Un certo tipo di film americani ci ha fregati. Parlo di quelle classiche commediole in cui c’è un tizio che perde la testa dietro la reginetta del ballo, quella a capo delle Cheerleader, la tipa solitamente bionda, occhi azzurri, lineamente perfetti. Tipa che, in genere, delude clamorosamente il tipo, il protagonista del film, andando a fare qualcosa di sgradevole, spesso tra le braccia del capitano della squadra di Footoball Americano, grande, grosso, muscoloso e intelligente come una ameba. A risolvere il film, che altrimenti sarebbe una tragedia e non una commedia, arriva l’amica del protagonista, fino a quel momento invisibile, o comunque esteticamente piuttosto irrilevante, parlo partendo dai canoni di quel tipo di immaginario lì, salvo poi sbocciare tutto di un colpo in una bellezza di quelle che ti spettinano, magari non altrettanto perfetta, ma decisamente più affascinante. Credo di aver visto, in gioventù almeno, decine e decine di film in cui a un certo punto la tipa in questione scioglie i capelli, toglie gli occhiali, sfila l’apparecchio per i denti e si trasforma nella donna della vita del protagonista.
Ora, mettendo da parte lo strisciante sessismo di queste storielle, non è di quello che voglio parlarvi, è chiaro che un immaginario in cui la ragazza della porta accanto, o la nostra vicina di banco cui non avevamo prestato più di tanta attenzione, si trasforma con il semplice gesto dello sciogliersi i capelli in Charlize Theron potrebbe essere non dico illusorio, perché parliamo di cinema, seppur di cassetta, ma quantomeno fuorviante. Perché poi, nella vita, le cose vanno quasi sempre diversamente. Le Cheerleader vincono e i brutti anatroccoli restano tali.
Ora, immagino vi starete chiedendo perché io stia parlando del plot base di una qualsiasi commediola da college americana nel momento in cui il titolo e la foto di copertina di questo articolo indica Gigi D’Alessio come oggetto del mio scrivere. Bene, se ve lo state chiedendo significa che non siete soliti leggere quello che scrivo, e ci sta, ma soprattutto che sapete poco o niente di come funzionano le cose nel music business in Italia, anche in quella porzione di music business in cui si muove ormai da parecchi anni Gigi D’Alessio.
Adesso ci arrivo.
Mi sono avvicinato alla musica di Gigi D’Alessio qualche anno fa. L’ho fatto accettando in qualche modo una sorta di sfida che lo stesso Gigi mi ha lanciato, contattandomi su Whatsapp e invitandomi a ascoltare con attenzione la canzone che di lì a poco avrebbe portato al Festival della Canzone Italiana, La Prima Stella. La sfida non era tanto quella di ascoltare la canzone, lo avrei fatto in tutti i casi come accade in genere con tutte le canzoni che partecipano al Festival, quanto di ascoltarla senza nessun pregiudizio. Chiaramente Gigi non mi ha detto qualcosa del genere, perché approcciare qualcuno che non conosci sottintendendo che agisce mosso da pregiudizio non sarebbe stato un grande approccio, ma il semplice chiedermi di ascoltare la sua canzone, detto da uno che in qualche modo aveva contribuito a scrivere la storia della musica leggera italiana degli ultimi anni mi ha colpito, inducendomi proprio a fare quello che il non detto chiedeva, riporre i pregiudizi. Perché io, come credo la totalità di coloro che si occupano di musica, specie di coloro che lo fanno come critici musicali, non tanto come giornalisti musicali, confesso di aver sempre seguito con distrazione la sua carriera, un po’ come il tipo dei film di cui sopra ha sempre guardato alla ragazza coi capelli legati e l’apparecchio per i denti, includendolo senza una ragione precisa in un angolo che comprendeva altri artisti pop di cui non mi interesso, non tanto per spocchia, quanto perché, credevo e credo, non si rivolgano né a me né ai miei lettori, e anche perché ho coscienza che la vita è una sola e il tempo che posso dedicare a musiche che non mi interessano è davvero poco.
Ho sbagliato, e l’ho capito sin da subito.
