Il ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores è un film di supereroi con il tocco leggero di una favola. Prende quanto può dal modello produttivo hollywoodiano, che ha mezzi e budget imparagonabili: crossmedialità – dal film sono stati già tratti romanzo e graphic novel – e serializzazione, con la sequenza sui titoli di coda che già rimanda al prossimo episodio. Per il resto mantiene il tono di una pellicola di sapore inconfondibilmente europeo: più attenta ad atmosfere e personaggi e meno all’azione, per riflettere in modo non banale sui tormenti dell’adolescenza come passaggio cruciale verso l’età adulta.
Michele (Ludovico Girardello) è un ragazzino timido e introverso, bersaglio dei bulli della sua scuola, che vive a Trieste con la madre poliziotto Giovanna (Valeria Golino). Due compagni di classe spariscono, mentre lui scopre di possedere il dono dell’invisibilità. Il rapimento della ragazzina da cui è attratto, Stella, lo spingerà a mettersi sulle loro tracce, incappando nel mefistofelico psicologo Basili (Fabrizio Bentivoglio), l’immancabile cattivo.
La scelta dell’invisibilità è certo dettata da ragioni produttive, poiché è l’effetto speciale più semplice da realizzare. Ma non è solo questo. “Tra tutti i superpoteri, l’invisibilità è quello più intimo e discreto: non puoi volare, non diventi una torcia umana, non sfondi muri. Puoi solo sparire. Un super potere dell’anima”, ha dichiarato Salvatores. Lungi dal costituire un semplice elemento funzionale all’intreccio, l’invisibilità quindi, con il suo sapore di superpotere intimista, ne costituisce l’asse tematico portante, una metafora ideale per raccontare degli adolescenti fragili e spavaldi.
E infatti il regista si concede anche una sequenza in cui mostra ragazzi con altri poteri dalla resa tecnica più difficile: quasi a dichiarare che il suo non è un ripiego dettato da vincoli di budget, ma una precisa scelta narrativa e di poetica. L’invisibilità agli occhi degli altri è un’angoscia tipica dell’adolescenza: per cui il film assume i contorni di un racconto esemplare, più interiore che epico, su come imparare a gestire le proprie paure e, assumendo consapevolmente il controllo delle proprie potenzialità, trasformare i limiti in punti di forza.
E lo fa con i toni e un intreccio di sapore favolistico, che emerge con chiarezza, vista anche la natura assai meno concitata dell’azione rispetto a un tipico film di supereroi – con i suoi adolescenti alla riscossa Il ragazzo invisibile assomiglia più a un fantasy modello Goonies o Harry Potter. In questo contesto l’invisibilità, per dirla con il vecchio Propp della Morfologia della fiaba, gioca il ruolo del “mezzo magico”, funzione narrativa indispensabile nel percorso di iniziazione e maturazione dell’eroe.
La chiave favolistica non è inedita per Salvatores, apparteneva già, sotterraneamente, a un suo precedente film sull’adolescenza, Io non ho paura. Adesso è tutto più esplicito, con il superpotere che costituisce il tramite esistenziale indispensabile per il superamento della linea d’ombra dell’età. Come ha sempre detto Stan Lee, l’inventore dei supereroi, a un grande potere corrispondono grandi responsabilità: per Michele la grande responsabilità è, come per qualunque adolescente, quella di diventare adulti.
Ho visto il film e l’ho trovato originale anche perchè data la mia età (72) non sono avvezza a film con supereroi. Conoscendo il regista questo film mi ha sorpreso perchè in esso c’è la difficoltà del crescere di un adolescente con le sue fragilià e col confronto di altri adolescenti dal carattere aggressivo. Con l’invisibilità il ragazzo acquista fiducia nelle proprie possibilità spronato anche da un sentimento che si stà sviluppando dentro di sè verso una ragazzina sua coetanea e che ha bisogno del suo aiuto.