Invoco la clemenza della corte. Oggi è il Blue Monday. Una cazzata buona per farci su articoletti di spalla, certo, o per viralizzare qualche canzone triste sui social, ma di fatto è un lunedì di gennaio, le vacanze estive talmente lontane che uno si volta alle spalle e fa prima a vedere quelle passate, su Milano c’è una coltre di nebbia come non si vedeva da non so quanti anni, e, non bastasse, ci sono gli ascolti dei brani sanremesi in Rai.
Siccome però sono pur sempre un ghepardo, decido di non farmi fregare dagli input esterni, e mi dico, approfitta di un impegno fuori casa, ormai gli impegni fuori casa sono rari, vacci a piedi, così smaltisci pure un po’ di grammi in eccesso. Così faccio. Da casa mia a Corso Sempione sono 7,7 km, Google Maps, che pensa io sia di passo veloce, dice che ci metterò un’ora e quarantadue minuti. Parto quindi per tempo, la nebbia a farmi da coperta.
Arrivo con una ventina di minuti d’anticipo, ma siccome sono a dieta, poi uno dice i Blue Mondays, non mi fermo a prendere un caffè, visto mai che mi venga la tentazione di farmi un cornetto alla crema pasticcera. Mi presento al casottino della Rai, vagamente perplesso dal non vedere nessuno dei sedicenti miei colleghi, specie quelli che se non stanno in prima fila sono vittime di convulsioni nervose. Chiedo alle due ragazze che stanno oltre il vetro, e dai loro sguardi capisco che qualcosa non quadra. Neanche il tempo di sentire la risposta che ho una specie di flash, quindi esco e chiedo conferma. Sulle prime penso di aver sbagliato il giorno, ma sono abbastanza sicuro che gli ascolti siano oggi. Quindi capisco di aver semplicemente sbagliato location, gli ascolti sono sì in Rai, ma agli studi di Mecenate, praticamente dall’altra parte della città. Blue Monday, appunto. Decido di non andare. Arrivarci coi mezzi è praticamente impossibile, ci metterei oltre un’ora, vanificando il mio essere arrivato in anticipo e arrivando comunque troppo tardi. Andare in taxi, a Milano, è peggio che sperare di essere tirati su dal Tardis di Doctor Who, vanne a trovare uno. Torno verso Cadorna, allungando la striscia di chilometri fatti a piedi, ma mentre cammino sale in me la tentazione di tornare verso casa, prendere la macchina e andare comunque, le canzoni sono ventotto, e notoriamente gli ascolti Rai sono la sagra delle pause, vai di caffè, tartine, scambi colloquiali con Amadeus, Coletta e gli altri, per chi non abbia difficoltà nel farlo, anche coi colleghi.
Ok, è deciso, ci proverò.
Torno a casa, prendo la macchina e vado verso Mecenate 76, conscio che trovare parcheggio è praticamente impossibile, da quelle parti. Invece trovo un posto a neanche duecento metri dall’ingresso, era destino.
Arrivo a quel casottino, dove neanche mi chiedono i documenti, la mia faccia è leggenda, mi fanno entrare, mi danno i testi su cui è appuntato il mio nome, tutti i testi dati agli addetti ai lavori nel giorno degli ascolti sono personalizzati, così che se uno se li voglia portare via venga immediatamente sgamato, entro e mi siedo, come sempre, all’ultima fila. La scena è questa, c’è la gradinata gremita, con tutti i miei sedicenti colleghi, qualche ufficio stampa, qualche discografico, qualche dirigente Rai. Poi c’è quello che è il palcoscenico degli ascolti, dove è posizionata una consolle da cui partono le canzoni, Massimo Alberti dietro i simbolici piatti, e al suo fianco Amadeus, Re Mida.
Quando entro io Amadeus ha appena lanciato il brano di Giorgia.
Ora, se io non avessi sbagliato meta, aiutato, va detto, dal destino, dalla mia distrazione, dal fatto che io abbia detto a una certa persona “allora ci vediamo in Sempione” e questa determinata persona non mi abbia avvisato del cambio di location, persona che ovviamente è in Mecenate, a questo punto avrei ascoltato tutte le ventotto canzoni in gara, e probabilmente avrei anche potuto fare le classiche pagelline del primo ascolto. Poi, è chiaro, non le avrei fatte, o almeno non avrei dato i voti, scelta presa anni fa, perché un ascolto fugace non è sufficiente, e perché i voti poi influenzano i bookmaker, e un ascolto veloce che influenza i bookmaker è un controsenso, credo. Però io oggi ho sentito solo venti delle ventotto canzoni in gara, quindi le pagelle non avrei potuto farle comunque, o le avrei potute fare, perché diciamo che tendo a non seguire per filo e per segno la logica e il buonsenso, quando scrivo, ma non le faccio, per i motivi di cui sopra. Mi limiterò a dire qualcosa su tutti i brani ascoltati, qualcosa di più su alcuni di questi brani, e a questo punto aggiungerò anche il passaggio, necessario, che vuole che io spieghi che in effetti questo lungo cappello è parte portante di questo articolo, non un lungo cappello fine a se stesso. Nel senso, volevo simulare il senso di smarrimento provato per aver ascoltato venti canzoni in due ore, una piccolissima pausa in mezzo, la Rai se la passa male e, per il dolore dei miei sedicenti colleghi, maestri indiscussi dei buffet, oggi non ha passato il pranzo. Di più, ha deciso che gli ascolti sarebbero terminati per ora di pranzo, una canzone via l’altra, in fondo che saranno mai ventotto canzoni?
