Fortunatamente c’è Jessica Chastain a dare sostanza al ritratto della lobbista spregiudicata di Miss Sloane – Giochi di potere. Il regista è John Madden, esploso con Shakespeare in Love, poi passato con mestiere da storie romantiche in salsa bellica (Il mandolino del capitano Corelli) al sottogenere matematica genio e follia (The Proof), spy story da guerra fredda (Il debito), placide commedie esotiche (Marigold Hotel).
Con Miss Sloane la vicenda diventa cupissima, ambientata nei corridoi della politica, tra cinici lobbisti e sordide trame. Madden l’affronta con piglio professionale: sceneggiatura scandita come un metronomo (di Jonathan Perera), soliti andirivieni temporali, colpi di scena, personaggi mefistofelici, musiche esasperate. Ma resta la sensazione da film a tesi, che parte da un presupposto scontato – la politica è corrottissima – e lo ribadisce monotonamente, senza spingere a riflettere lo spettatore, semmai assecondandone i pregiudizi.
Il ritratto di Elizabeth Sloane è tetragono fino all’inverosimiglianza: lobbista fenomenale, lavoratrice h24, senza vita privata e con un’etica negoziabile. Quando però la lobby delle armi le chiede di montare una campagna per convincere le donne a opporsi a un disegno di legge più restrittivo sulla loro vendita, lei si rifiuta e va a lavorare per il gruppo di pressione che quella norma la difende. Mettendo in campo ogni strategia – sul filo della legalità e della decenza, manipolando fatti e persone – per raggiungere l’obiettivo: che non pare tanto la causa, ma la vittoria.
Nella prima scena di Miss Sloane – Giochi di potere, la lobbista Jessica Chastain si rivolge guardando negli occhi lo spettatore: “Il lobbista deve saper prevedere. Deve anticipare le mosse dell’avversario e disporre le contromisure. Chi vince resta un passo avanti agli avversari e gioca l’asso nella manica subito dopo che loro hanno calato il proprio”. Una frase a effetto, che praticamente è la sceneggiatura del film. Infatti ritorna in diversi momenti, ad accentuare il pessimismo di fondo della vicenda, e però mostrando anche l’autocompiacimento d’un film che vuole delineare un mondo da homo homini lupus.
Nel quale però la più dura è una donna. Che per avere successo ha abdicato alla sua identità, trasformandosi in una macchina da guerra senza sentimenti, che consuma sesso mercenario come un uomo e a cui, come le dicono, “manca soltanto l’attributo maschile”. Qui starebbe l’elemento perspicuo di Miss Sloane, la riflessione sull’identità di genere in una realtà ipermaschilista che mortifica e usa la donna. Usata è certamente anche Elizabeth, che s’è piegata a questa logica.
Si fosse infiltrato tra quelle pieghe, Miss Sloane sarebbe diventato un ambiguo ritratto d’un carattere e d’un ambiente. Purtroppo il personaggio più che enigmatico, resta bidimensionale, sebbene Jessica Chastain si sforzi per fare emergere dai dettagli brandelli d’umanità e malinconia. Ma il risultato è molto al di sotto d’un altro suo personaggio ossessivo, l’agente Cia del notevole Zero Dark Thirty. Quel che resta, in virtù anche d’un finale posticcio, è la solita fotografia sensazionalistica delle stanze del potere, zeppe di quegli intrighi in cui cinema e tv amano rimestare sin troppo.