Anni fa ho scritto un pezzo piuttosto violento su Quelli che restano, brano di Elisa che vedeva la cantautrice duettare con Francesco De Gregori. Era un pezzo, credo di poter dire senza correre rischio di autoincensarmi, ben costruito, e anche un po’ paraculo. Partivo, vado a memoria, parlando della fascinazione che certe persone, molte, hanno nei confronti degli incidenti. Citavo, tanto per non far pensare che sono uno che si improvvisa antropologo, La mostra delle atrocità e Crash di James Ballard, facendo anche menzione del film di Cronenberg, vado sempre a memoria, indicavo il passaggio in cui si parla di cicatrici e del piacere certo morboso che si prova nel passarci su un dito, finivo per parlare degli ingorghi in autostrada, quelli dovuti in buona parte a incidenti avvenuti nella corsia opposta o che comunque fermerebbero solo una corsi nel nostro senso di marcia, ingorghi dovuti al fermarsi appunto morboso degli automobilisti di fronte alle lamiere contorte delle auto coinvolte, magari anche a occhieggiare ai feriti nelle ambulanze, per non dire dei teli buttati in terra a coprire cadaveri. Qualcosa che trascende il razionale, c’è un incidente e non si può non voler vedere cosa sia successo, senza pudori e vergogne, compiaciuti quasi nel sapere che qualcosa non è andato come sarebbe dovuto andare. Ballard, in questo, va detto, ci ha offerto ben più di quanto avrei mai potuto scrivere di mio, ma il senso era piuttosto chiaro: di fronte a qualcosa che è manifestamente atroce non possiamo che fermarci, quasi incantati, consapevoli che invece dovremmo provarne orrore, o pietà. In quel caso, questo il tratto violento del mio pezzo, finivo poi per allestire un parallelismo anche piuttosto telefonato, a memoria il brano e il nome di Elisa e di De Gregori erano citati nel titolo, accompagnato da una foto dei due artisti, tra me che non potevo non ascoltare una canzone tanto orribile e chi si ferma a guardare gli incidenti mentre è in coda in autostrada, Ballard über alles. Chiaramente quel pezzo, che confesso non ricordo per quale dei giornali con cui collaboravo allora ho scritto, tendenzialmente le mie collaborazioni durano sempre sufficientemente poco perché io poi ne conservi troppa memoria, quella con Optimagazine è, dopo quella con Tutto Musica nei primi anni zero, la più longeva di sempre, stiamo veleggiando verso i settecento pezzi pubblicati, chiaramente quel pezzo scatenò tutta una ridda di polemiche, anche piuttosto accese. Mi si accusava, è facile intuirlo, di essere cinico e anche di cattivo gusto nell’accostare qualcosa che evochi dolore e morte all’ascolto di una canzone, e il fatto che la canzone fosse di Elisa, artista in genere osannata dalla critica e comunque sempre accompagnata da una certa eleganza, almeno fin lì, e soprattutto un mammasantissima come De Gregori, davvero intoccabile, dava al tutto davvero qualcosa di estremo, come uno che bestemmia mentre sta leggendo il Vangelo in chiesa.
Non che del buon gusto mi sia mai interessato molto, ritengo che il politicamente scorretto, almeno nel campo in cui ho deciso di muovermi, sia non solo sacrosanto, ma necessario, e sono più che convinto che se devi occuparti di argomenti terra terra non ci sia altro modo che parlarne usando un linguaggio che renda l’idea di quel terra terra, tutto quel che ci gira intorno con tatto e delicatezza peccherebbe di inutile vaghezza e scarsa incisività, oltre che di incoerenza.
Resta che ho scritto un pezzo in cui dicevo che l’ascolto della canzone Quelli che restano di Elisa, ospite Francesco De Gregori, mi aveva ispirato le medesime sensazioni di disagio e fascinazione per l’orrido che avevo provato mentre, in autostrada, anche inconsapevolmente, avevo rallentato per gettare l’occhio tra le lamiere di questo o quell’incidente, magari nella recondita speranza di vedere un morto, o almeno un ferito grave, Dio se ne prenda cura.
