La percezione dopo l’ascolto di Saviors dei Green Day è unanime, anche se non tutti trovano le parole per raccontarla. Il 19 gennaio è stato il giorno della nuova release del power trio di Berkeley, anticipata da The American Dream Is Killing Me, Look Ma No Brains e Dilemma. Il disco restituisce una squadra di Billie Joe Armstrong in piena forma, con la voce del frontman ancora vicina a quella di un liceale che al college si faceva venire quegli attacchi di panico che un giorno gli avrebbero fatto scrivere Basket Case.
Va detto che dei Green Day è ammirevole la coerenza. Tante volte hanno sperimentato spiazzando i fan (Nimrod, Minority), ma l’hanno sempre azzeccata. Non esiste, di fatto, l’album peggiore della band. Piuttosto esiste quello meno catchy, ma è pacifico che siano due i momenti in cui hanno dato il massimo. Parliamo proprio di Dookie (1994) e American Idiot (2004), due picchi fondamentali della loro carriera che qui, in questo disco, trovano il terzo capitolo. Diciamo “tacitamente”, nel titolo, perché nei fatti i Green Day non hanno mai parlato di trilogia, eppure in Saviors c’è qualcosa che con Dookie è iniziato per continuare con American Idiot. Qui, in Saviors, ritroviamo appunto l’ironia con la quale Armstrong e soci sparano dritto sulla fronte dei repubblicani – The American Dream Is Killing Me, per l’appunto – e gli ottavi del charleston di Tré Cool che quando accelera sembra un martello pneumatico – Look Ma, No Brains! – ma anche il nuovo spirito rockabilly del frontman che è tutto in Dilemma.
Il merito è senz’altro di Rob Cavallo, il produttore che ha già lavorato con la band in American Idiot ma porta con sé una collaborazione con i My Chemical Romance. Ecco, tutto torna. Chi si aspetta un disco pop punk, però, si dovrà ricredere. Vero è che The American Dream Is Killing Me, Look Ma No Brains, 1981 e One Eyed Bastard (che vince per l’estrema aggressività e il riff strappa-pogo) pezzi carichi di un’adrenalina che te se porta, ma Saviors è anche il disco della quasi grunge Bobby Sox che nell’intro ti fa sentire la mancanza della voce di Kurt Cobain; allo stesso tempo, nella tracklist troviamo anche la super power ballad Goodnight Adeline.
C’è un po’ di garage rock in Corvette Summer, inoltre, e anche in Suzie Chapstick. In Father To A Son c’è il pezzone acustico strappalacrime e strappastorie, un momento inevitabile dai tempi di Good Riddance (Time Of Your Life). Si ritorna alle good vibes con la title-track per poi precipitare con Fancy Sauce, che chiude il disco con atmosfera e lentezza, e tanta malinconia. Tutto qui? No, ovviamente.
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Soffermiamoci su Strange Days Are Here To Stay, perché? Il pezzo si apre con la voce di Billie Joe Armostrong accompagnata dal muting della chitarra, fino all’esplosione in cui arrivano gli altri strumenti. Cosa ci ricorda? Esatto, proprio lei. Con questo pezzo Saviors si consacra come il disco che chiude un cerchio. Non un concept album come American Idiot e 21st Century Breakdown, non un’opera rock che strizza l’occhio agli Who, piuttosto il disco di una maturazione acida di una band pop punk che si ritrova ad affrontare il difficile rapporto con un mondo in cui tutti sono interconnessi e con questo pretesto instaurano rapporti tossici, molto tossici.
Saviors dei Green Day ci riporta per un attimo al mondo là fuori: lo fa con Living In The 20’s, raccontando la strage al supermercato King Soopers a Boulder (Colorado), quando il 21enne Ahmad Al Aliwi Al-Issa ha sparato e ucciso dieci persone. Un altro mass shooting, un’altra canzone che ci invita alla memoria e ci insegna come gli americani vivono gli americani.