The Northman, il tour de force visionario di Robert Eggers non possiede la forza della vera tragedia

Il regista statunitense torna alla fonte della storia del principe vichingo Amleth, cui s’ispiro Shakespeare. La messinscena è ammirevole. Ma incastrata in un revenge movie spettacolare, non all’altezza del talento di Eggers

The Northman

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The Northman è il terzo, attesissimo film di Robert Eggers (anche se l’attenzione sembra più manifestarsi su web e social che in sala, dove il primo giorno il film è stato visto da meno di diecimila spettatori). Dopo aver raccontato una storia di stregoneria nel New England del 1630 (The Witch) e il gioco al massacro di un horror metafisico ambientato in un’isola sperduta alla fine dell’Ottocento (The Lighthouse), il 38enne regista statunitense, passato a una produzione ad alto budget da (pare) 90 milioni di dollari, continua a volgere il suo sguardo all’indietro. E torna al decimo secolo dopo Cristo, alla vicenda cui s’è ispirato anche Shakespeare del principe Amleth, tramandata nel dodicesimo secolo dallo storico medievale danese Saxo Grammaticus nei Gesta Danorum.

Il piccolo Amleth (Oscar Novak) assiste al brutale assassino del padre, il re Aurvandill (Ethan Hawke), per mano dello zio Fjölnir (Claes Bang), che gli vuole sottrarre il regno e la moglie Gudrún (Nicole Kidman), che diventerà la sua regina. Creduto morto, il bambino riesce a fuggire e cresce educato all’etica guerriera dei vichinghi, trasformato in un combattente ferino e implacabile – lo vediamo partecipare alla distruzione di un villaggio messo crudelmente a ferro e fuoco (un piano sequenza impeccabile). Dentro di lui però alberga una promessa: “Vendicherò mio padre. Salverò mia madre. Ucciderò Fjölnir”. Una volta venuto a sapere che lo zio, perduto il suo regno, vive in esilio in Islanda, raggiunge la lontanissima isola fingendosi uno schiavo per realizzare il suo proposito, aiutato da una ragazza che si professa una maga, Olga (Anya Taylor-Joy).

The Northman di Robert Eggers sembra, almeno apparentemente, ridursi allo scheletrico disegno da revenge movie contenuto in quelle poche parole costantemente ripetute dal protagonista come un mantra – e un destino – ossessivo, al quale è impossibile sottrarsi. A partire da questo presupposto minimale il regista costruisce un universo di straordinaria ricchezza immaginifica, facendo ciò che sa fare meglio, in una sorta di immersione allo stesso tempo filologica e visionaria in un’altra epoca.

Questa è di gran lunga la rappresentazione più accurata dell’era vichinga che abbia mai visto. Ero sul set durante la pre-produzione, ho assistito a tutto ciò a cui stavano dando vita e l’ho trovato travolgente: non avevo mai visto un tale livello di attenzione ai dettagli in un film storico”, ha dichiarato Neil Price, consulente del film e docente di archeologia, profondo conoscitore dell’era vichinga. Ed effettivamente, anche grazie alla partecipazione alla sceneggiatura del poeta islandese Sjón – sull’isola si svolge idealmente gran parte della vicenda, anche se le location principali del film sono in Irlanda –, The Northman compie uno sforzo di mimetismo che punta a trascendere la semplicità della vicenda.

Sin dal prologo relativo all’Amleth bambino, il film racconta un universo di potenza tellurica, ancestrale, bestiale. Il padre Aurvandill guida il figlio lungo un rito di passaggio che lo trasforma in un adulto e un guerriero, per compiere il quale deve ululare come una belva (“voi siete cani che vogliono diventare uomini”, lo istiga il cerimoniere Heimir [Willem Dafoe]) e abitare visioni che lo mettono in diretto contatto con l’altrove – in un mondo imbevuto di una religiosità nella quale la distanza tra la realtà e il Valhalla è sottile. Lungo tutto il film, secondo un’ispirazione in linea con The Witch, si susseguono affascinanti rituali intorno al fuoco, danze lascive nei boschi, cerimonie sacrificali ispirate a una logica del sangue, che scorre abbondante in un’opera dai colori immancabilmente cupi, mortiferi, angoscianti.

The Northman procede con la forza della sua messinscena tetragona, di una durezza e implacabilità che sembra non deflettere mai dal proprio assunto, come il massiccio protagonista fedele ai suoi propositi di vendetta. E il film inanella dettagli raccapriccianti ed efferati da cui il senso del tragico scaturisce più per accumulazione che per una autentica resa degli aspetti più disturbanti di una contorta vicenda familiare di fratricidio, lutto e tradimento.

In realtà a un certo punto The Northman contiene una rivelazione di fronte alla quale i furibondi propositi di Amleth parrebbero vacillare e idealmente rimandarlo ai dubbi del suo epigono shakesperiano. Ma anche qui la messinscena non riesce a trovare un’autentica ambiguità, e il sottotesto edipico del dramma del Bardo viene trasformato in una linea di dialogo che rende tutto troppo esplicito. Così la sensazione che lascia The Northman è quella di un film, come sempre in Eggers, di impaginazione ammirevole, ma anche sovraccarico di una visionarietà che a tratti lambisce il kitsch spettacolare.

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