Luciana (Paola Cortellesi) ha un salario minimo, un amore altalenante col nullafacente marito Stefano (Alessandro Gassmann), una vita qualunque nella piccola Anguillara con gli amici di sempre. Quando arriva l’agognata gravidanza i piccoli sogni vanno in frantumi: perde il lavoro, Stefano si rivela piuttosto gaglioffo e la “realtà a misura d’uomo” della provincia mostra delle smagliature. La mite Luciana per la prima volta decide di reagire violentemente.
Gli ultimi saranno ultimi di Massimiliano Bruno segna un ambizioso passo in avanti nella carriera dell’attore e regista, che vira sul “sociale” per comporre un ritratto incollato sulla realtà dell’Italia e degli italiani. Con un tono agrodolce che immediatamente chiama in causa la “commedia all’italiana”, eterno convitato di pietra del nostro cinema non appena si profili un storia non ridotta a canovaccio di tipi, barzellette e figurine inerti.
Due le novità strutturali rispetto all’omonimo spettacolo teatrale di Bruno: lì Paola Cortellesi recitava tutti i personaggi, mentre il film ritrova la dimensione corale. E se la pièce si concentrava sul “fattaccio”, il film si allarga a qualcosa che è molto più d’un antefatto, per raccontare un tessuto sociale composito.
Compare Antonio (Fabrizio Bentivoglio), con cui alla fine Luciana s’incontrerà, poliziotto veneto trasferito dopo la morte in servizio d’un collega, di cui si sente responsabile. E c’è, soprattutto, la rappresentazione d’un mondo del lavoro in cui la meschinità è diventata routine, tra tagli al personale, falsi sorrisi, tradimenti, e la malinconica consapevolezza che questa mediocrità rappresenti comunque l’unica possibilità di sopravvivenza.
Non tutto funziona ne Gli ultimi saranno ultimi: una vistosità registica che stona, tra musiche e ralenti enfatici, snodi narrativi prevedibili (il rapporto tra Antonio e la trans Manuela; il finale ottimista, però talmente favolistico da sembrare volutamente falso) e il microcosmo di provincia a tratti bozzettistico. L’insistita gag della radio cattolica che si sente da citofoni e lavandini resta un fondale comico sul quale si dipana la tragedia di Luciana, cosicché commedia e dramma sono giustapposti più che fusi.
Ma lo sforzo di Bruno in direzione di una commedia adulta è sincero, e notevole è la cura nella direzione degli attori, a ricordarci che il nostro è soprattutto un cinema di corpi, volti, espressioni senza la cui evidenza fisica non sarebbe esistita quell’esattissima anatomia del carattere nazionale che è la commedia all’italiana.
Uno dei segreti perduti dei maestri Monicelli, Risi, Comencini, Germi consisteva nella loro capacità di rendersi stilisticamente invisibili mettendosi al servizio degli interpreti, senza per questo uscirne sminuiti come autori. La commedia vive della galleria di ritratti come il barone Fefè di Mastroianni, la ragazza con la pistola della Vitti, Gassman gradasso balbuziente, l’arrampicatore sociale delle incarnazioni sordiane. E la dolente rabbiosa Luciana della Cortellesi è uno dei pochi personaggi autentici del cinema recente, carattere a tutto tondo e non “tipo” convenzionale. Abbiamo bisogno di questo per tornare a raccontare pezzi di mondo verosimili, costruendo un dialogo tra la realtà e l’immaginario che cerca di rappresentarla. Massimiliano Bruno l’ha capito ed è un merito non di poco conto.