Esatto, che saranno mai? Perché, veniamo agli ascolti, l’idea che mi sono fatto da questo fugace ascolto è che il numero dei brani in gara non sia giustificato dal valore dei brani, alcuni notevoli, altri scarsi, alcuni dimenticabilissimi, quanto piuttosto dall’ego di Amadeus, che in effetti ha fatto per noi lì presenti un piccolo show a base di balletti dietro la consolle, testi mimati in sincro con le canzoni, facce esplicative in alcuni passaggi, manco fosse lui l’artista che le ha scritte e cantate. Sull’ego di Amadeus, del resto, tornerò poi.
Le canzoni, quindi.
Penso che ce ne siano alcune di gran fattura, queste: Parole dette male di Giorgia, Cenere di Lazza, Due vite di Marco Mengoni, Furore di Paola e Chiara, Alba di Ultimo, Il bene nel male di Madame e Due di Elodie. Un gradino sotto, ma finirà sul podio, credo, Tango di Tananai. Non ho ascoltato Splash di Colapesce e Dimartino, Sali di Anna Oxa e Quando ti manca il fiato di Grignani, quindi non saprei dire di loro.
Ora spiego cosa intendo per “di notevole fattura”, non intendo necessariamente canzoni che incontrano il mio gusto personale, se dovessi fare questa operazione la lista si ridurrebbe notevolmente a Giorgia, Paola e Chiara, Mengoni, tra queste. Però riconosco che Lazza ha fatto un pezzone. Avevo sentito dire che avrebbe stupito, presentandosi con un brano piano e voce autotunata, invece ha presentato una Panico 2.0, brano che spopolerà in streaming e tra i più giovani. Idem Elodie, che ha fatto un brano alla Elodie, la frase “le cose sono due, lacrime mie o lacrime tue” destinata a diventare un tormentone tipo “ti lascio un vocale di dieci minuti”, ci scommetto, o quella di Madame, dove il titolo ripetuto allo sfinimento, come la parola “tanto”, ti fa inchiodare la melodia in testa, il ritmo che pulsa notevolmente. Tananai, confesso, mi ha un po’ deluso, perché ha fatto una canzone molto sanremese, una ballatona paraculissima, di quelle che un tempo avrebbe fatto un Franco Fasano, che però aveva più voce di lui, con giusto qualche trovata interessante nel testo, il passaggio “abbiamo messo i Police” che fa rima, toh, con “ha bussato la police” o “ti perdi nei miei jeans”, per dire. Però troppo paraculo. Come è paracula, nel senso che ha smussato tutti gli spigoli, che a mio avviso erano la parte più interessante della sua cifra, Ariete, con un brano che sa molto di Calcutta, che ne è autore, dove forse gli spigoli sono lasciati al testo, per chi saprà coglierli. Ultimo fa Ultimo, parte bassissimo, voce su pianoforte, e sale all’infinito, mostrando i muscoli. Non ci sarà nessun ragazzo Mahmood che tiene, credo, e glielo auguro, perché ce la mette davvero tutta.
Quanto a quelle che mi sono davvero piaciute, Giorgia fa un brano dalle venature nere, dove molto del nero parte proprio dalla sua voce, diciamolo, unica, una canzone che se non parlasse d’amore ma di vita la vedrei bene come canto dell’apocalisse, le ultime lettere di uno Jacopo Ortis che ha però una voce della Madonna. Mengoni parte dalliano, nei suoni come nella melodia, poi sviluppa per una volta bene, glielo devo riconoscere, con mille parole nelle strofe e un ritornello aperto che spopolerà. Paola e Chiara fanno, giustamente, evviva, Paola e Chiara, una canzone che mette a dura prova la mia eterosessualità, loro sono le mie capitane al Fantasanremo (con loro Giorgia, Anna Oxa, e poi Leo Gassmann e Shari, causa scarsi baudi, va detto). Un brano per cui è impossibile stare fermi, scritto da Dio e interpretato come solo le sorelle Iezzi sanno, Elodie prenda appunti. La mia preferita fin qui.
Caso a parte Levante, perché la sua Vivo è molto interessante nel testo, il corpo che si fa protagonista assoluto, il corpo di una donna, viva Dio, con un bridge da incorniciare, ma voglio proprio riascoltarla più e più volte, perché un primo ascolto è troppo poco (mi dicono che anche Mr Rain abbia fatto un brano notevole, ma ero in macchina verso Mecenate, purtroppo, quando l’hanno fatta ascoltare).
