Mi pare fosse il grande Peter Ustinov a mettere in guardia dai film con animali e bambini. Fosse solo quello: in Non Così Vicino, oltre a due simpatiche frugolette e un gatto spelacchiato in cerca di affetto, ci sono malati affetti da Parkinson, donne incinte immigrate, incidenti d’auto e aborti spontanei, a comporre un tragico fondale che faccia ancora più risaltare per contrasto il dolceamaro, molto più dolce che amaro, elogio della bellezza della vita nonostante tutto.
Certo il regista, che non è uno sprovveduto, Marc Forster (soprattutto quello del bel Monster’s Ball), per evitare di naufragare nella melassa si assicura la presenza del migliore attore di lingua inglese della sua generazione, Tom Hanks, uno dei pochi a conoscere ancora il segreto dello stile di recitazione classico, in cui il mestiere non fa mai velo alla naturalezza, come accade talvolta ad interpreti magistrali come Leonardo DiCaprio, Daniel Day-Lewis o Christian Bale, nei quali è difficile non cogliere l’ingombrante peso di una tecnica prodigiosa.
Tom Hanks è lineare, essenziale, “trasparente”: ed è così che affronta il ruolo di Otto, questo vedovo metodico e scorbutico, che nel suo piccolo quartiere controlla ogni cosa affinché tutto fili secondo le regole che lui adora. È un uomo incattivito Otto, che ha pure deciso di farla finita, provando ripetutamente e goffamente a suicidarsi, perché troppi sono i bocconi amari che ha dovuto ingoiare nella vita – il più amaro di tutti la scomparsa della moglie che va teneramente a trovare al cimitero – e che gliel’hanno resa indigesta, a lui che, lo si evince dai flashback in cui lo si vede giovane (e lo interpreta il figlio Truman Hanks) aveva negli occhi una sconfinata fiducia nel mondo. Ma nella vita si finisce anche per incespicare in ciò che l’esistenza può rianimarla: a partire da una vicina latinoamericana (Mariana Treviño) venuta ad abitare nel quartiere con un marito pasticcione ma gentile e due adorabili bimbe, che costringono Otto, suo malgrado, a recuperare il contatto con la realtà.
In Non Così Vicino (il titolo originale è A Man Called Otto) la scelta di Tom Hanks era quasi obbligatoria: perché il film è il remake di un fortunato titolo svedese, Mr. Ove (a sua volta tratto da bestseller di Fredrik Backman L’uomo che metteva in ordine il mondo, tradotto in trenta lingue) piaciuto moltissimo negli Stati Uniti, dove ottenne pure due nomination all’Oscar. E nell’originale risaltavano evidenti i tratti da Forrest Gump del protagonista, ingenuo fino all’inconsapevolezza, preso per mano dalla donna che gli regala il miracolo di amarlo senza riserve, facendone emergere bontà e dolcezza.
Paradossalmente proprio questo elemento poi è il tratto di maggiore distanza tra Non Così Vicino e Mr. Ove, perché l’Otto di Tom Hanks è un uomo deluso ma tutt’altro che naïf. E se una cifra più personale Marc Forster e lo sceneggiatore David Magee cercano di inserirla nella loro versione, essa riguarda una riflessione (moderatamente) amara su di una crisi tanto sociale che economica e morale del paese. Non è un caso che il film cominci dal pensionamento coatto del protagonista, vittima di mobbing nella sua azienda e velocemente scaricato. Come scaricata è l’anziana coppia di vicini di Otto, malati, che il figlio pensa bene di far sloggiare mettendosi d’accordo per la vendita con la rapace agenzia immobiliare che entra sin nella privacy degli inquilini.
Sono le piccole note attualizzanti di una versione che cerca una sua prospettiva autonoma, come pure tramite l’inserimento del personaggio di un ragazzo transgender inviso a molti e dall’inevitabile riferimento ai social media (sui quali Non Così Vicino è furbescamente ecumenico: certo c’è tanta superficialità, però a saperli usare…).
Ciò non toglie che il film ripeta i difetti del suo predecessore, entrambi troppo desiderosi di salvare il salvabile, e anestetizzare il dolore affogandolo in un impasto di buoni sentimenti e di epifanie del quotidiano (dì lì i ruffiani controluce sparsi qua e là, che ammorbidiscono e illanguidiscono, stemperando le rabbie). Detto questo, vale il principio di sempre. E cioè che tra un brutto film americano e un brutto film europeo quello americano sarà sempre migliore, nonostante tutto meno artificioso, più credibile e sentito. Naturale come la recitazione di Tom Hanks.