Josh e Cornelia (Ben Stiller e Naomi Watts) sono una coppia newyorkese quarantenne: lui, filmaker da otto anni alle prese con un documentario sul potere, lei, produttrice che vive nell’ombra del padre Leslie, celebre documentarista (Charles Grodin).
Alle insoddisfazioni personali si sommano quelle di coppia, la mancanza di un figlio e l’inevitabile passare del tempo. Sembrano recuperare slancio grazie all’incontro con i venticinquenni Jamie e Darby (Adam Driver e Amanda Seyfried), pure lui documentarista e lei sperimentatrice di gelati artigianali. La giovane coppia esibisce uno stile perfettamente hipster: il loro grande loft è un meticoloso magazzino vintage, con dischi in vinile, vhs, macchine per scrivere, oggetti appartenenti all’era analogica che i millennials accumulano nella certezza che il semplice possederli li aiuti a strutturare un’identità.
Il regista Noah Baumbach con Giovani si diventa resta nel perimetro che meglio conosce, la New York degli intellettuali, ma allarga le ambizioni. Mette in scena un conflitto generazionale, che parte dalla commedia, con le buffe avventure di due adulti che giocano a fare i ragazzini, e si trasforma in uno scontro in cui si rivelano due modi di essere lontanissimi. Josh è un artista rigoroso, cresciuto coi maestri del “cinema diretto” (vezzosamente citati, Wiseman, fratelli Maysles, Pennebaker): quindi segue un’esasperata idea di autenticità artistica, che però lo ha condotto a un’incompiutezza perenne.
Jamie invece è veloce, sincretistico e superficiale come i suoi coetanei: riusa e frulla con leggerezza idee altrui, prende uno spunto traballante e alla moda (raccontare gli amici di facebook) e lo trasforma in documentario. Privo di sovrastrutture ideologiche e rigore etico, riesce però a esser fattivo. Per Josh la scoperta più dolorosa è che persino Leslie, vate del documentarismo d’autore che sa quanto il successo sia legato all’egocentrismo, asseconda i metodi disinvolti di Jamie. Mentre l’ossessione della purezza è diventata per Josh una scusa sotto la quale si agitano insicurezze, l’incapacità di finire ciò che ha iniziato e di guardare chiaramente in se stesso.
Restando nel gioco generazionale narrato da Baumbach, ci sono due modi per giudicare Giovani si diventa. Assumendo il punto di vista di Jamie, il film è una fotografia perfetta del tempo e del luogo che racconta, del quale ritrae usi, abitudini, consumi, descrivendo con esattezza stili di vita, illusioni, delusioni.
Guardandolo con gli occhi di Josh, invece, il film manca di consistenza e approfondimento, fermandosi alla superficie di categorie, quarantenni e ventenni, troppo tipizzati ed esemplari, con tutte le cose giuste al posto giusto: locali alla moda di Brooklyn, feste per mamme e figli, l’oggettistica vintage filologicamente posizionata. E il finale, che non sveleremo, ha un sapore semplicistico, convinto che la risposta alle ansie della coppia adulta sia una sola.
Non è escluso però che Baumbach abbia voluto anche lui, come il suo protagonista, provare l’ebbrezza della giovinezza: prima disponendo, con la cura dell’autore quarantenne che è, le tessere d’una vicenda dal respiro classico, che parla di tempo, invecchiamento, ispirazione artistica; poi mescolandole con sensibilità hipster, sintetizzando stili diversi, per assaporare lo spensierato approccio alla realtà dei ventenni.