C’è Ancora Domani: Cortellesi, la forza del passaparola e del cinema popolare

Non si arresta, anzi cresce il successo dell’esordio alla regia della popolare attrice romana. La quale ha firmato un film nel quale il messaggio è fin troppo esemplare. Però onesto, sincero, commovente

C’è Ancora Domani

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È impetuoso il risultato al botteghino di C’è Ancora Domani. L’esordio alla regia di Paola Cortellesi, che ne è anche interprete principale, aveva ottenuto un risultato significativo, trainata dalla festa del Cinema di Roma dove ha vinto alcuni premi, già all’uscita, nel primo weekend alla fine di ottobre, con oltre un milione e seicentomila euro. È stata però la seconda settimana a segnare un’impennata clamorosa e in controtendenza, che adesso, dopo i risultati di una eccellente domenica (1 milione e quattrocentomila euro), ha portato il film a superare la soglia, per il cinema italiano davvero inedita di questi tempi, dei sette milioni. E l’effetto passaparola non sembra destinato a fermarsi.

Fa piacere, in primo luogo, per la Cortellesi, che è certo una delle ragioni principali del successo di C’è Ancora Domani, motivato anche dalla coerenza del suo percorso professionale. E dalla sensazione, che traspare da questo suo film come da altre sue cose precedenti realizzate soprattutto in coppia col marito regista Riccardo Milani – l’architetta che si barcamena in un mondo di professionisti maschile e maschilista di Scusate Se Esisto!, la borgatara di Come Un Gatto In Tangenziale; di entrambi è stata cosceneggiatrice – di essere riuscita negli anni a delineare un suo personale ritratto di donna moderna, che ricerca un’autonomia (emotiva ed economica) puntando non su arrivismo e ambizione ma sulla competenza, sulla connaturata gentilezza da non scambiare per fragilità, su di una saldezza morale che sa giovarsi dell’ironia come approccio alla vita, senza dimenticare un senso di sotterranea frustrazione che, di fronte alla precarietà della realtà di oggi, può condurre anche a scelte estreme (la protagonista di Gli Ultimi Saranno Ultimi di Massimiliano Bruno, che aggiunge un ulteriore tassello, più cupo, al suo personaggio).

Queste qualità, avvalorate nel tempo, danno sostanza e credibilità allo sguardo non privo di una pacata ambizione di C’è Ancora Domani che, sulla base della sceneggiatura firmata dalla Cortellesi insieme a Giulia Calenda e Furio Andreotti, sceglie la misura del film storico, ambientando la vicenda nell’immediato secondo dopoguerra. Delia è una donna infelice, madre di tre figli, con lo sgradevole suocero Ottorino a carico (Giorgio Colangeli) e un marito, Ivano (Valerio Mastandrea), padre padrone manesco che non perde occasione per umiliarla e zittirla. Lei subisce e si industria come può, nella condizione di indigenza familiare,  per far quadrare il bilancio, un po’ infermiera, un po’ rammendatrice e lavoratrice saltuaria, col sogno di regalare alla figlia Marcella (Romana Maggiora Vergano), fidanzata al, pare, affettuoso figlio di un commerciante, la felicità che a lei è preclusa.

C’è Ancora Domani descrive inoltre un piccolo mondo brulicante da dopoguerra cadenzato dall’uso del dialetto, coi mercatini e le beghe tra comari, attraverso il quale, vista anche la scelta di girare in bianco e nero – la fotografia puntuale di Davide Leone, senza esibizionismi autoriali – emerge immediatamente l’omaggio alla nostra tradizione cinematografica. Il neorealismo in prima istanza, evidente per esempio nel personaggio del militare americano di colore che fa amicizia con Delia, che rimanda subito a figure iconiche di quella stagione, ovviamente Paisà di Rossellini (1946), ma anche il John Kitzmiller protagonista di Vivere in Pace (1947) e Senza Pietà (1948). Ma non va dimenticato come riferimento quel cinema popolare che del neorealismo è stato considerato un antesignano, come in Campo de’ Fiori (1943) con Fabrizi e la Magnani, che già negli anni della guerra tratteggiava, tra commercianti di strada e vetturini, un mondo più realistico di gente comune e vita quotidiana.

Ed è palese, soprattutto nella prima scena del risveglio della famiglia al mattino con l’indaffaratissima Delia a occuparsi di tutti tranne che di sé stessa, la citazione del bellissimo piano sequenza d’apertura di Una Giornata Particolare (1977). Il film di Ettore Scola è, probabilmente, il riferimento più diretto di C’è Ancora Domani, per la volontà di fare una ricognizione sul passato nutrita però dalle questioni dell’oggi. Che vertono, nel racconto della Cortellesi, sulla condizione della donna in una società pesantemente maschilista. Affiora dagli sguardi interrogativi della figlia Marcella che vede sgomenta la madre subire i maltrattamenti del padre la questione di un modello “culturale” inaccettabile – gli atroci insegnamenti di sor Ottorino al figlio su come vada trattata una moglie, ma anche il modo in cui, pure in famiglie di ceto più elevato, le donne vengano sistematicamente sminuite e zittite.

Se vogliamo è anche qui il limite maggiore del film, con la sua struttura a tesi piuttosto didascalica: già al primo risveglio, a definire l’assioma intorno a cui ruota tutta la vicenda, Ivano assesta una sberla alla moglie del tutto immotivata. Il che scolpisce in maniera esasperata ruoli e caratteri – tra un marito manesco e una moglie mortificata -, indossando i quali sia Mastandrea che la Cortellesi mostrano qualche tentennamento, per la rigidità granitica di personaggi senza sfumature. Così prima che alle interpretazioni è allo stile che si affida il film per trovare una modulazione dei toni: tra momenti da commedia o sentimentali, negli incontri di Delia con l’unica amica che la capisce (Emanuela Fanelli) e l’unico uomo perbene che le prospetta un’altra vita (Vinicio Marchioni); o nello, stonato, tentativo di commistione tra violenza domestica e coreografia da musical, e in generale nell’uso eclettico di musiche sia d’epoca che contemporanee (Silvestri, Dalla, Concato), a conferma del discorso sintonizzato soprattutto sull’oggi.

La didascalicità però è anche la misura dell’approccio volutamente “semplice” di un film che si mantiene fermo su una dizione popolare ed esemplare, come risulta palese dal finale, costruito come un colpo di scena consapevolmente “didattico” – non lo riveleremo. Il limite è però anche il punto di forza del film: così non sorprende che C’è Ancora Domani venga già indicato come perfetta visione da cineforum per scolaresche, per la chiarezza del messaggio sulla violenza contro le donne che al contempo si fa ritratto d’ambiente storico, magari nutriente per nuove generazioni che poco o nulla di quel tempo sanno.

Certo resta il sospetto, poiché è proprio l’eccessiva semplicità di una visione del mondo tagliata con l’accetta a costituire un problema essenziale dell’atroce modello di comportamento di certi maschi di un tempo e di sempre, che per sconfiggerla bisognerebbe opporvi una interpretazione della realtà più articolata e sfaccettata, e non invece quella tutto sommato elementare di C’è Ancora Domani. Ma qui, appunto, credo intervenga il dato della sincerità alla base del film, capace di conquistare un pubblico in continua espansione. Una sincerità il cui segreto è nella chiarezza dell’epopea popolaresca del racconto; e anche nella credibilità della stessa Cortellesi, che sa far lampeggiare nello sguardo dell’eroina umiliata e offesa Delia uno spirito quietamente indomabile, a cui spettatrici e spettatori, con un velo di commozione, finiscono naturalmente per aderire.

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