Perché proprio quella canzone, La Prima Stella, dedicata alla mamma scomparsa quando era ancora giovane, dava chiare indicazioni sulla levatura compositiva del nostro. Sapete, sempre che sappiate di cosa mi occupo generalmente, quanto io stia tentando strenuamente di oppormi a un modo di comporre musica che non prenda in considerazione tutti gli aspetti che in genere prevede la composizione, quindi non solo ritmo e melodia, ma anche armonia e dinamica. Bene, andandomi a ascoltare le canzoni di Gigi, non solo quelle del suo ormai penultimo album, in cui La Prima Stella era incluso, ma anche quelle del passato, anche di quel suo passato tanto discusso di quando era uno dei primi autori includibili nel genere neomelodico, ho scoperto un autore capace di scovare melodie che, non fossero state cantate in napoletano, e qui immagino che un po’ di spocchia in chi scrive di musica, ci sia in effetti stata, e soprattutto cantate dichiaratamente per un pubblico popolare, sarebbero magari state trattate con lo stesso rispetto che da anni si tributa a un Claudio Baglioni, grande artista che in effetti con Gigi condivide la capacità di scrivere brani melodici fuori dal tempo. Di più, ho scoperto che Gigi D’Alessio ha una cultura musicale davvero elevata, non solo come melodista, e il fatto che abbia deciso di metterla a disposizione della musica leggera invece che di altre forme più elevate è stata una scelta che in qualche modo ha pagato negli anni, non certo in termini di pubblico, che sempre lo ha seguito con amore, ma sicuramente di critica, appunto.
Lo scrivo proprio questa settimana, quella del Club Tenco, consapevole che mai uno come Gigi sarà invitato in quel contesto, mai verrà preso in considerazione un suo album per le Targhe Tenco che in quel contesto vengono assegnate, solo perché a cantare le canzoni di Gigi D’Alessio è Gigi D’Alessio, e non, per dire, un Liberato qualsiasi.
Liberato, dirà qualcuno? Non per chiedere chi Liberato sia, ovviamente, ma per chiedere conto di un parallelismo tra il cantante nazionalpopolare di Non Dirgli Mai e quello ultracool di 9 Maggio.
Sì, Liberato. Perché se a cantare una delle dodici tracce, toh, diciamo delle undici tracce nuove di Noi Due, nuova fatica discografica di Gigi D’Alessio, fosse stato Liberato, o lo stesso Baglioni, immagino che la faccenda sarebbe cambiata, eccome.
Non lo dico per buttare un’altra polemica nel calderone del Tenco, non credo sia necessario, ma con quel rammarico che si vive quando ci si accorge di una ingiustizia, tanto più da una ingiustizia da parte di chi si ritiene in qualche modo difensore del tempio.
Ora, oggi sto provando a invitare a fare quel che, dopo quel contatto su Whatsapp da parte di Gigi D’Alessio, ho fatto io, riporre i pregiudizi da parte, mettersi comodi e ascoltare le sue canzoni.
Noi Due è una raccolta che mette insieme un po’ tutte le sfaccettature del Gigi D’Alessio cantautore, perché questo Gigi D’Alessio è, amici del Tenco, un cantautore, uno che sa comporre da autore, sa interpretare da autore, che punta alla complessità per raggiungere una comunicazione semplice, un po’ come un Paolo Bonolis che fa intrattenimento popolare usando un linguaggio che non scade nel semplicistico. Le sue canzoni sono piccoli gioielli melodici, in cui le progressioni armoniche mettono in difficoltà musicisti d’esperienza ma che arrivano all’ascoltatore come qualcosa di naturale, di semplice, appunto.
Se è vero, e è vero, che la melodia è il nostro principale patrimonio musicale, e la melodia napoletana, con le sue scale, i suoi riferimenti alla cultura spagnola e araba, la sua malinconia, ne è sicuramente elemento portante, non possiamo non riconoscere in Gigi D’Alessio un talento cristallino nel portare avanti oggi un discorso che, altrimenti, sarebbe rimasto fermo ai classici, certo immortali ma non contemporanei.
