The Whale, le seconde occasioni di Brendan Fraser e il cinema sensazionalistico di Aronofsky

Un uomo alla deriva, traumi incancellabili, la forza dell'amore paterno, la Bibbia e Moby Dick. Un film decisamente sopra le righe. Che raccoglie tre nomination all'Oscar e rilancia la carriera del protagonista

The Whale

INTERAZIONI: 178

Quel che più conta è essere sinceri: questo insegna Charlie (Brendan Fraser) agli studenti del suo corso di letteratura inglese. E questa sembra essere la ricetta di Darren Aronosfky per il suo The Whale, già in concorso alla Mostra di Venezia e dal 23 febbraio, nelle sale italiane, nel momento sulla carta più propizio, nel bel mezzo della stagione dei premi per il cinema. E proprio Fraser, grazie a questo ruolo che gli ha ridato visibilità dopo anni di difficile anonimato, è in prima fila tra i favoriti quale attore protagonista, categoria in cui ha già vinto ai Critics Choice Awards, con la possibilità di ripetersi sia ai SAG (che si svolgeranno domenica prossima) che agli Oscar.

L’apprezzamento deriva dall’eccezionalità del personaggio al centro di The Whale, trasposizione della pièce omonima di Sam D. Hunter, anche sceneggiatore del film di Aronofsky. Charlie è un uomo sfiduciato, che dopo la tragica scomparsa del suo compagno Alan, per il quale aveva lasciato la moglie Mary e la figlia di otto anni Ellie, si è lasciato andare ingrassando fino a trecento chili (naturalmente l’attore è dovuto ricorrere alla prostetica per interpretarlo). Abbandonata l’università, ormai gli è possibile solo tenere dei corsi on line, nei quali però evita di mostrarsi ai suoi studenti.

L’unica persona che ancora si preoccupa per lui è la sorella di Alan, l’infermiera Liz (Hong Chau, anche lei candidata all’Oscar), consapevole del fatto che Charlie è giunto a un punto di non ritorno. Lo sa anche lui. Per questo, prima di quella che sembra la fine inevitabile, ha intenzione di ricostruire il rapporto con Ellie (la Sadie Sink di Stranger Things), adolescente dal carattere a dir poco spigoloso. Nel frattempo, si presenta a casa sua anche Thomas (Ty Simpkins), giovane cristiano evangelico che vorrebbe salvare l’anima di Charlie col conforto della Bibbia.

È palese la derivazione teatrale di The Whale, che a parte brevi flashback si svolge tutto nell’appartamento del protagonista, quasi sempre confinato sul divano, mentre gli altri personaggi si alternano tra entrate e uscite tipicamente da palcoscenico. Aronofsky rispetta l’impianto statico della pièce, con piccoli movimenti di camera che costituiscono l’unico elemento di ammorbidimento in una messinscena cupa, pesante e claustrofobica (il formato è in 4:3) come la vicenda, che non offre spiragli rinfrancanti.

Aronofsky dicevamo, segue la lezione di (presunta) sincerità cara al Charlie insegnante, mostrando la lettera di un dolore non rimarginabile, ricorrendo a uno stile enfatico che non si risparmia alcun effetto (o effettaccio). Nella primissima scena di The Whale, il protagonista è mostrato senza eufemismi mentre si masturba guardando un film porno. E insistite sono le scene in cui lo si vede mangiare con sgradevole voracità, o nei suoi faticosi movimenti – la figlia, con ricercata cattiveria, pretende che lui si alzi in piedi sulle sue gambe, e Charlie, disposto a tutto per lei, ci prova, con risultati immaginabili.

Non è meno didascalica la costruzione psicologica dei personaggi, dietro i quali c’è l’immancabile trauma da manuale di sceneggiatura. Per Charlie si tratta della morte di Alan, che si riverbera anche su Liz. Per moglie e figlia l’evento luttuoso è l’abbandono del marito e padre: Mary è dedita alla bottiglia, Ellie è sigillata in un risentimento che l’ha resa di cattiveria quasi diabolica (ne risente l’interpretazione di Sadie Sink, sempre sulla stessa nota esasperata). E ovviamente anche Thomas nasconde retroscena complicati.

Aronosfky e Hunter aggiungono alla ricetta pure ingombranti riferimenti letterari, che ruotano intorno alla Bibbia e Moby Dick. Charlie è ossessionato dal romanzo di Melville, e dall’interpretazione datane in un compito che lui rilegge continuamente, perché in quelle parole di verità e sincerità trova gli unici attimi di serenità. “Questo libro mi fa pensare alla mia vita”, scrive l’ignoto studente – a un certo punto ovviamente si capirà chi è. È quel che pensa anche Charlie, che in Melville ritrova sé stesso, riconoscendosi nella balena di cui riproduce grottescamente la stazza, in Achab di cui ripercorre le ossessioni, in Ishmael e Queequeg, che secondo alcune interpretazioni costituirebbero un esempio letterario precoce di coppia omosessuale, su cui il protagonista proietta la sua vicenda personale.

Al netto degli spunti libreschi nobilitanti, però, resta la sostanza di The Whale, fatta di una materia pesantemente melodrammatica cui Aronofsky aggiunge l’alto volume delle scene madri intrise di patetismo, che hanno pure l’ambizione di ribaltare il tragico in un ottimismo un po’ hollywoodiano un po’ spiritualeggiante, in cui il martirio sacrificale vissuto sulla propria carne con la rassegnazione paziente di un santo permette a Charlie di sublimare le colpe e ribaltarle in grazia.

Col che si finisce più o meno dalle parti di The Wrestler, precedente film di Aronofsky con cui The Whale ha più di una somiglianza. Non a caso anche lì il protagonista era un attore considerato fuori dai giochi, Mickey Rourke, che dava vita a un’interpretazione di sfiancante adesione fisica, tutta giocata sull’autodistruzione del personaggio (e sulla vocazione autodistruttiva dell’attore stesso, con una sovrapposizione tra persona e personaggio certo più estrema di The Whale). Ma è difficile non percepire in questa logica una nota di morbosità, di sfruttamento sensazionalistico, che è probabilmente una delle ragioni alla base dell’apprezzamento anche del nuovo film e soprattutto del suo interprete Brendan Fraser. Il quale forse ne ricaverà un’insperata “seconda occasione” per la carriera: un perfetto lieto fine anche fuori della finzione cinematografica, nel segno di un grande mito della cultura americana.

Continua a leggere su optimagazine.com