L’Arma Dell’Inganno – Operazione Mincemeat, i migliori inventori di storie sono le spie

La più clamorosa storia vera di depistaggio della Seconda guerra mondiale nelle mani di John Madden si trasforma in un gioco su verità e menzogna. E sull’arte di creare storie. Dal 12 maggio al cinema

L’Arma Dell’Inganno – Operazione Mincemeat

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In Intrigo Internazionale, il pubblicitario Roger Thornhill (interpretato da Cary Grant), viene scambiato per la spia George Kaplan e per questo rapito e minacciato di morte. In realtà però Kaplan non esiste, è un personaggio completamente inventato, un’idea escogitata dai servizi segreti per incastrare i propri nemici. Pare che l’ingegnosa trovata alla base del capolavoro di Alfred Hitchcock sia venuta allo sceneggiatore Ernest Lehman ispirandosi alla storia vera che è alla base anche de L’Arma Dell’Inganno, il film diretto dal veterano John Madden, ossia la celebre Operazione Mincemeat (letteralmente “carne tritata”), il più importante caso di depistaggio della Seconda Guerra Mondiale, che cambiò il corso del conflitto.

Il piano fu ideato nel 1943 e diretto da due ufficiali del controspionaggio britannico, Ewen Montagu (nel film Colin Firth) e Charles Cholmondeley (Matthew MacFadyen), i quali, per convincere i nazisti che lo sbarco degli Alleati sarebbe avvenuto non in Sicilia ma in Grecia, fecero sì che i tedeschi trovassero, alla deriva sulla costa spagnola, il cadavere di un maggiore britannico, William Martin, apparentemente morto per annegamento, con indosso documenti attestanti che la futura operazione avrebbe interessato le coste elleniche. Ma quello del maggiore era il cadavere d’un poveraccio che s’era suicidato, per il quale l’intelligence aveva fabbricato un’identità fasulla. E per darla a bere ai sospettosissimi nemici, la storia di Martin venne arricchita di tutta una serie di dettagli che lo rendessero credibile, compresa la fotografia e una struggente lettera d’amore della ipotetica fidanzata Pam. Seguendo, insomma, la stessa logica impiegata dal narratore quando deve costruire i suoi personaggi.

John Madden è un regista capace di attraversare tutti i toni e i generi: lo scintillante, ruffiano, disinvolto Shakespeare in Love, vicende romantiche in salsa bellica (Il Mandolino Del Capitano Corelli), dure spy story da guerra fredda (Il Debito), esotismi soffici per ultrasessantenni (la fortunata accoppiata Marigold Hotel e Ritorno a Marigold Hotel), amari thriller politici (Miss Sloane).

Stavolta, partendo dal libro di Ben Macintyre sceneggiato da Michelle Ashford (a sua volta debitore delle memorie uscite negli anni Cinquanta di Montagu, da cui Ronald Neame trasse già un film nel 1956), Madden ha scelto di costruire un racconto in cui la guerra resta sullo sfondo – il finale sbarco degli Alleati in Sicilia è risolto in poche scene sbrigative –, mentre principalmente l’attenzione è dedicata all’intrigo spionistico a doppio e triplo fondo. Dal quale si evince che le spie sono i più efficaci creatori di storie in circolazione.

A un certo punto ne L’Arma Dell’Inganno c’è uno scambio di battute particolarmente gustoso tra due ufficiali: “Siamo circondati, sono dappertutto. – Tedeschi? – No, scrittori!”. Ed effettivamente tutti sembrano incessantemente impegnati a fabbricare storie in cui menzogne ben dissimulate suonino più credibili della verità. Non sorprende, allora, che tra gli architetti dell’Operazione Mincemeat ci sia anche un giovane Ian Fleming (sì, proprio l’autore di James Bond, interpretato da Johnny Flynn), che lo spunto per l’idea romanzesca del maggiore Martin dice di averla tratta da un racconto dello scrittore Basil Thompson.

Il film trova la sua cifra nel rilanciare continuamente questo gioco tra simulazione e realtà, in cui lo stesso testo filmico si guarda riflessivamente allo specchio e dichiara la sua natura di dispositivo nel quale la finzione narrativa si fonda su di una vicenda assolutamente vera (il fatto storico dell’Operazione Mincemeat) costruita sulla base di una colossale (e salvifica) menzogna.

Ne L’Arma Dell’Inganno, Madden è poi bravo nel non finire nelle secche del meccanismo cerebrale. Per riuscirci, scandisce una vicenda che ruota intorno a un insieme di personaggi umani e fallibili. Al centro della quale c’è un trattenuto triangolo amoroso (sepolto sotto quel riserbo che da spettatori ci aspettiamo da un film ambientato nell’Inghilterra tutta d’un pezzo degli anni della guerra), in cui sia Montagu che Cholmondeley s’innamorano di Jean (Kelly MacDonald), membro dell’intelligence, la cui fotografia viene usata per l’amante fittizia di Martin. Fittizia per Martin appunto, ma evidentemente assolutamente concreta per i due ufficiali. I quali, però, pur tentennando, sanno bene che la ragion di Stato va anteposta a qualunque motivazione personale.

Verità e finzione, romanticismo e patriottismo: L’Arma Dell’Inganno si srotola lungo queste due polarità che continuamente s’intersecano, e trova qui la ragione d’essere di uno spettacolo che sa coinvolgere il pubblico lungo due ore abbondanti che hanno il sapore un po’ accademico da film d’altri tempi, con la fotografia croccante, il passo tranquillo di una narrazione che spiega ogni dettaglio, quell’inconfondibile atmosfera di vecchia Inghilterra, con i suoi irripetibili modi eleganti e i sentimenti sepolti sotto una coltre di formalismo. Una ricetta certamente non nuova, che il mestiere di Madden però sa far funzionare egregiamente.

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