti.