The Gray Man, Ryan Gosling scoperchia il marcio della Cia, nel mediocre action su Netflix

Dal 22 luglio sulla piattaforma il film dei fratelli Russo da 200 milioni di dollari. Una collezione di clichés che guardano (male) a Bond e all'aria di complotto dei capolavori della New Hollywood. Si annuncia un ciclo. Speriamo di no

The Gray Man

INTERAZIONI: 137

Forse c’è un seconda Cia all’interno della Cia”, sospettava a ragion veduta il Turner interpretato da Robert Redford nel bellissimo thriller I Tre Giorni Del Condor, film simbolo della New Hollywood diretto da Sydney Pollack nel 1976. Chissà, forse era questo complotto doppiogiochistico a sfondo politico ad aver intrigato James Gray, il cui nome fu fatto ormai una decina d’anni fa come regista accreditato di The Gray Man, adattamento dell’omonimo romanzo di Mark Greaney.

S’era persino parlato di Brad Pitt come interprete. Poi ne è passata di acqua sotto i ponti, giungendo alla fine a una produzione distribuita da Netflix da 200 milioni – il film più costoso fino ad oggi della piattaforma – con i fratelli Anthony e Joe Russo del Marvel Cinematic Universe alla regia – titolari del secondo film più redditizio della storia del cinema, Avengers: Endgame – e Ryan Gosling come protagonista.

Il quale come veniamo a sapere dal prologo, con il nome in codice Six – perché 007 era stato già preso, questa la prevedibile battuta – è un criminale e galeotto che, in virtù della sua propensione alla violenza, viene assoldato dalla Cia per operazioni speciali con licenza di uccidere, sotto il cappello del piano Sierra ideato dall’agente Fitzroy (Billy Bob Thornton). L’idea, a voler scomodare ancora un progenitore nobile della New Hollywood, sembra più o meno quello di Perché Un Assassinio di Alan J. Pakula, opera definitiva sul tema della paranoia in cui la compagnia Parallax seleziona sociopatici in purezza pronti a essere trasformati in killer spietati.

Le assonanze di The Gray Man con i capolavori settanteschi terminano qui. E comunque, a voler essere pignoli, non è tanto Six a rivelarsi un sociopatico – i flashback ci informano del suo passato di adolescente maltrattato, perché l’eroe non può avere delle autentiche macchie sotto il profilo morale. Psicopatico a briglia sciolta invece è Lloyd Hansen (Chris Evans), agente indipendente che la Cia nella persona del suo direttore delle operazioni Carmichael immancabilmente corrottissimo (Regé-Jean Page) assolda per stanare Six, che ha le prove di un terribile complotto.

Hansen scatena una lotta senza quartiere, lanciando una taglia milionaria su Six – manco stessimo in John Wick – e radendo al suolo Praga pur di acciuffarlo e recuperare le prove nelle mani del fuggiasco (una sequenza talmente inverosimile e sopra le righe da frantumare qualunque sospensione dell’incredulità anche nello spettatore più bendisposto). Il luciferino Hansen per ricattare l’eroe prende pure in ostaggio la nipotina di Fitzroy, cui è legatissimo (la ragazzina è persino cardiopatica e con bypass, per rendere la sottotrama ancora più lacrimevole). Fortuna vuole che nella Cia esistano ancora agenti con la schiena dritta, come la Dani Miranda di Ana De Armas che decide di aiutare Six.  

The Gray Man è tutto qui: due ore di agenti segreti inscalfibili, inseguimenti, esplosioni, stunt, effetti speciali e trama al grado zero. I Russo si preoccupano di creare un retroterra, diciamo così, psicologico per i personaggi principali, con flashback didascalici che ne spieghino traumi, rapporti personali e sentimenti strettamente individuali e individualistici. Il contesto invece non riveste alcuna importanza. Le supposte ragioni alla base di piani così spietati sono imponderabili e superflue. Per spiegare il complotto ordito da Carmichael – che ha studiato ad Harvard: ah le classi dirigenti, signora mia –, a un certo punto si sente un dialogo in cui viene detto, alla lettera, che “questa è una roba da poteri occulti, che vanno ben oltre il livello di Carmichael”. E si cita pure qua e là un “grande vecchio” cui tutta questa caciara – nel frattempo agenti e mercenari stanno mettendo a ferro e fuoco mezza Europa – non sarà troppo gradita. Ma si sa, i malvagi troveranno un modo per insabbiare tutto, questa la logica di raffinato pessimismo qualunquistico di questo genere di film.

Ai tempi de I Tre Giorni del Condor i killer avevano i modi insinuanti e seducenti dello Joubert di Max von Sydow. Oggi bisogna accontentarsi di quelli sguaiati di un giustamente sopra le righe Evans, mentre a un attore bravo e capace di ben altre sottigliezze come Gosling tocca un personaggio che non richiede, anzi che non deve possedere alcuna caratterizzazione specifica. Più in generale, le opere degli anni Settanta disponevano sempre una struttura action e thriller che rimandasse a un mondo credibile, con precise notazioni, sottolineate anche sul piano formale (la fotografia di Gordon Willis dei film di Pakula, per esempio), di ordine storico, sociale e di psicologia collettiva (il sentimento diffuso di disillusione e paranoia postkennediano) .

Un film come The Gray Man, invece, rimanda piattamente solo a sé stesso, all’elementare meccanismo narrativo di un autodichiarato oggetto di consumo scacciapensieri. Quello dei fratelli Russo dovrebbe essere l’inizio di un ciclo – lo si capisce pure dal fatto che alcuni cattivi e qualche personaggio secondario promettente vengono risparmiati per il futuro –, sebbene venga da domandarsi se si sentisse proprio il bisogno dell’ennesima risciacquatura semplicistica e fracassona del modello Bond (e Bourne, Mission Impossible, eccetera). Noi ritorniamo immediatamente ai progenitori di quaranta e più anni fa. Per chi si accontenta, invece, dal 22 luglio The Gray Man è su Netflix.

Continua a leggere su optimagazine.com