Sentite Non Solo Parole, brano che lo vede duettare con una Giusy Ferreri finalmente fuori dalle logiche del tormentone estivo, o Una Bellissima Storia D’Amore, per non dire della versione rinnovata in compagnia della London Symphony Orchestra di Non Dirgli Mai, canzone ormai ventenne, per capire di cosa sto parlando.
E sentite la sorprendente L’Ammore, con una Fiorella Mannoia mascolina e partenopea, con una progressione armonica magistrale, per capire il perché un grande artista come Enzo Avitabile non manchi mai di tributargli la sua stima e il suo affetto, come del resto in passato facevano anche altri grandi artisti come Pino Daniele o Lucio Dalla.
Ecco, come è mai possibile che a Gigi D’Alessio riconoscano talento e meriti grandi artisti apprezzati dalla critica e non riescano a riconoscerglieli proprio i critici e i giornalisti musicali?
Perché, forse, più che un pregiudizio è proprio una sorta di spocchia assai radicata a aver portato verso una sorta di ostracismo, quell’ostracismo che lo vede, appunto, assente dal Club Tenco, dove invece quest’anno non mancano artisti decisamente minori, in ambito di musica leggera, quali un Achille Lauro o una Levante.
Noi Due è una sorta di album manifesto, nel quale Gigi D’Alessio rivendica, con la leggerezza di chi ha fatto della musica la propria vita, un ruolo importante proprio nella nostra musica italiana, e per farlo, lui sì contemporaneo, esibisce anche aspetti che neanche volendo gli avremmo attribuito. Di qui i duetti non tanto con Luché, suo conterraneo e in qualche modo debitore nei suoi confronti, come buona parte di chi fa musica a Napoli, quanto Guè Pequeno e Emis Killa, consci che anche sul loro fronte, quello urban, Gigi sia un King.
Certo, da amante della melodia, lo preferisco nelle ballad, oltre a quelle citate ci metterei anche Cosa Vorresti Davvero e Mentre A Vita Se Ne Va, più che quando si dimostra uomo dei nostri giorni con tanto di autotune, ma è evidente che nel momento in cui un artista di levatura si trova, dopo tanti anni, a dover ancora dimostrare qualcosa, gli sia piaciuto dimostrarsi poliedrico oltre che capace. Proprio Mentre A Vita Se Ne Va, struggente fotografia dell’ultima fase della vita, lo dico sapendo quello che dico, capace di reggere il confronto con Cammina Cammina di Pino Daniele, sempre che le canzoni debbano reggere confronti, un piccolo grande brano, un capolavoro, dovrebbe essere premiato da un qualche premio che si occupi di canzoni d’autore.
Senza se e senza ma.
Proprio per questo ho chiamato in causa il Premio Lunezia, che da quasi venticinque anni si occupa di evidenziare il valore letterario dei testi, invitandoli a prendere in considerazione un premio a riguardo nell’edizione autunnale che avrà luogo nelle prossime settimane. In modo particolare ho suggerito loro di prestare particolare attenzione a due delle canzoni, L’Ammore e Mentre A Vita Se Ne Va, e sono felice di potervi annunciare in anteprima che in effetti quest’anno, il 7 novembre a La Spezia, il Lunezia premierà Gigi D’Alessio.
Non posso che rallegrarmene, perché Noi Due è l’album che un Claudio Baglioni da anni non riesce a fare, avrei potuto dire, ma Gigi D’Alessio è Gigi D’Alessio e questa faccenda del paragonarlo anche in positivo a altri artisti credo abbia fatto il suo tempo.
Gigi D’Alessio non è un Baglioni in fieri.
Non è neanche un Liberato più pop.
È un grande artista, capace di scrivere canzoni popolari che vogliono essere canzoni popolari, figlie di una cultura partenopea che proprio al popolo si è sempre rivolta.
La critica deve riconoscerglielo, premiandolo, certo, come inizierà a fare il Lunezia fra qualche giorno, ma più che altro iniziando a tributargli quel rispetto che merita.
Comincio a farlo io, ora.