E il resto?
Di Ariete ho detto, bel brano, ma non riesco a un solo ascolto a associarlo al suo repertorio. Mi prendo tempo.
LDA fa una ballad sanremese, molto di mestiere, il che, vista l’età, è già un prodigio, oltre che la prova che quest’anno in molti hanno portato brani idonei a quella cornice.
Del brano di Sethu ricordo solo un passaggio in cui dice di avere una “testa dimmerda”, e non so se sia un buon segno.
Leo Gassmann regge il confronto con Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari, nel senso che tiene su la canzone nonostante ce la si immagini cantata da quest’ultimo, il che, anche in questo caso, lascia spiazzati, ma sono ascolti veloci.
I Modà fanno una canzone sulla depressione, mi dicono, ma a me i Modà proprio fanno cagare, quindi mi sono segnato giusto la faccenda “un bacio al veleno col ghiaccio” e della depressione, dei protagonisti, non mi sono accorto, sarà per la prossima volta, giuro che ci provo.
Shari, che di suo ha una voce lamentosa che non mi esalta, ha fatto un buno brano con un basso trip-hop molto interessante, credo che si muoverà bene, seppur non con me, che sono vecchio.
I cugini di campagna fanno un mash-up tra loro, nelle strofe, e La Rappresentante di Lista, che ha scritto il brano, nei suoni del ritornello. Piuttosto incomprensibile, confesso, al primo ascolto, forse anche in quelli dopo.
Will dovrebbe andare a lezione di dizione, perché non azzecca un accento manco per sbaglio, e tanto basta a distrarmi durante l’ascolto, vedi tu cosa succede a parlare sbagliato.
Mara Sattei deve più a suo fratello Thasup che a Damiano David, che con Thasup ha scritto il brano, così, a occhio, grandi suoni, va detto, ma non grande canzone, mi sembra di primo acchito.
Colla Zio fa un funkettone divertente, se siete di quelli che si divertono per i funkettoni con su testi leggeri. O meglio, testi che credo siano leggeri, mi sono concentrato più sul funkettone, confesso.
I Coma Cose fanno un buon brano, in cui si parla di addii senza parlare di addii, o volendoli fugare. California tiene quasi sempre la scena, sicura, ma la canzone dell’anno scorso mi aveva colpito di più. Vedremo al prossimo ascolto.
E poi basta, le altre non le ho ascoltate. Ho invece ascoltato la conferenza stampa che è seguita agli ascolti, che riassumo in due passaggi, Madame ci sarà, succeda quel che succeda, perché Ama è garantista e perché sì, questo il primo passaggio, Amadeus, temo, al momento soffre di una lieve forma di stocazzismo, nel senso che si muove un po’ troppo come fosse, appunto, stocazzo. Prova ne è quando, figuriamoci se non mi sono goduto la cosa, prende per il culo Mattia Marzi, reo di aver buttato lì nelle settimane alcune anticipazioni non sempre azzeccate, ma di aver azzeccato i superospiti della nave Costa Crosciere, Salmo, Guè, Fedez e Takagi e Ketra, fatto che Amadeus sottolinea, ma che poi si trasforma in uno sfottò continuo nei confronti del giovane giornalista del Messaggero, reo di aver detto di sapersi difendere da solo (i fischi della platea milanese di suoi colleghi attesta solo che le pecore sono più assetate di sangue dei lupi, ammettiamolo) finendo per passare per un pirla che vorrebbe ma non può, e soprattutto inchioda Luca Dondoni al suo ruolo di giornalista che scende in basso quando dice che i Black Eyed Peas sono bolliti. Lui, Amadeus, dice che un giornalista musicale che usa la parola bollito non è qualificabile, parole mie, le sue non le ricordo, anche se la faccenda del “bollito” era una citazione di Dondoni, che si rifaceva, male, allo scambio di tweet tra il suo amichetto Laffranchi del Corriere, che aveva scritto che molti dei concorrenti in gara erano bolliti, e Lucio Presta, manager di Amadeus, che aveva detto che semmai erano bolliti molti giornalisti. Morale della favola, Dondoni ha incartato e portato a casa, Amadeus si è sentito Dio, tutti perdono, specie il mio sonno, evocato a gran voce.
Per il resto niente di nuovo. Sarà un Sanremo di canzoni canzoni, dice Amadeus, anche se avrebbe potuto farlo molto più breve, lasciando a casa gli orpelli. La controprogrammazione di Mediaset fa più paura a Coletta, che ha già lo scatolone pronto per lasciare la rete ammiraglia della Rai a qualche meloniano, che a Amadeus, che al quarto Sanremo è spavaldo come neanche Pelè quando si trattava di tirare i rigori. Mancano poche ore e il Blue Monday finirà, questa è la sola certezza cui mi sto aggrappando con tutto me stesso.