A proposito di auto, oggi mentre mi muovevo a bordo della mia macchina per le strade ormai tornate al solito traffico di Milano ho fatto l’errore, poi rivelatosi fatale, di mettere la radio. Intendiamoci, a scanso di equivoci, non ascolto musica con Spotify, l’ho detto miliardi di volte, non lo faccio per una questione ideologica, e in parte legata alla mia religione. In auto, per questo motivo, ho optato per un lettore Cd che, confesso, mi è costato quanto avrei pagato se avessi chiesto di avere i sedili in pelle umana, magari optando per pelle di giovani implumi, ancora non rovinati dalla pubertà. Quando tempo fa mi hanno aperto l’auto di notte, succede a Milano come altrove, hanno rubato un paio di occhiali da sole e una confezione di salviettine umidificate, lasciando però tutti i miei CD, compresi alcuni cofanetti di un certo valore presso i collezionisti, a dimostrazione che sono davvero uno degli ultimi stronzi in circolazione a ascoltare musica con supporti fisici, ma tant’è. A volte, però, opto per la radio, non per autolesionismo, forse anche un po’ per quello, ma più che altro per capire che merda stia girando al momento. E infatti mi è capitato sotto le orecchie una roba che, giuro, in confronto Quelli che restano è una delle quattro stagioni di Vivaldi. Una roba talmente brutta che, anche fossi uno di quelli che in effetti amano guardare le lamiere contorte degli incidenti, e soffermarsi sulle cicatrici deformanti delle vittime degli incidenti, non solo mentre si trova a passare di lì con la macchina, parlo di uno di quelli che evidentemente hanno una qualche turba, di quelli cui Ballard ha dedicato Crash, roba patologica, non potrei che ascoltare e ascoltare a ripetizione, perché in questo caso il brutto è talmente brutto che fa tutto il giro e non si ferma, tornando a essere brutto, orribile, inascoltabile. Un brano electropop che occhieggia a un clubbin’ di serie Z, non abbastanza di serie Z da essere trash, e quindi fascinoso come il Povero gabbiano di Celeste, ma brutto e basta, con questa cassa dritta che invece che infondere un minimo di ottimismo, magicamente, deprime, Dario Faini, qui in veste di DRD e non di Dardust, da che ha ingranato con la sua carriera solista, si veda l’ultima partecipazione come maestro concertatore alla Notte della Taranta, sembra meno interessato a infondere il suo tocco alle sue produzioni di cassetta, vuoi perché le due voci, anche in questo caso le voci sono due, poco si impastano tra loro e poco si impastano con quelle sonorità, vuoi perché il giro armonico di supporto al tutto è talmente banale da sfuggire alle logiche del familiare e finire dritto dritto nel campo dell’usurato, si può ballare anche mentre qualcuno tiene il tempo con le mani, viva Dio, ma su certe accozzaglie banali è davvero difficile non ammosciarsi. Un brano di Elisa, e qui si spiega perché mi è venuto in mente Quelli che restano e la storiella degli incidenti, certo, dell’Elisa che da anni è in caduta libera come certe figure dantesche che finiscono in gironi dell’Inferno dove il tormento si ripete ogni istante simile a se stesso, ma che almeno a Sanremo ci aveva illuso di aver ritrovato un minimo di ispirazione, che è un po’ come aver preso la rincorsa per cadere ancora più rovinosamente. Una canzone che vede Elisa duettare con Jovanotti, titolo del brano Palla al centro, anche se forse avrebbero dovuto virare il tutto al plurale, per coerenza, le palle le avremmo fornite noi ascoltatori, a riprova che non sempre la somma di due carriere che sembra non stiano particolarmente brillando per resa e per valore artistico portano a un risultato che è doppiamente deludente, a volte si elevano all’ennesima potenza e superano anche la peggiore aspettativa. Poi, certo, il Jova Beach Party, polemiche a parte, tante polemiche a parte, è stato un successone incredibile, e così anche il tour di Elisa, quindi evidentemente almeno dal vivo i due se la cavano ancora, resta che le loro canzoni recenti sono un salto nel baratro e questa canzone insieme è un salto nel baratro con legati alle caviglie due pesi da due tonnellate l’uno. Sul perché Elisa si diverta a fare sempre peggio, credo, prima o poi qualcuno dovrà interrogare l’Oracolo di Matrix (quello della prima trilogia, perché se interrogate quello di Resurrection capace che ci capiate anche meno), sul perché Jovanotti invece non la smetta di dibattersi come un pazzo, duettando con chiunque (oltre questo brano, indegno, è uscito un duetto con quel genio di Enzo Avitabile e a breve ne uscirà anche uno con Eros Ramazzotti), credo l’Oracolo non basti, temo che erroneamente, mentre faceva uno dei suoi video deliranti su Tik Tok abbia preso sia la pillola blu che quella rossa, col risultato che ormai vive in un mondo tutto suo, dove cantare a cinquantacinque anni, quasi cinquantasei, una cagata come questa sia una cosa non dico normale, ma almeno accettabile.